Le critiche di Banca d’Italia, Corte dei Conti e Istat alla legge di Bilancio

Durante le audizioni in Parlamento, le tre istituzioni hanno espresso perplessità sull’aumento del tetto al contante, sul condono fiscale, sul taglio al reddito di cittadinanza e sulle pensioni
ANSA
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Negli scorsi giorni è partito alla Camera dei deputati l’esame del disegno di legge di Bilancio per il 2023, approvato dal governo Meloni, che dovrà ricevere il via libera del Parlamento entro la fine dell’anno. Prima di passare per il voto dell’aula, il testo deve essere esaminato dalla Commissione Bilancio, dove sono iniziate le audizioni con cui i parlamentari raccolgono informazioni per valutare più nel dettaglio il contenuto e gli effetti della legge di Bilancio. 

Tra gli altri, fino a oggi sono stati ascoltati i rappresentanti di tre istituzioni indipendenti, che hanno un ruolo di primo piano nel nostro Paese: l’Istat, che è l’istituto nazionale di statistica; la Banca d’Italia, che è la banca centrale italiana; e la Corte dei Conti, un organismo che ha funzione di controllo sulla spesa pubblica.

Dal reddito di cittadinanza alle pensioni, tutte e tre queste istituzioni hanno sollevato critiche verso le misure principali contenute nel disegno di legge di Bilancio del governo Meloni.

Il reddito di cittadinanza

Il governo ha deciso che nel 2023 i percettori del reddito di cittadinanza tra i 18 e i 59 anni, senza minori e disabili a carico, ossia quelli considerati “occupabili”, potranno prendere il sussidio per un massimo di 8 mesi. Inoltre, chi rifiuta la prima offerta di lavoro congrua perderà l’assegno mensile.

Il 5 dicembre, in audizione alla Camera, Fabrizio Balassone, capo del servizio struttura economica della Banca d’Italia, ha sottolineato che, con queste novità, «bisognerà prestare attenzione ai rischi di aumento dell’indigenza nelle aree dove il reddito di cittadinanza è più diffuso e il mercato del lavoro strutturalmente malfunzionante, aree già ora caratterizzate da tassi di povertà più elevati». Secondo la banca centrale, la riduzione della platea dei beneficiari del sussidio «potrebbe riguardare anche nuclei familiari difficilmente in grado di trovare una fonte di reddito alternativa sul mercato del lavoro, per di più in un contesto di rallentamento dell’economia e con un costo della vita in significativo aumento».

Lo stesso giorno anche il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha evidenziato che le caratteristiche dei percettori coinvolti dalla legge di Bilancio «rendono prima di tutto necessario migliorare i processi di inclusione sociale e lavorativa e di formazione e riqualificazione professionale dei beneficiari». Secondo la Corte dei Conti, ascoltata il 2 dicembre, il governo dovrebbe essere più chiaro nel definire il «concetto di “occupabilità”» e «proseguire il percorso di riqualificazione dei centri per l’impiego».

Il condono fiscale

Una misura che ha sollevato parecchie critiche in questa settimana è la cosiddetta “tregua fiscale”, il nome con cui il governo indica una serie di provvedimenti che, di fatto, sono un condono per agevolare i contribuenti non in regola con il fisco a sanare la loro posizione. Per esempio, il governo ha deciso che le cartelle esattoriali con un valore fino a mille euro, inviate fino al 2015, saranno cancellate.

Secondo la Banca d’Italia, oltre a minori entrate per lo Stato di circa un miliardo di euro nel 2021, queste misure – già introdotte in passato da precedenti governi – possono avere «un effetto negativo sul rispetto delle norme tributarie da parte dei contribuenti». Dello stesso parere è la Corte dei Conti, secondo cui si rischia di ridurre l’effetto deterrente delle attività di controllo e di riscossione e di indurre «molti contribuenti, anche non gravemente colpiti dalla crisi indotta dalla lunga pandemia e dall’eccezionale aumento dei costi dei prodotti energetici», a pensare che non pagare le tasse sia, alla fine, «notevolmente vantaggioso».

