Il 10 novembre il ministro dell’Ambiente Sergio Costa (M5s) ha commentato in un comunicato stampa la sentenza della Corte di Giustizia europea, secondo cui l’Italia non ha ancora fatto abbastanza per rispettare le direttive Ue sulla qualità dell’aria.

Secondo la Corte, tra il 2008 e il 2017 in diverse zone del territorio italiano – tra cui la Pianura Padana – non è stato garantito il rispetto dei valori limite fissati per le particelle di PM10, ossia le polveri con un diametro inferiore al centesimo di millimetro che compongono il particolato atmosferico.

Costa ha scritto che, nonostante gli sforzi del suo ministero, nel nostro Paese l’inquinamento atmosferico è ancora un problema irrisolto, che ogni anno è responsabile di «almeno 80 mila» morti. Lo stesso numero era stato citato il 4 novembre dal ministro, che aveva sottolineato su Facebook: «Ricordo che per colpa dello smog ogni anno in Italia muoiono 80 mila persone».

Questo è un numero “caro” al ministro: già a dicembre 2018 Costa aveva pubblicato un articolo sul Blog delle stelle – l’organo ufficiale di comunicazione del Movimento 5 stelle – intitolato “80.000 morti premature all’anno a causa dello smog”.

Insomma, siamo davanti a un dato che periodicamente ritorna di attualità, riproposto anche da diversi quotidiani e da altri partiti, come i Verdi. Questo numero è corretto oppure no?

In breve: sulla stima puntuale riportata da Costa da tempo si sta facendo un po’ di confusione, ma questo non toglie che l’inquinamento atmosferico sia un grave problema per la salute globale. Tutte le stime nella letteratura scientifica concordano nel dire che, all’interno di un’ampia forbice, la mortalità legata all’aria inquinata è effettivamente molto elevata.

Vediamo i dettagli.

Che cosa dicono i numeri

I dati dell’Eea

Quando si parla di qualità dell’aria, una delle organizzazioni più autorevoli in materia è l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea, da European environment agency), un’agenzia dell’Unione europea che ha il compito di fornire informazioni indipendenti e qualificate sull’ambiente.

A ottobre 2019 Eea ha pubblicato il rapporto Air quality in Europe 2019, che contiene l’analisi più aggiornata sulla qualità dell’aria nel continente dal 2000 al 2017. Un capitolo del rapporto è dedicato (pag. 66) all’impatto che l’esposizione all’inquinamento atmosferico ha sulla salute della popolazione nei vari Paesi europei.

L’Eea ha in sostanza stimato qual è il numero di morti premature – che arrivano quindi prima dell’età relativa alla normale aspettativa di vita – dovute soprattutto a malattie respiratorie e cardiovascolari, focalizzandosi in particolare su tre agenti inquinanti: il Pm2.5 (ossia il “particolato fine”, con un diametro inferiore ai 2,5 micrometri), il diossido di azoto (No2) e l’ozono (O3).

L’inquinamento atmosferico, dunque, non va inteso tanto come la causa diretta di un decesso, quanto piuttosto come un elemento che contribuisce allo sviluppo di diverse patologie mortali (per esempio una persona è morta di infarto o di un cancro ai polmoni, su cui entrambi ha contribuito una pessima qualità dell’aria).

I calcoli dell’Eea poggiano (pag. 66) su un modello abbastanza complesso, che deve tenere conto, tra le altre cose, dei dati sulla concentrazione dell’inquinamento nell’aria, dei dati demografici e sulla salute delle persone, e dei dati sugli effetti negativi che possono avere le sostanze inquinanti sugli esseri umani.

Secondo i dati dell’agenzia Ue, relativi a 41 Paesi europei, nel 2016 circa 412 mila morti premature erano riconducibili (pag. 68) all’esposizione al particolato fine, circa 71 mila al diossido di azoto e circa 15.100 all’ozono. Per l’Italia, le morti premature erano rispettivamente circa 58.600, 14.600 e 3 mila: sono i numeri più alti di tutto il continente.

Come hanno fatto in passato alcuni quotidiani italiani per altri rapporti dell’Eea, la tentazione è subito quella di sommare le tre voci sulle morti premature, ottenendo un numero complessivo di vittime in Italia superiore alle 76 mila unità nel 2016, un dato in calo rispetto alle oltre 84 mila (pag. 68) del 2015.

