Intervistato da Radio Cusano Campus il 22 ottobre, il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri (M5s) ha sostenuto che non ci fosse carenza di posti in terapia intensiva, che la crescita dei pazienti qui ricoverati fosse «molto lenta», nonostante l’elevato numero di positivi, e che questa positività non significhi che «siano malati».

Questa affermazione è sbagliata: la crescita dei ricoveri in terapia intensiva non è affatto lenta ed è coerente con l’aumento dei positivi, inoltre è fuorviante sostenere che i positivi non siano malati. Partiamo dalla prima questione.

La crescita dei ricoveri in terapia intensiva

Secondo quanto riporta il Sole 24 ore i posti disponibili in terapia intensiva ammontavano a quasi 7 mila il 26 ottobre.

Secondo i dati contenuti nel bollettino della protezione civile, al 21 ottobre – il giorno prima dell’intervista di Sileri – i ricoverati in terapia intensiva erano 926, dunque i posti disponibili risultavano occupati al 13 per cento circa.

Dieci giorni prima, l’11 ottobre, erano 420, meno della metà. Ancora dieci giorni prima, il 1° ottobre, erano 291.

Questi dati di aumento peraltro ci dicono poco sui nuovi ricoveri, ma solo quello che è il saldo tra nuovi ricoveri, dimissioni e decessi. Quindi l’aumento dei ricoveri potrebbe essere anche superiore a quello che raccontano questi dati.

Ma, anche al di là di questo, parlare di crescita «molto lenta», in riferimento a un dato che aumenta quasi del 50 per cento in dieci giorni, tra 1° e 10 ottobre, e nei dieci giorni successivi più che raddoppia, sembra sbagliato già a livello teorico. Se poi guardiamo quello che c’è scritto nei report del Ministero della Salute stesso, troviamo ulteriori conferme.

Secondo il report di “Monitoraggio settimanale Covid-19” del Ministero della Salute – pubblicato il 23 ottobre – nella settimana 12-18 ottobre, quando i pazienti ricoverati in terapia intensiva erano passati da 420 a 750, «si è osservato un importante aumento nel numero di persone ricoverate».

«Se l’andamento epidemiologico mantiene il ritmo attuale – si legge nel report – esiste una probabilità elevata che numerose Regioni raggiungano soglie critiche di occupazione in brevissimo tempo».

La “soglia critica”, come abbiamo scritto in passato, è stata fissata dal Ministero della Salute al 30 per cento della capienza. Il motivo, come riferisce ad esempio Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri, è che questa percentuale «è stata immaginata come una riserva per il Covid, se si supera bisogna rivedere la riorganizzazione dei ricoveri». Nelle terapie intensive infatti non vengono ricoverati solo i malati gravi di Covid-19 ma anche una vasta gamma di pazienti con altre patologie (si pensi a un paziente con un infarto in corso).

Secondo i dati del Sole 24 ore, al 29 ottobre erano già sei le regione che avevano superato la soglia del 30 per cento (Lombardia, Campania, Piemonte, Marche, Umbria e Val d’Aosta) e molte altre erano pericolosamente vicine. Possiamo insomma dire che la previsione contenuta nel report del Ministero della Salute pubblicato il 23 ottobre circa il raggiungimento di soglie critiche in brevissimo tempo si sia avverata.

Dunque il viceministro Sileri ha sbagliato, e sembra aver voluto minimizzare una situazione che era già chiaramente preoccupante, quando ha sostenuto il 22 ottobre che la crescita dei ricoveri in terapia intensiva fosse addirittura «molto lenta».

È vero che «i posti in terapia intensiva ci sono», come ha detto Sileri, e sarebbe vero anche una volta superata definitivamente la soglia del 30 per cento, o del 50 per cento o anche del 90 per cento. Questo non significa però che la situazione non fosse e non sia allarmante. E veniamo al secondo errore di Sileri riguardo l’aumento dei ricoveri in terapia intensiva.

Ricoveri in terapia intensiva e nuovi positivi

Sileri sbaglia a mettere in contrapposizione la crescita «molto lenta» dei ricoveri in terapia intensiva con l’elevato numero di nuovi positivi.

Come abbiamo visto, nei dieci giorni compresi tra 11 e 21 ottobre siamo passati da 420 a 926 pazienti ricoverati in terapia intensiva, per un aumento del 120,5 per cento. Come abbiamo detto in precedenza, questo aumento è peraltro relativo a un saldo tra ricoveri, dimissioni e decessi. L’aumento dei ricoveri potrebbe essere anche superiore.

