Il Pos obbligatorio è un «regalo alle banche»?

Secondo Fratelli d’Italia, le multe per chi non accetta i pagamenti con carta, in vigore dal 30 giugno, impongono costi elevati: ecco che cosa c’è di vero
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
A partire dal 30 giugno i commercianti che si rifiutano di accettare un pagamento con carte di debito o di credito possono essere soggetti a una sanzione da 30 euro, più il 4 per cento del valore della transazione rifiutata. Le sanzioni sarebbero dovute entrare in vigore solo dal 1° gennaio del prossimo anno, ma il decreto “Pnrr bis” (approvato dal governo ad aprile e convertito in legge dal Parlamento il 29 giugno) ha anticipato di sei mesi il provvedimento. In questo modo è stato rispettato uno degli obiettivi fissati entro giugno per contrastare l’evasione fiscale dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), finanziato con oltre 190 miliardi di euro di risorse europee. 

L’introduzione delle sanzioni è stata criticata da Fratelli d’Italia, il principale partito all’opposizione del governo guidato da Mario Draghi. Il 1° luglio la leader Giorgia Meloni ha per esempio scritto su Facebook che l’obbligo di accettare le carte è l’«ennesimo regalo alle banche» e l’«ennesima batosta per i commercianti». La richiesta principale di Fratelli d’Italia è quella di eliminare le commissioni a carico dei commercianti, ossia le spese aggiuntive che questi devono pagare a banche e intermediari finanziari per poter offrire il servizio di pagamento elettronico. Di recente, una posizione simile è stata espressa anche dalle principali associazioni di categoria nel settore del turismo e del commercio, come Confcommercio e Confesercenti. Quello che serve «è una riduzione delle commissioni e dei costi a carico di consumatori ed imprese», ha dichiarato Confcommercio in una nota. 

Abbiamo verificato come stanno le cose: è vero che l’utilizzo del Pos (un acronimo dall’inglese point of sale, “punto di vendita”) per accettare  i pagamenti con carte comporta alcuni costi aggiuntivi per gli esercenti, anche se quantificarli con precisione non è semplice. Secondo i favorevoli alle sanzioni, i commercianti dovrebbero tenere in considerazione una serie di benefici che i pagamenti con carte comportano.

I costi dei pagamenti con carte

Innanzitutto, per l’utilizzo del Pos, i commercianti sono tenuti a pagare alcune spese fisiche, legate per esempio all’acquisto del dispositivo e alla sua installazione, che variano in base alla banca o alla società di pagamenti mobili che si sceglie come fornitrice del servizio. 

Per esempio Nexi, tra le principali aziende italiane specializzate in servizi e infrastrutture per i pagamenti digitali, permette di acquistare e attivare un Pos a partire da 29 euro, mentre i dispositivi di SumUp, un’altra azienda attiva nello stesso settore, vanno da 30 a 150 euro, senza costi di attivazione o installazione. Con Poste Italiane è possibile acquistare un Pos per 79 euro. Alcuni gestori prevedono poi un canone mensile o annuale per l’utilizzo del dispositivo: con Nexi, per esempio, queste spese vanno dai 15 ai 35 euro al mese, in base al modello selezionato, mentre Poste Italiane richiede un canone da 9,90 euro al mese.

Al di là del prezzo del dispositivo e della sua installazione, le spese più contestate sono quelle legate alle commissioni che l’esercente deve pagare per permettere ai clienti di utilizzare le carte di debito o di credito.

Il nodo delle commissioni

In gergo tecnico, il fornitore di servizi per il pagamento con carte, sia esso una banca o un’altra società alternativa, è chiamato acquirer. «Quando un cliente paga con la carta, per ogni transazione il commerciante è tenuto a pagare al proprio acquirer una commissione, che è fatta di diverse componenti», ha spiegato a Pagella Politica Matteo Risi, ricercatore dell’Osservatorio innovative payments del Politecnico di Milano. 

La prima componente riguarda le cosiddette “commissioni interbancarie”. Queste commissioni fanno riferimento allo scambio che avviene tra la banca che ha emesso la carta di pagamento utilizzata dal cliente e la banca del commerciante che riceve il pagamento. Semplificando un po’, per ogni transazione la banca del commerciante trattiene un certo importo dal totale pagato dal cliente. Parte di questo importo viene inviato alla banca che ha emesso la carta utilizzata dal cliente, mentre un’altra parte rimane invece alla banca che riceve il pagamento per conto del commerciante (Figura 1). In base una direttiva europea del 2015, le commissioni interbancarie non possono essere superiori allo 0,2 per cento del pagamento totale per le carte di debito e allo 0,3 per cento per le carte di credito.
Figura 1. Come funzionano le commissioni interbancarie – Fonte: Banca d’Italia
Figura 1. Come funzionano le commissioni interbancarie – Fonte: Banca d’Italia
«Un secondo pezzetto sono le commissioni dei circuiti, come Bancomat, Visa e Mastercard, che svolgono un ruolo abilitante nella transazione, perché altrimenti le banche non potrebbero parlarsi tra di loro», ha aggiunto Risi a Pagella Politica. Queste commissioni consistono in una percentuale sulla transazione, o in casi più rari in un importo fisso forfettario, che le banche o i circuiti di pagamento trattengono per ogni transazione effettuata con pagamenti elettronici. Le commissioni sulle transazioni non sono regolamentate da normative europee o da leggi nazionali, e il loro peso può variare in base alle banche o ai circuiti coinvolti e anche ai modelli di Pos utilizzati. «Un terzo pezzetto riguarda poi la commissione che spetta al cosiddetto processor, l’attore, spesso collegato all’acquirer, che tecnicamente collega e gestisce l’infrastruttura in modo che a livello tecnico il pagamento possa essere processato», ha aggiunto Risi. Al netto di queste commissioni, rimane infine il guadagno dell’acquirer».