C’è però un problema non da poco: come spiega (pag. 67) l’Eea nel suo rapporto, questa operazione è un errore. «Le stime degli impatti sulla salute delle persone sono fatte singolarmente per i vari agenti inquinanti dell’aria e non possono essere sommate tra di loro, dal momento che tra di loro hanno un certo grado di correlazione, positiva o negativa», sottolinea l’agenzia Ue. «Per esempio, se si sommano i valori del Pm2,5 con quelli dell’No2, il rischio di contare due volte gli effetti dell’No2 aumenta del 30 per cento».

Inoltre, ha chiarito l’Eea, «queste stime forniscono una misura dell’impatto generale dell’inquinamento atmosferico su una data popolazione e, per esempio, i numeri non possono essere assegnati a singoli individui che vivono una specifica località geografica».

Insomma, questi dati – seppure molto preoccupanti – vanno comunicati con maggiore cautela e precisione. Già in passato incomprensioni simili erano avvenute in altri Paesi, come il Regno Unito.

Altre stime

Anche nel 2016 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha commesso (pag. 12) l’errore di sommare tra di loro le tre voci sulle morti premature, in un profilo dedicato all’Italia che contiene dati dell’Eea relativi al 2013 (in quell’anno si parlava di oltre 91 mila morti).

La stessa Oms ha però un database online, con dati aggiornati a metà 2018 e relativi alle morti potenzialmente riconducibili all’inquinamento dell’aria (ossia quello prodotto dai mezzi di trasporto, dalle case e dalle industrie). Secondo l’Oms, nel 2016 in Italia le vittime dell’inquinamento atmosferico sarebbero state circa 29 mila, ma con un margine d’incertezza abbastanza ampio, che va da circa 22 mila decessi a oltre 38 mila. All’interno di questo margine ci sono morti dovute, per esempio, al cancro ai polmoni o malattie cardiocircolatorie.

Questi dati però fanno riferimento a stime relative soltanto al particolato fine, ossia al Pm2,5, che erano uno dei tre agenti analizzati dall’Eea (che ha dato numeri più alti per questo agente inquinante).

Nel 2015, uno studio promosso dal Ministero della Salute conteneva numeri ancora diversi, seppure più datati. Secondo questa ricerca, nel 2005 in Italia i «decessi attribuibili» all’esposizione di Pm2,5 erano circa 34.500, scesi a circa poco più di 21 mila nel 2010. Quelli attribuibili al No2 15 anni fa erano oltre 23 mila, mentre nel 2010 circa 12 mila.

Dunque è evidente che a seconda della metodologia utilizzata le stime sulle morti riconducibili all’inquinamento atmosferico variano, e non di poco. Come abbiamo visto prima anche per quanto riguarda l’Eea, sembra comunque essersi registrato un trend di decrescita, molto probabilmente dovuto al miglioramento della qualità dell’aria nel nostro Paese.

«Nonostante l’Italia non riesca ancora a rispettare i, secondo me, troppo severi e attualmente irrangiungibili limiti sul numero di superamenti giornalieri per le particelle di PM10, la qualità dell’aria italiana è fortemente migliorata negli ultimi decenni, come risultato delle politiche messe in atto», ha spiegato a Pagella Politica Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e autore nel 2013 del libro Aria pulita, edito da Bruno Mondadori.

«Se oggi vivessimo nella Milano degli anni Settanta, saremmo in una situazione quotidianamente considerata di emergenza sanitaria», ha aggiunto Caserini. «Negli ultimi anni nella Pianura Padana è calato il numero di giorni, che resta ancora alto, in cui vengono sforati i limiti europei. Ma è innegabile che un miglioramento c’è stato e che c’è ancora molto da fare».

La situazione potrebbe essere ancora più grave del previsto

Prima di concludere, diamo un’occhiata a che cosa dicono le statistiche a livello mondiale. Secondo le stime dell’Oms, oltre 7 milioni di persone in tutto il mondo muoiono ogni anno a causa dell’esposizione all’inquinamento atmosferico; in generale nove abitanti su 10 del Pianeta respirano aria nociva. Nei decessi non vanno contati solo quelli legati all’inquinamento all’aria aperta (circa 4,2 milioni), ma anche quelli dell’inquinamento dell’aria all’interno della case (circa 3,8 milioni), per esempio generato dall’utilizzo di combustibili nocivi per cucinare.