I positivi rilevati nello stesso periodo, in ogni caso, sono passati da 5.456 a 15.199, per un aumento del 178,6 per cento. Una percentuale di aumento sì superiore a quella dei ricoveri in terapia intensiva, ma non così dissimile: in un caso i numeri sono più che raddoppiati, nell’altro sono poco meno che triplicati.

Veniamo ora all’ultima parte della dichiarazione di Sileri, sui positivi che non sono malati, che non è del tutto sbagliata da un punto di vista oggettivo ma risulta comunque fuorviante e potenzialmente pericolosa.

I positivi sono malati e non si dovrebbe dire il contrario

Come abbiamo scritto in una nostra recente analisi di una dichiarazione analoga di Matteo Salvini – il leader leghista aveva sostenuto che «il positivo non è necessariamente malato» – affermare che essere positivi non significa essere malati veicola un messaggio sbagliato.

Se infatti è possibile che ci siano positivi che non hanno, e non avranno, alcuna conseguenza fisica dal virus, e soprattutto che non sono e non saranno mai contagiosi, è impossibile però saperlo a priori.

Per quanto riguarda il primo aspetto, come hanno spiegato in un lungo approfondimento i nostri colleghi di Facta, c’è in particolare il problema di distinguere tra veri e propri asintomatici, che non svilupperanno mai sintomi del virus, e pre-sintomatici, soggetti che risultano positivi al test pur non avendo sintomi ma che nel corso del tempo iniziano a mostrarli. Questa distinzione non può che essere fatta ex-post.

Un secondo problema è poi che, in base a quello che emerge da diversi resoconti medici, anche pazienti apparentemente sintomatici possono subire danni polmonari e cardiaci.

Per quanto riguarda poi il secondo aspetto, cioè la contagiosità, la capacità di pre-sintomatici e asintomatici di trasmettere l’infezione era già stata osservata a gennaio 2020 ed è stata dimostrata in seguito da vari altri studi. I pre-sintomatici in particolare risulta che siano i soggetti con la maggior capacità di trasmettere il virus e anche gli asintomatici, seppure con una capacità minore, sono ritenuti generalmente contagiosi.

Quindi, tirando le fila, nell’impossibilità di sapere se un paziente senza sintomi apparenti sia contagioso o meno, e stia sviluppando danni occulti o meno, bisogna considerarlo a tutti gli effetti un malato e, ad esempio, imporgli l’isolamento per impedire la probabile diffusione del contagio. Mandare messaggi ambigui su questo punto rischia di avere un effetto negativo sui comportamenti delle persone.

Il verdetto

Il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri ha sostenuto il 22 ottobre che ci fossero ancora posti in terapia intensiva, che la crescita dei pazienti qui ricoverati fosse molto lenta, a dispetto di un numero molto elevato di positivi, e che essere positivi non significa essere malati.

L’affermazione contiene diversi errori. È vero che al 22 ottobre c’erano – e ci sono ancora oggi – posti disponibili in terapia intensiva, ma questo non è un dato di per sé rassicurante. La soglia di allerta è infatti posta al 30 per cento dei posti occupati e già il 22 ottobre sembrava probabile, secondo un report del Ministero della Salute, che coi ritmi di crescita dei contagi registrati la soglia sarebbe stata sfondata. Il 29 ottobre sappiamo che 6 regioni italiane, tra cui le popolose Lombardia, Campania e Piemonte, hanno superato questa soglia, confermando la fondatezza della previsione appena vista.

La crescita delle percentuali di posti occupati in terapia intensiva era poi stata repentina e preoccupante anche nei dieci giorni precedenti alla dichiarazione di Sileri, quando i ricoverati erano più che raddoppiati. Questo aumento – che sconta il problema di essere relativo a un saldo tra ricoveri, dimissioni e decessi, e non solo ai ricoveri – è poi inferiore ma non particolarmente dissimile dall’aumento dei positivi rilevati.

Infine è fuorviante sostenere che essere positivi non significhi essere malati: è vero che ci sia questa possibilità, ma è impossibile nel concreto distinguere tra asintomatici che non svilupperanno mai sintomi e non saranno mai contagiosi, da pre-sintomatici, asintomatici con danni occulti e asintomatici contagiosi. Dunque, anche nell’ottica di contenere i contagi, i soggetti positivi asintomatici vanno considerati a tutti gli effetti malati.

Per Sileri nel complesso un “Pinocchio andante”.