Tetto al contante e obbligo del Pos

L’articolo 69 del disegno di legge di Bilancio propone di alzare nel 2023 il limite all’uso del contante a 5 mila euro e di eliminare l’obbligo per i commercianti di accettare i pagamenti elettronici per qualsiasi importo, fissando l’obbligo solo per i pagamenti dai 60 euro in su. Sia la Banca d’Italia che la Corte dei Conti hanno criticato questa proposta.

Nella sua audizione, la banca centrale ha sottolineato che i limiti all’uso del contante «rappresentano un ostacolo per diverse forme di criminalità ed evasione». «In particolare, negli ultimi anni sono emersi studi, anche condotti nel nostro istituto su dati italiani, che suggeriscono che soglie più alte favoriscono l’economia sommersa», ha spiegato la Banca d’Italia. «C’è inoltre evidenza che l’uso dei pagamenti elettronici, permettendo il tracciamento delle transazioni, ridurrebbe l’evasione fiscale». Anche la Corte dei Conti ha ribadito che la riduzione dell’utilizzo del contante «rende le attività criminose più difficili da compiere», mentre la diffusione dei pagamenti elettronici, «oltre a garantire la libertà di scelta dei consumatori», è fondamentale per contrastare l’evasione fiscale.

Entrambe le istituzioni hanno poi sottolineato che le sanzioni contro chi non accetta i pagamenti elettronici sono scattate dal 30 giugno 2022 per rispettare uno degli impegni presi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nella lotta all’evasione.

L’estensione del regime forfetario

Il disegno di legge di Bilancio contiene l’estensione del regime forfetario al 15 per cento (quello che la Lega chiama impropriamente “flat tax”) alle partite Iva con ricavi fino a 85 mila euro, alzando la soglia attuale fissata a 65 mila euro. 

Secondo la Banca d’Italia, questo ampliamento «restringe ulteriormente l’ambito di applicazione della progressività nel nostro sistema di imposizione personale sui redditi, che come noto è garantita dall’Irpef», ossia l’imposta sui redditi delle persone fisiche. Il principio della progressività, sancito dalla Costituzione, stabilisce che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Il rischio, evidenziato dalla Banca d’Italia, è che i lavoratori dipendenti e gli autonomi, «con la stessa capacità contributiva», siano trattati «in modo ingiustificatamente dissimile». Non solo: l’estensione del regime forfetario potrebbe addirittura «incentivare l’evasione», non dichiarando i ricavi che superano la soglia oltre la quale non varrebbe più l’aliquota unica al 15 per cento.

«Dal punto di vista della struttura del prelievo sui redditi, si indebolisce così ulteriormente il ruolo dell’Irpef e se ne accentua la specialità sui redditi di lavoro dipendente e di pensione», ha dichiarato in merito la Corte dei Conti.

Pensioni e sanità

Dubbi e critiche sono state sollevate in audizione anche su altri temi, come le pensioni, l’assistenza e la sanità. 

Per esempio, Istat ha evidenziato che le risorse per la rivalutazione delle pensioni decisa dal governo Meloni, per adeguare il loro importo all’aumento dell’inflazione, rischia di andare di più ai «redditi più alti», nonostante il disegno di legge di Bilancio abbia proposto di ridurre progressivamente la rivalutazione per le pensioni dai 2.100 euro mensili in su.

Nel 2023, se non ci saranno modifiche alla legge di Bilancio, sarà poi possibile andare in pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi previdenziali versati. Secondo la Corte dei Conti, misure di questo tipo potrebbero dare «l’impressione che si stia rinunciando a costruire un sistema previdenziale imperniato su regole stabili, certe, di lunga durata, quasi come se si preferisse intervenire di volta in volta con provvedimenti ad hoc, tarati sulla base di specifiche circostanze e condizionati, spesso e inevitabilmente, dalla congiuntura macro-finanziaria».

A sostegno delle famiglie, il governo Meloni ha proposto di ridurre al 5 per cento l’Iva sui prodotti per l’infanzia, ma questo provvedimento, ha sottolineato la Banca d’Italia, «andrebbe a beneficio di tutti i consumatori di tali prodotti, destinando risorse pubbliche anche a nuclei che non versano in condizione di bisogno».

Infine, un’ultima osservazione merita l’evoluzione futura della spesa sanitaria italiana. Nel 2024, ha spiegato la Corte dei Conti, le risorse destinate alla sanità, in rapporto al Pil, si porteranno su «livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi sanitaria».

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