Ma anche qui le cifre “ballano” parecchio. Come ha spiegato un approfondimento dell’anno scorso uscito su Scienza in rete, ancora una volta pesano le diverse metodologie utilizzate per stimare le morti legate all’inquinamento atmosferico. In parole semplici, a seconda delle assunzioni e dei calcoli, la variabilità delle stime aumenta notevolmente. Secondo uno studio uscito su Pnas a luglio 2018, l’aria inquinata contribuirebbe infatti alla morte di oltre 9 milioni di persone al mondo, un dato più alto di quello dell’Oms.

A maggio 2019, sulla rivista scientifica European heart journal, è stato invece pubblicato uno studio che utilizzava la stessa metodologia della ricerca su Pnas per calcolare le morti in Europa per malattie cardiovascolari riconducibili all’inquinamento dell’aria, ma più nello specifico al Pm2,5. Secondo i ricercatori, l’eccesso di mortalità annuale nei 28 Paesi Ue legati all’aria inquinata sarebbe di circa 659 mila vittime, con un margine di incertezza che va da 537 mila a 775 mila. Secondo i dati più aggiornati dell’Eea, al Pm2,5 erano riconducibili circa 374 mila morti.

Secondo lo studio dell’European heart journal, per l’Italia stiamo parlando di circa 81 mila morti legate all’esposizione del solo Pm2,5, un numero in linea con il dato citato da Costa – che però parla di inquinamento atmosferico in generale – ma superiore alle stime dell’Eea viste in precedenza, che per il 2017 parlava di poco meno di 60 mila morti.

Inoltre, ci sono alcuni esperti che hanno invitato a una maggiore cautela quando si parla di morti e inquinamento atmosferico. Come abbiamo visto, il rapporto di causa-effetto non è così diretto: da un punto di vista scientifico la materia è molto complessa, oggetto di continui aggiornamenti, e i rischi di una comunicazione fuorviante e imprecisa sono sempre dietro l’angolo. Soprattutto in un momento come quello attuale, in cui i temi ambientali relativi all’emergenza climatica – e non solo – stanno ottenendo sempre più spazio nel dibattito pubblico e politico.

«Nel campo della qualità dell’aria in Italia abbiamo fatto dei grandi passi in avanti, ma c’è ancora molto da fare», ha sottolineato Caserini a Pagella Politica. «Forti miglioramenti sulla riduzione dell’inquinamento potremmo ottenerli se parallelamente saranno introdotte nel nostro Paese politiche serie per la riduzione di emissioni di CO2. Le politiche sulla qualità dell’aria e per il contrasto dei cambiamenti climatici devono andare per lo più di pari passo, ma sul secondo fronte siamo ancora indietro».

Il verdetto

Secondo Sergio Costa, l’inquinamento dell’aria uccide ogni anno in Italia 80 mila persone. Abbiamo verificato e questo dato necessita di alcune osservazioni, anche se la comunità scientifica è concorde nel sostenere che l’inquinamento atmosferico sia un grave problema per la salute globale.

Innanzitutto, va chiarito che le stime in circolazione non dicono che l’inquinamento è la causa diretta di morte – non è questo il loro obiettivo – ma cercano di quantificare quali sono le morti premature dovute a malattie riconducibili a una scarsa qualità dell’aria.

In secondo luogo, la cifra degli «80 mila» morti in Italia – ripresa in passato anche da diversi quotidiani e altri politici – è molto probabilmente frutto di un incomprensione. Questo dato infatti si ottiene sommando tra di loro i dati dell’Eea sulle morti premature in Italia potenzialmente legate a tre agenti inquinanti (PM2,5, diossido di azoto e ozono). Ma questa operazione è un errore.

In generale, stimare la mortalità relativa all’inquinamento dell’aria è un compito molto complicato: a seconda delle assunzioni, dei modelli e dei dati utilizzati, le stime possono cambiare anche notevolmente. In ogni caso, i calcoli della comunità scientifica dicono che le morti riconducibili all’aria inquinata sono comunque moltissime e necessitano di politiche sempre più incisive.

Nel nostro Paese dei miglioramenti sulla qualità dell’aria ci sono stati, e molto probabilmente a questo è dovuto il trend di decrescita delle stime sui decessi, ma c’è ancora molto da fare, soprattutto in relazione all’implementazione di serie politiche di contrasto ai cambiamenti climatici.

In conclusione, Costa si merita un “Nì”.