Che cosa dice la legge sul silenzio elettorale

Sabato e domenica saranno vietate le attività di propaganda alla radio e in tv, ma la norma ha vari limiti e non si applica ai social network
ANSA
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Dalla mezzanotte di venerdì 23 settembre fino alla chiusura dei seggi, prevista per le ore 23 di domenica 25 settembre, ai politici italiani è vietato fare campagna elettorale. Non potrà quindi essere organizzato nessun comizio, nessun annuncio o intervista in tv e sarà vietata l’affissione di manifesti di propaganda. Come vedremo, questo “silenzio elettorale” è stabilito da un legge del 1956 e serve a garantire ai cittadini un giorno per riflettere sul voto in totale autonomia. 

Non sempre però le norme sul silenzio elettorale vengono rispettate, anzi. L’attuale regolamentazione del silenzio elettorale presenta diversi limiti, soprattutto perché non include i social network, piattaforme utilizzate ormai da milioni di utenti e da tutti i principali politici italiani.

Che cosa prevede la legge

La legge che introduce il silenzio elettorale risale al 1956 e stabilisce  (art. 9), per il giorno precedente al voto, il divieto di comizi o riunioni in luoghi pubblici, l’affissione di nuovi manifesti elettorali e lo svolgimento di qualsiasi attività di propaganda a meno di 200 metri dai seggi. Nello stesso periodo di tempo non è concessa nemmeno la propaganda sulle emittenti televisive e radiofoniche sia pubbliche, come la Rai, che private. Secondo le norme attualmente in vigore, chi rompe il silenzio elettorale incorre in una pena che può variare da una sanzione di circa 100 euro fino alla detenzione di un anno, anche se spesso non viene preso alcun provvedimento. 

Il giorno del voto, infatti, giornalisti e fotografi seguono i politici fin nel seggio per le classiche foto di rito mentre inseriscono la scheda nell’urna elettorale. Non è raro, in queste situazioni, che ai candidati venga chiesto di rilasciare una dichiarazione, che generalmente si limita a un appello alla partecipazione. Succede però, a volte, che tali dichiarazioni sfocino nel commento politico o addirittura nella propaganda, rompendo quindi il silenzio elettorale, senza però incorrere in nessuna sanzione.

Il vuoto normativo

L’ambiguità della legge sul silenzio elettorale non si limita al fatto che spesso non viene applicata: le norme infatti contemplano in nessun modo internet tra i “luoghi” nei quali è vietato fare propaganda, generando quindi un vero e proprio vuoto normativo. Secondo un rapporto Istat del 2019, più del 42 per cento degli italiani utilizza internet per informarsi sulla politica, e con tutta probabilità la percentuale oggi è ancora più alta: basti pensare che il leader della Lega Matteo Salvini ha deciso di chiudere la campagna elettorale, il 23 settembre, non con un comizio ma con una diretta di quattro ore sui social, definiti «la piazza virtuale più grande d’Italia».

Sfruttando questa zona franca, quindi, di fatto molti partiti continuano a fare propaganda anche nel giorno precedente all’apertura dei seggi, con video e post che invitano a votare per loro. Alle elezioni amministrative dello scorso ottobre, un ex consigliere comunale di Roma pubblicò addirittura la foto della sua scheda elettorale, con la preferenza ben visibile (una pratica vietata di per sé e punibile con l’arresto da tre a sei mesi e multa da trecento a mille euro). 

In questi ultimi anni non sono mancati i tentativi di modificare la legge sul silenzio elettorale aggiungendo anche internet e i social network, ma nessuna proposta è stata approvata in Parlamento. Inoltre, in Europa non tutti gli Stati prevedono uno stop alla campagna elettorale in vista del voto: in Germania e nel Regno Unito, come anche gli Stati Uniti, non c’è nessun limite in questo senso.

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