Messe insieme, tutte queste commissioni comportano un costo per i commercianti, ma stabilire con precisione il loro valore complessivo non è semplice. «È molto complicato sapere quali sono i valori precisi delle commissioni imposte dalle banche, al più si possono conoscere i valori massimali, che non sono mai quelli realmente applicati», ha spiegato Risi a Pagella Politica. «Il sistema è poco trasparente, anche se le cose stanno migliorando negli ultimi anni, per questioni soprattutto di concorrenza: ogni banca ha le sue commissioni e cerca di non farle sapere al concorrente per evitare di perdere la clientela».

L’arrivo sul mercato di nuovi operatori per i pagamenti con carte sta cambiando però le carte in tavola. Questi operatori, infatti, sembrano offrire condizioni più trasparenti e chiare, e aumentare la concorrenza con le banche, distribuendo poi ai vari attori coinvolti nella transazione le commissioni raccolte. Per esempio, SumUp propone ai propri clienti una commissione complessiva fissa dell’1,95 per cento per ogni transazione, mentre le commissioni di Nexi, che collabora anche con Banca Intesa Sanpaolo, vanno dallo 0,99 per cento all’1,89 per cento, e con Unicredit la commissione è dello 0,9 per cento. Nexi ha anche attivato una promozione grazie alla quale fino al 31 dicembre 2022 le commissioni per i pagamenti inferiori ai 10 euro saranno rimborsate.

Che cosa dicono i commercianti

Secondo alcuni commercianti, queste percentuali, sebbene sembrino aggirarsi su livelli piuttosto bassi, possono avere un impatto elevato dove il margine di guadagno è già ridotto. «In attività come le edicole, i margini di profitto sono talmente bassi – per esempio per prodotti come le ricariche telefoniche o i valori bollati – che avere dei costi aggiuntivi riferiti a quest’obbligo diventa un problema», ha detto a Pagella Politica Emilio, che gestisce un’edicola-cartoleria nella periferia di Milano. «Un intervento statale che imponga costi ragionevoli per il servizio potrebbe essere un’utopia da perseguire». 

I commercianti possono comunque godere di alcuni benefici dall’utilizzo dei clienti dei pagamenti con le carte. Questi ultimi sono infatti ritenuti più sicuri di quelli effettuati con contanti o monete, permettono di ricevere soldi in qualsiasi valuta e vanno incontro alle esigenze di quei clienti che preferiscono non usare le banconote. «Il Pos lo abbiamo sempre avuto: so che le commissioni sono alte, ma è un metodo di pagamento molto utilizzato, soprattutto dopo la pandemia», ha raccontato a Pagella Politica Jessica, responsabile del negozio di abbigliamento vintage Lo specchio di Alice, a Milano.

Gli interventi per ridurre i costi

Gli ultimi due governi, il secondo guidato da Giuseppe Conte e l’attuale governo guidato da Mario Draghi, hanno preso alcuni provvedimenti per cercare di abbassare il costo complessivo delle commissioni sulle transazioni elettroniche a carico dei commercianti. 

A ottobre 2019, il secondo governo Conte ha introdotto con un decreto-legge la possibilità per gli esercenti con ricavi inferiori ai 400 mila euro di richiedere un credito d’imposta del 30 per cento sull’importo pagato in commissioni legati ai pagamenti elettronici. Di fatto, quindi, i commercianti sono tenuti a pagare tutte le commissioni, ma alla fine dell’anno possono chiedere allo Stato un rimborso del 30 per cento.

A luglio 2021, con la conversione in legge del decreto “Sostegni bis”, il governo Draghi ha aumentato temporaneamente la percentuale del credito d’imposta al 100 per cento per i pagamenti effettuati tra il 1° luglio 2021 e il 30 giugno 2022. Per un anno, quindi, le imprese hanno avuto la possibilità di chiedere un rimborso pari al totale delle spese sostenute per via delle commissioni, ma a inizio luglio, in concomitanza con l’entrata in vigore delle sanzioni per la mancanza del Pos, la percentuale rimborsabile è tornata a essere del 30 per cento. Il 1° luglio Confcommercio ha invitato il governo a prorogare la possibilità di richiedere un credito d’imposta al 100 per cento sulle commissioni.

