Il 25 febbraio 2019 Giovanni Tria è stato ospite alla trasmissione televisiva Quarta Repubblica in onda su Rete 4. Durante il suo intervento, il ministro dell’Economia e delle Finanze ha parlato delle riserve auree della Banca d’Italia: argomento che nelle ultime settimane è tornato di attualità.



Tria ha dichiarato che il governo italiano non può disporre liberamente dell’oro della Banca d’Italia: un trasferimento delle riserve auree al Ministero dell’Economia e delle Finanze costituirebbe, infatti, un aiuto di Stato – e, come tale, sarebbe quindi contrario alle norme dell’Unione europea.



È davvero così? Abbiamo verificato.



Le riserve d’oro della Banca d’Italia



L’ammontare delle riserve auree della Banda d’Italia è pari a 2.452 tonnellate. Circa il 45 per cento di questo ammontare si trova in Italia, mentre il restante 55 per cento è custodito in depositi americani, svizzeri e britannici. La Banca d’Italia scrive sul suo sito istituzionale di essere il quarto detentore di riserve auree al mondo, preceduta solo dalla Federal Reserve statunitense, dalla Bundesbank tedesca e dal Fondo monetario internazionale.






Tab. 1: Localizzazione geografica dell’oro delle riserve della Banca d’Italia – Fonte: Banca d’Italia



Secondo i dati della Banca d’Italia, il valore di mercato delle nostre riserve ammontava, a gennaio 2019, a 90.813 miliardi euro. La cifra era al rialzo di quasi 2,5 miliardi rispetto al dato del mese di dicembre 2018 e di 10 miliardi superiore rispetto ai valori di settembre 2018. Questo aumento è legato all’incremento del prezzo dell’oro avvenuto negli ultimi mesi e non a nuove operazioni di acquisto da parte della Banca d’Italia.



Le riserve d’oro e i trattati europei



Come già avevamo spiegato in una precedente analisi, la Banca d’Italia prende le sue decisioni in completa autonomia. Il governo italiano non può quindi imporre un trasferimento delle riserve d’oro che l’istituto possiede.



Allo stesso tempo, la Banca d’Italia non potrebbe attuare questa operazione autonomamente, pena la violazione delle norme europee. L’art. 123 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) sottolinea che «sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali».



Come ricordato dalla Banca d’Italia nella pagina dedicata alle “Riserve in valuta” sul proprio sito istituzionale, questo articolo si applica anche alle riserve (di oro o di altra natura) detenute dall’istituto.



Che tutto ciò ammonti ad un aiuto di Stato lo conferma la Commissione Europea. L’art. 123 del Tfue non è formalmente tra quelli che la Commissione considera rilevanti in tema di aiuti di Stato. È però qui compreso l’art. 119 (l’articolo di apertura del capitolo relativo alla politica economica e monetaria dell’Unione) che sottolinea come la politica economica e monetaria debba essere condotta nel rispetto dei principi di un’economia aperta e della libera concorrenza.



Risulta quindi evidente che gli articoli che, nel trattato, seguono questa norma cardine (tra i quali il 123) debbano a loro volta essere in conformità con i principi del libero mercato e, quindi, con il divieto di eventuali aiuti di Stato. Dunque il ministro Giovanni Tria ha ragione quando, ipotizzando un trasferimento delle riserve auree da parte della Banca d’Italia al Paese, parla di un aiuto di Stato.



Una eventuale vendita dell’oro…



Come abbiamo visto dunque, la Banca d’Italia non può aiutare direttamente le istituzioni nazionali ricorrendo alle sue riserve auree. Non può peraltro usarle neppure per comprare titoli di Stato italiani.



Infatti, Palazzo Koch ricorda che anche gli acquisti di titoli di Stato italiani sul mercato secondario sono sottoposti a soglie di monitoraggio. In altre parole, la Banca d’Italia non può acquistare da istituti finanziari privati la quantità di titoli di Stato italiano che desidera. Se lo facesse, questi si apprezzerebbero, riducendo il loro tasso di interesse e aiutando lo Stato italiano in maniera indebita.



Se anche la Banca d’Italia decidesse di aumentare l’acquisto di titoli italiani sul mercato secondario nei limiti consentiti tramite la vendita delle sue riserve d’oro, essa troverebbe un altro ostacolo. La Banca d’Italia ha infatti aderito al Central Bank Gold Agreement. Questo accordo europeo prevede un coordinamento delle transazioni riguardanti l’oro da parte delle banche centrali nazionali e la Bce, al fine di evitare oscillazioni troppo brusche del prezzo del metallo.



Quindi, anche se la Banca d’Italia decidesse di vendere il suo oro per aumentare l’acquisto di titoli di Stato italiani, sarebbe limitata nell’ammontare di riserve che può vendere sul mercato.



Il verdetto



Il ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria ha dichiarato che la Banca d’Italia non può trasferire le riserve auree al governo, perché si tratterebbe di un aiuto di Stato.



L’articolo 123 del Tfue conferma quanto detto dal ministro. Qualsiasi forma di aiuto creditizio da parte della Banca d’Italia ad entità nazionali (come un trasferimento delle riserve nelle casse dello Stato) costituirebbe una violazione dei principi del libero mercato su cui si fonda la politica monetaria dell’Ue.



Non solo. La Banca d’Italia è limitata tramite altri due canali. Il primo riguarda i titoli di Stato italiani acquistabili sul mercato secondario. Anche volendo aiutare lo Stato italiano, finanziandone il debito pubblico, l’istituto di via Nazionale è limitato nell’ammontare di titoli italiani detenuti da istituti finanziari privati che può acquistare. Il secondo riguarda invece la quantità di oro cedibile dalla Banca d’Italia. Secondo il Central Bank Gold Agreement, la Banca d’Italia non è libera di vendere le sue riserve d’oro in un’unica soluzione. Un’operazione di questa portata causerebbe un calo del valore dell’oro, andando contro l’obiettivo di stabilità dei prezzi del metallo prezioso previsto dall’accordo.



A prescindere da queste considerazioni ipotetiche, il ministro dell’Economia e delle Finanze ha ragione ad affermare che un trasferimento dell’oro costituirebbe un aiuto di stato.



Giovanni Tria merita quindi un “Vero”.