Cancellare le commissioni sul Pos è incostituzionale?

Il rischio c’è, così come quello di un ricorso di fronte alle autorità europee. La soluzione più facile è trasformarle in crediti di imposta, ma ha un costo
ANSA
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Dopo le critiche della Commissione europea, il 18 dicembre il governo Meloni ha presentato un emendamento al disegno di legge di Bilancio per eliminare l’introduzione della soglia da 60 euro sotto la quale i commercianti avrebbero potuto rifiutare i pagamenti elettronici, senza sanzioni. «Ci inventeremo un altro modo per non far pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti», ha dichiarato lo stesso giorno la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, a margine del concerto di Natale al Senato. Nelle scorse settimane, Meloni aveva difeso (min. 12:00) l’eliminazione dell’obbligo di accettare i pagamenti elettronici, sostenendo che eliminare le commissioni bancarie fosse impossibile «perché sarebbe incostituzionale». 

Che cosa c’è di vero in questa affermazione? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

Un breve ripasso

Per accettare i pagamenti elettronici, un commerciante deve far fronte a una serie di costi. Da un lato, c’è l’acquisto o il noleggio, e l’installazione, del dispositivo (il cosiddetto “Pos”) per l’elaborazione delle transazioni fatte con le carte di credito o di debito. Questa spesa varia in base alla banca o alla società di pagamenti che si sceglie come fornitrice del servizio. Dall’altro lato, ci sono le commissioni: semplificando, una volta effettuato il pagamento con una carta, una parte della transazione (nella maggior parte dei casi una percentuale, nella minoranza dei casi una cifra fissa) viene trattenuta dalle banche e dai circuiti di pagamento per coprire i costi delle infrastrutture e quelli dell’operazione, e avere un margine di guadagno. Stabilire con precisione il valore complessivo delle commissioni non è semplice: anche quest’ultimo, infatti, cambia tra i vari fornitori di servizi per il pagamento con carte, siano essi una banca o una società alternativa, che si fanno concorrenza tra loro.

Nel tempo, il peso delle commissioni sulla singola transazione è comunque calato e non bisogna dimenticare che anche il contante ha i suoi costi, sebbene meno visibili, legati per esempio alla sicurezza.

Eliminare le commissioni è incostituzionale?

Veniamo adesso alla tesi secondo cui l’eliminazione delle commissioni sui pagamenti elettronici andrebbe contro la Costituzione. Su quali basi poggia questa argomentazione, usata tra gli altri dalla presidente Meloni?

Secondo Mauro Volpi, professore di Diritto costituzionale all’Università di Perugia, un provvedimento che elimini completamente le commissioni sui pagamenti elettronici è un caso limite dal punto di vista della legittimità costituzionale. «Essendo un insieme di principi di carattere generale, la Costituzione non interviene direttamente su un tema come quello delle commissioni bancarie e, a una prima lettura, non ci sono articoli che vietano una norma del genere», ha spiegato Volpi a Pagella Politica. Dunque, in teoria, il governo potrebbe anche approvare una misura per eliminare le commissioni sui pagamenti elettronici, ma correrebbe dei rischi. «Un provvedimento del genere sarebbe comunque facile oggetto di ricorsi di legittimità costituzionale di fronte alla Corte costituzionale, perché è una norma con la quale lo Stato pretende di imporre un prezzo a servizi offerti dai fornitori di pagamenti elettronici, che sono soggetti privati», ha sottolineato Volpi. 

Inoltre, un provvedimento del governo per eliminare le commissioni sui pagamenti elettronici potrebbe generare un effetto distorsivo sul mercato. «In base al principio di territorialità, essendo la norma una legge italiana, essa si imporrebbe solo agli operatori del nostro Paese e dunque un fornitore straniero di servizi di pagamento elettronico sarebbe escluso dalla normativa, generando un’asimmetria di mercato e uno svantaggio per gli operatori italiani», ha spiegato a Pagella Politica Roberto Garavaglia, consulente dell’Osservatorio innovative payments del Politecnico di Milano. «Proprio in virtù di questo effetto distorsivo, non escludo che, prima ancora della Corte costituzionale, una norma del genere possa essere oggetto di ricorsi di fronte alle autorità europee per possibili violazioni delle norme sulla concorrenza del mercato», ha aggiunto Garavaglia. Il punto centrale della questione è che le commissioni servono a pagare un servizio offerto da un privato. «Se lo Stato le elimina, allora deve necessariamente compensare questo provvedimento, garantendo agli operatori del settore i fondi per continuare a garantire il funzionamento dei Pos, con costi aggiuntivi per lo Stato stesso», ha sottolineato Garavaglia.

Ridurre le commissioni ha un costo

Come correttamente dichiarato da Meloni, da un punto di vista giuridico eliminare completamente le commissioni sui pagamenti elettronici sarebbe dunque una via molto complicata da percorrere. I governi precedenti sono intervenuti sul tema, mantenendo in vigore le commissioni, ma aiutando economicamente i commercianti a ridurne il peso sulle transazioni, con nuove spese a carico dello Stato.  

A ottobre 2019, per esempio, il secondo governo Conte ha introdotto la possibilità per gli esercenti con ricavi inferiori ai 400 mila euro di richiedere un credito d’imposta del 30 per cento sull’importo pagato in commissioni legati ai pagamenti elettronici. In concreto, i commercianti sono tenuti a pagare tutte le commissioni, ma alla fine dell’anno possono chiedere allo Stato un rimborso del 30 per cento delle commissioni pagate sul versamento delle tasse. 

A luglio 2021, il governo Draghi ha poi aumentato temporaneamente la percentuale del credito d’imposta al 100 per cento per i pagamenti effettuati tra il 1° luglio 2021 e il 30 giugno 2022. Il governo aveva introdotto un bonus dal valore massimo di 320 euro, sempre valido tra luglio 2021 e giugno 2022, per aiutare i commercianti interessati ad acquistare nuovi Pos e altri sistemi per pagamenti elettronici. Per finanziare questi ultimi due provvedimenti, il governo Draghi aveva previsto in totale una spesa aggiuntiva per lo Stato di 194,6 milioni di euro per il 2021 e di 186,1 milioni  di euro per il 2022.Infine, lo stesso governo Meloni ha introdotto un credito di imposta di 50 euro per l’acquisto del Pos, a favore dei commercianti. Per quest’ultima misura, il governo ha previsto un costo per lo Stato di circa 80 milioni di euro per il 2023.

Anche le società private hanno preso alcuni provvedimenti per incoraggiare l’uso dei pagamenti elettronici. Per esempio, dal 1° gennaio 2021 fino al 31 dicembre 2023, il circuito PagoBancomat ha azzerato le commissioni sui pagamenti elettronici per le transazioni fino a 5 euro.

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