Inoltre, il decreto “Sostegni bis” ha introdotto un bonus dal valore massimo di 320 euro, sempre valido tra luglio 2021 e giugno 2022, per aiutare i commercianti interessati ad acquistare nuovi pos e altri sistemi per pagamenti elettronici.

Anche le società private hanno preso alcuni provvedimenti per incoraggiare l’uso dei pagamenti elettronici. Bancomat Spa, l’azienda che gestisce il principale circuito per i pagamenti con carta di debito in Italia, ha per esempio deciso di eliminare le commissioni sui pagamenti fino a 5 euro per due anni, dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2022. Bancomat ha spiegato che l’iniziativa punta «ad ampliare la diffusione e l’accettazione dei micropagamenti, che oggi rappresentano solo il 2,3 per cento delle transazioni» e a «facilitare l’adozione del Pos da parte degli esercenti».

Il costo del contante

Già prima degli interventi citati, negli ultimi anni i costi per i commercianti legati ai pagamenti con carte sono scesi in Italia, come spiega uno studio pubblicato nel 2020 dalla Banca d’Italia, che ha analizzato i dati tra il 2009 e il 2016. Secondo i ricercatori, in questo lasso di tempo i costi dei pagamenti con carte per i commercianti sono scesi in media da 0,96 euro a transazione a 0,46 euro, con le commissioni bancarie che pesano tra l’80 e il 90 per cento di questi costi.

La ricerca della Banca d’Italia ha messo inoltre in evidenza un aspetto di cui finora non abbiamo parlato: i costi del contante. L’utilizzo di banconote e monete, infatti, ha un suo costo per la società, le banche e i commercianti. Si pensi per esempio ai rischi di furto o al trasporto del contante incassato per depositarlo in banca. «Il contante può essere percepito quale mezzo di pagamento più economico da imprese ed esercenti se commisurato alla singola transazione (0,19 euro) tenuto anche conto che questi operatori non sostengono del tutto i costi direttamente imputabili al contante», hanno sottolineato i ricercatori. «Tuttavia, se commisurato in percentuale del valore della transazione, il costo privato del contante (1,10 per cento) risulta il più elevato a causa dei maggiori oneri (variabili) legati alla sicurezza (es: furti, trasporto valori, assicurazioni)» (Tabella 1).
Tabella 1. Confronto tra costi privati di accettazione presso l’esercente – Fonte: Banca d’Italia
Tabella 1. Confronto tra costi privati di accettazione presso l’esercente – Fonte: Banca d’Italia
La stima dei costi di accettazione del contante cambia a seconda delle categorie di esercenti. Secondo Banca d’Italia, l’incidenza dei costi è più bassa dove è presente una struttura distributiva organizzata (per esempio i supermercati), mentre per le altre categorie commerciali, come i distributori di carburante, i bar e i tabacchi, l’incidenza è più elevata. 

I limiti delle sanzioni

Al di là della questione dei costi, la norma che ha inserito le sanzioni per la mancata accettazione dei pagamenti con carte rischia di essere poco efficace. Con la legge di Bilancio per il 2016, il governo Renzi ha precisato infatti che l’obbligo del Pos non si applica in casi di «oggettiva impossibilità tecnica». Questa definizione, piuttosto vaga, potrebbe includere, per esempio, anche le situazioni in cui un commerciante dichiara di avere il Pos temporaneamente fuori uso. 

Secondo le norme attualmente in vigore, i commercianti sono poi tenuti ad accettare pagamenti con almeno una carta di debito e una carta di credito, e non con tutti i circuiti disponibili. Un commerciante potrebbe così rispettare la norma accettando per i pagamenti con carta di credito soltanto il circuito Mastercard, e non Visa o American Express. Infine, la sanzione scatterà solo in seguito a una denuncia presentata dal cliente a cui è stata negata la transazione, un metodo che secondo alcuni rischia di mettere in dubbio l’effettiva applicabilità delle sanzioni. 

Ricapitolando: da un lato, è vero che i commercianti sono tenuti generalmente a pagare commissioni su ogni transazione effettuata con pagamenti elettronici, anche se in alcuni casi negli ultimi anni questi costi si sono ridotti. Dall’altro, anche l’uso del contante ha i suoi costi e i pagamenti elettronici hanno alcuni benefici, legati alla sicurezza e al potenziale allargamento della clientela dei commercianti. «Per gli esercenti in generale e soprattutto per alcune categorie merceologiche, l’uso massivo delle carte per i pagamenti di basso importo o degli altri strumenti elettronici – spiega il già citato studio della Banca d’Italia – potrebbe rendere più conveniente l’attività di impresa e ridurre i rischi derivanti dalla gestione del contante».

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