In Parlamento vige da tempo il “monocameralismo alternato”, ed è un problema

La maggior parte delle leggi, non solo quella di Bilancio, vede un ruolo predominante di una camera rispetto all’altra, comprimendo il tempo a disposizione per il dibattito parlamentare
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Il 24 dicembre la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di Bilancio per il 2023, su cui il governo Meloni ha posto la questione di fiducia, impedendo così un ulteriore esame delle modifiche al testo in aula, dopo quelle introdotte in Commissione Bilancio. Il disegno di legge è così passato al Senato, che approverà con la fiducia il testo entro la sera del 28 dicembre, in base alle intenzioni del governo, per rispettare la scadenza del 31 dicembre ed evitare l’ingresso nel cosiddetto “esercizio provvisorio”, che limita la capacità di spesa dello Stato. Dunque, i senatori dovranno limitarsi ad approvare lo stesso testo approvato dalla Camera, su cui già i deputati avevano avuto poco tempo a disposizione per proporre le loro modifiche.

Nonostante le critiche dei partiti all’opposizione, non si tratta di una situazione anomala: negli ultimi dieci anni i governi hanno sempre presentato in ritardo la legge di Bilancio in Parlamento e, più volte, una camera è stata costretta ad approvare lo stesso testo approvato dall’altra camera, senza la possibilità di cambiarlo. Questo fenomeno, chiamato dagli esperti “monocameralismo alternato” o “monocameralismo di fatto”, non coinvolge solo le leggi di Bilancio, ma anche gran parte delle leggi approvate dal Parlamento. In teoria, il sistema parlamentare italiano è bicamerale, in cui di fatto Camera e Senato hanno gli stessi poteri. Nei fatti, questo bicameralismo si è ormai rotto da tempo.

Il monocameralismo e la legge di Bilancio

Ogni anno l’esame del disegno di legge di Bilancio inizia nella camera opposta rispetto a dove ha iniziato il suo esame l’anno precedente. Per esempio, quest’anno il testo è stato presentato alla Camera, visto che nel 2021 era toccato al Senato. Negli ultimi anni il tempo a disposizione della seconda camera per l’esame della legge di Bilancio si è sempre più ridotto. I parlamentari hanno avuto per esempio a disposizione otto giorni nel 2019 per approvare il testo uscito dalla prima camera, tre nel 2020 e sei nel 2021. In passato, le tempistiche erano più lunghe, con un massimo di 34 giorni a disposizione nel 2009. 

Come per tutte le altre leggi, se il testo della legge di Bilancio viene modificato durante la seconda lettura questo dovrà essere riesaminato e approvato nuovamente dalla camera che l’ha esaminato per primo. Negli ultimi 18 anni, il ritorno del testo nella prima camera che lo ha esaminato è avvenuto in 12 occasioni, l’ultima delle quali nel 2018. 

Una prassi consolidata

Il poco spazio dedicato alla discussione di un testo in Parlamento non è un fenomeno che riguarda soltanto della legge di Bilancio. Secondo l’ultimo rapporto sulla produzione normativa curato dalla Camera, aggiornato al 28 settembre 2022, nella diciottesima legislatura, quella iniziata il 23 marzo 2018 e terminata il 12 ottobre 2022, sono state approvate 62 proposte di legge di iniziativa parlamentare, di cui solo 14 (22,6 per cento) in seguito a tre o più passaggi parlamentari, quindi con un iter in cui la seconda camera non si è limitata ad approvare il testo ma l’ha effettivamente modificato. Su 104 decreti-legge approvati dal governo e convertiti in legge dal Parlamento, solo cinque (4,8 per cento) hanno sostenuto tre passaggi parlamentari e, su un totale di oltre 8 mila emendamenti approvati tra il 23 marzo 2018 e il 7 agosto 2022, 7.943 (94,7 per cento) sono stati approvati in prima lettura, mentre solo 443 (5,3 per cento) sono stati approvati in seconda lettura.

Le critiche

Il meccanismo del “monocameralismo alternato” è stato criticato in diverse occasioni, complice la compressione del ruolo del Parlamento nell’esame delle proposte di legge. Nel rapporto 2021 dell’Osservatorio sulla legislazione, curato dai servizi studi di Camera e Senato, si legge infatti che «la prassi crescente del “monocameralismo alternato”, con la conseguente compressione dei tempi di esame parlamentare, determina tensioni» tra governo e Parlamento. Il 4 febbraio, nel discorso di giuramento per il suo secondo mandato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che il Parlamento dovrebbe sempre essere posto in condizione di «poter esaminare e valutare con tempi adeguati» gli atti normativi. «La forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non certo minore di ingiustificate e dannose dilatazioni dei tempi», ha affermato Mattarella. 

A giugno 2022, alcuni parlamentari – tra cui tutti i capigruppo di maggioranza al Senato – avevano inviato una lettera all’allora presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, denunciando alcune forzature nella discussione del decreto-legge “Pnrr 2”, approvato durante il governo Draghi. «L’accavallarsi di avvenimenti straordinari ed epocali, dalla pandemia di Covid-19 al Pnrr […] ha creato una situazione d’eccezione caratterizzata da un sempre più massiccio ricorso ai decreti-legge e alla questione di fiducia sullo sfondo di uno scivolamento di fatto del nostro bicameralismo paritario verso una anomala condizione di monocameralismo alternato», si legge nella lettera. «Sentiamo di dover deplorare con nettezza i margini sempre più ristretti all’interno dei quali il Parlamento è costretto ad esercitare la propria funzione».

Nel 2019, durante il primo governo Conte, alcuni senatori del Partito democratico avevano presentato un ricorso alla Corte Costituzionale relativo alle modalità con cui era stata approvata la legge di Bilancio per il 2019 (approvata il 30 dicembre 2018), a causa della compressione dei tempi per l’esame parlamentare. La Corte Costituzionale aveva dichiarato inammissibile il ricorso, ma nell’ordinanza aveva comunque segnalato gli «effetti problematici dell’approvazione dei disegni di legge attraverso il voto di fiducia apposto su un maxiemendamento governativo», una prassi che preclude «una discussione specifica e una congrua deliberazione sui singoli aspetti della disciplina» e impedisce «ogni possibile intervento sul testo presentato dal governo». Conclusioni simili sono state ribadite anche in un’altra ordinanza del 2020.

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