Nella mattinata di martedì 22 novembre, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presentato in una conferenza stampa il contenuto del disegno di legge di Bilancio, approvato dal Consiglio dei ministri. Tra le altre cose, Meloni ha specificato che nel testo «non è previsto alcun condono», presentando la cosiddetta “tregua fiscale”. Poche ore dopo, la presidente del Consiglio ha ripetuto la stessa cosa, in un intervento di fronte all’Assemblea nazionale di Confartigianato, ribadendo che la legge di Bilancio non prevede «alcun condono», ma «solamente operazioni di buon senso e vantaggiose per lo Stato». Le cose però non stanno così: anche la tregua fiscale è una forma di condono fiscale.

Il testo ufficiale del disegno di legge di Bilancio non è ancora disponibile, ma la stessa Meloni ha descritto in conferenza stampa che cosa prevede la tregua fiscale, già anticipata nelle scorse settimane dal viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo (Fratelli d’Italia). Tra le altre cose, il governo ha deciso di annullare le cartelle esattoriali con un valore inferiori ai mille euro, inviate ai contribuenti entro il 2015, quindi vecchie di oltre sette anni. In più, «per tutti gli altri si dovrà pagare il dovuto – ha specificato Meloni – con una maggiorazione unica del 3 per cento e con una possibilità di rateizzazione», senza gli oneri di riscossione e altre maggiorazioni. 

Secondo l’enciclopedia Treccani, un condono fiscale è un «provvedimento legislativo che prevede un’amnistia fiscale e ha lo scopo di agevolare i contribuenti che vogliano risolvere pendenze in materia tributaria». Nella letteratura scientifica internazionale, il “condono” (in inglese tax amnesty) è definito come «l’opportunità data ai contribuenti di saldare un debito con il fisco, inclusi gli interessi e le more, pagandone solo una parte». In base ai dettagli visti sopra, la tregua fiscale rientra a tutti gli effetti in questa categoria, perché da un lato cancella automaticamente i debiti di alcuni contribuenti con il fisco, dall’altro lato fa sì pagare il dovuto, ma con uno sconto sulle maggiorazioni.

A marzo 2021, una misura simile è stata adottata dal governo guidato da Mario Draghi. Il decreto “Sostegni” aveva infatti stabilito l’annullamento delle cartelle esattoriali fino a 5 mila euro, arrivate tra il 2000 e il 2010, per tutti i contribuenti che nel 2019 avevano dichiarato un reddito entro i 30 mila euro. «Questo in effetti è un condono», aveva ammesso in conferenza stampa Draghi, presentando il provvedimento in una conferenza stampa. «È chiaro che in questo caso lo Stato non ha funzionato», aveva aggiunto l’allora presidente del Consiglio, criticando l’accumulo di cartelle che il fisco non era riuscito a riscuotere. 

Anche il primo governo guidato da Giuseppe Conte, supportato da Lega e Movimento 5 stelle, aveva introdotto a ottobre 2018, nel decreto “Fiscale”, la cancellazione automatica dei debiti per le cartelle esattoriali relative al periodo tra il 2000 e il 2010, con un importo fino ai mille euro. Il decreto conteneva poi altre misure per agevolare i contribuenti che avevano debiti con il fisco, raccolte sotto il nome di “pace fiscale” (termine che oggi ricorda quello di tregua fiscale). «Possiamo chiamarlo condono?», aveva chiesto un giornalista a Conte, durante la conferenza stampa di presentazione del decreto, ricevendo questa risposta dall’allora presidente del Consiglio: «Lei lo chiami come vuole: noi lo chiamiamo definizione agevolata, pacificazione, eccetera. Poi siccome il lessico è nelle sue facoltà, lei domani scriva quello che vuole».

In passato, il leader della Lega Matteo Salvini, oggi ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del governo Meloni, aveva ammesso che l’espressione “pace fiscale” era un sinonimo di «condono».