Dalla mezzanotte di sabato 2 ottobre fino alle 15 di lunedì 4 – orario di chiusura dei seggi – ai politici italiani è stato vietato di fare campagna elettorale: nessun comizio, nessun annuncio o ospitata televisiva e stop all’affissione di manifesti di propaganda entro 200 metri dal seggio. Questo “silenzio elettorale”, spesso al centro di polemiche e presunte violazioni, è stabilito dalla legge per tutte le votazioni che si tengono in Italia e serve a consentire ai cittadini un giorno per riflettere sul voto in totale autonomia: ma i politici hanno rispettato il divieto in questa tornata elettorale?

Non ci vuole molto per accorgersi che no, gran parte della politica italiana ha continuato a fare campagna anche nei giorni di silenzio elettorale, specie attraverso i social network. Vediamo perché questo è possibile e quali sono le proposte per impedirlo.

Il punto sulla legislazione in Italia

La legge che introduce il silenzio elettorale, datata 1956, stabilisce il divieto (art.9) di comizi o riunioni in luoghi pubblici e l’affissione di nuovi manifesti elettorali, che comunque non possono trovarsi a meno di 200 metri dalla sede del seggio. Dal 1975 la Commissione vigilanza Rai disciplina direttamente il controllo del silenzio elettorale nelle tribune politiche televisive e radiofoniche. Successivamente è stato aggiunto un articolo che impone il periodo di silenzio anche alle emittenti private.

La pena per chi rompe il silenzio elettorale varia da una sanzione tra i cento e i mille euro alla detenzione fino a un anno, ma spesso non viene preso nessun provvedimento. Il giorno del voto, giornalisti e fotografi seguono i politici fin nel seggio per le classiche foto di rito mentre inseriscono la scheda nell’urna elettorale: non è raro, in situazioni come questa, che ai candidati venga chiesto di rilasciare una dichiarazione, che generalmente si limita a un appello alla partecipazione.

Succede però a volte che tali dichiarazioni sfocino nel commento politico o addirittura nella propaganda, rompendo quindi il silenzio elettorale. Il 3 ottobre Silvio Berlusconi, intervistato all’uscita dal seggio, ha dichiarato di «aspettarsi un buon risultato dalle liste di partito», non prima di aver criticato gli alleati nella scelta dei candidati. Come lui, diversi politici in questi giorni hanno rilasciato dichiarazioni più o meno politiche ai giornalisti, e continuato a fare campagna elettorale nonostante la normativa.

La questione però non si riduce alla mancata applicazione della legge: il silenzio elettorale infatti non contempla in nessun modo internet tra i “luoghi” nei quali è vietato fare propaganda, generando quindi un vero e proprio vuoto normativo. Secondo un rapporto Istat del 2019, più del 42 per cento degli italiani utilizza internet per informarsi sulla politica (con tutta probabilità la percentuale oggi è ancora più alta). Sfruttando questa zona franca quindi, molti partiti hanno continuato a fare propaganda a urne aperte soprattutto sui social, con video, post e in un caso addirittura con una foto della scheda elettorale (una pratica vietata di per sé e punibile con l’arresto da tre a sei mesi e multa da trecento a mille euro).

In ogni caso, in questi anni non sono mancati i tentativi di modifica della normativa sul silenzio elettorale. Nel 2019 due diverse proposte di legge chiedevano alla Camera l’estensione del divieto anche alle piattaforme digitali, e a novembre 2020 è stata presentata in Senato una modifica del testo di legge, ma nessuna delle iniziative ha avuto seguito.

Alcuni commentatori politici hanno fatto notare questa ambiguità, sollevando dubbi sulla legge o addirittura proponendo di abrogarla. D’altro canto, il cosiddetto “blackout” delle comunicazioni non è osservato da tutti gli Stati, e spesso dove è attivo presenta comunque delle differenze con l’Italia.

Il silenzio elettorale nel resto del mondo

Secondo l’Ace electoral knowledge network, un’organizzazione che si occupa di monitorare i processi elettorali mondiali, il silenzio elettorale non è adottato in tutti i Paesi del mondo: Stati Uniti, Germania e Regno Unito ad esempio non osservano nessun periodo di blackout e i messaggi elettorali, così come i sondaggi d’opinione, possono essere diffusi in qualsiasi momento.

In Spagna e in Francia invece dalla mezzanotte del giorno precedente le elezioni viene stabilito uno stop alle comunicazioni simile all’Italia. In Spagna si chiama jornada de reflexión, e dal 2011 include il divieto di utilizzo dei mezzi digitali come internet e i social. In Francia una legge vieta, oltre al tenere riunioni e distribuire volantini, anche di «diffondere al pubblico per via elettronica qualsiasi messaggio avente carattere di propaganda elettorale». Per rispettare questo provvedimento, nel 2012 il futuro presidente della Repubblica François Hollande aveva sospeso temporaneamente il suo profilo Facebook per evitare di alimentare il dibattito sui social in un periodo di silenzio elettorale.

L’Italia presenta invece una delle normative più stringenti riguardo la pubblicazione dei sondaggi, che è vietata nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni. Anche in Paesi che applicano il silenzio elettorale come Francia e Spagna lo stop ai sondaggi dura molto meno (un giorno per la Francia e cinque per la Spagna). Legislazioni con più di dieci giorni di divieto di pubblicazione dei sondaggi, e quindi simili a noi, sono quelle di Grecia, Marocco, Tunisia e Giappone.

Ricapitolando: il silenzio elettorale non è presente in tutti gli Stati. Negli Stati Uniti, in Germania e nel Regno Unito per esempio i politici possono fare campagna elettorale in qualsiasi momento. Francia e Spagna invece hanno un ordinamento simile al nostro, con la differenza che le loro leggi includono il divieto di fare propaganda su internet e tutti i mezzi digitali.

In conclusione

Dalla mezzanotte del giorno precedente le elezioni e fino alla fine delle stesse, in Italia vige un periodo di silenzio elettorale, nel quale è vietata qualsiasi forma di propaganda elettorale, anche a mezzo stampa o televisivo.

La legge in vigore però non tiene conto di internet e dei social network, dove anche dopo l’apertura delle urne diversi partiti e candidati proseguono le loro campagne elettorali: per colmare questo vuoto normativo sono state presentate di recente diverse proposte di modifica del testo di legge, ma ad oggi non sono ancora state approvate.

In Europa non tutti gli Stati prevedono uno stop alla campagna elettorale in vista del voto: in Germania e nel Regno Unito (come anche gli Stati Uniti) non c’è nessun limite in questo senso. Più simili all’Italia invece Francia e Spagna, con la differenza che entrambi gli Stati includono tra i divieti l’utilizzo di internet e dei mezzi digitali a fini propagandistici.