Tutte le volte che è stato modificato l’abuso d’ufficio

Il governo Meloni vuole abolire questo reato, su cui in passato hanno già messo mano almeno tre governi diversi
Ansa
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L’abolizione del reato di abuso d’ufficio è uno dei provvedimenti principali contenuti nel disegno di legge di riforma della giustizia approvato il 15 giugno dal governo. Questo reato, previsto all’articolo 323 del codice penale, è commesso quando un pubblico ufficiale, per esempio il sindaco di un comune, produce nell’esercizio delle sue funzioni un danno o un vantaggio patrimoniale in contrasto con le leggi. L’abolizione dell’abuso d’ufficio ha generato un acceso dibattito tra i partiti all’opposizione in Parlamento. Il Movimento 5 Stelle è contrario all’abolizione del reato, mentre il Partito Democratico è diviso. La segretaria Elly Schlein vuole una riforma del reato, ma non l’abrogazione, a cui invece sono favorevoli alcuni sindaci del PD. Secondo questi ultimi la cancellazione dell’abuso d’ufficio permetterebbe loro di prendere decisioni senza la paura di essere indagati. Anche Azione e Italia viva sono favorevoli all’abolizione dell’abuso d’ufficio. È bene precisare comunque che il reato non è ancora stato cancellato: per diventare legge a tutti gli effetti il testo della riforma della giustizia deve essere approvato sia dalla Camera sia dal Senato nella stessa versione.

Al di là dei giudizi politici, il reato di abuso d’ufficio è presente nell’ordinamento italiano sin dal 1930, quando il regime fascista lo ha previsto nel codice penale, il cosiddetto “codice Rocco”, dal nome dell’allora ministro della Giustizia Alfredo Rocco. Il reato è stato sempre caratterizzato da un’elevata vaghezza, prestandosi spesso a interpretazioni, e i governi lo hanno riformato già tre volte negli ultimi trent’anni.

La riforma di Andreotti

La prima riforma del reato di abuso d’ufficio è stata fatta nel 1990 durante il sesto governo Andreotti, il cui ministro della Giustizia era Giuliano Vassalli (Partito Socialista Italiano). Fino a quel momento il reato di abuso d’ufficio era formulato in modo molto generico: esso puniva il pubblico ufficiale che causava un danno o un vantaggio ad altre persone, abusando dei propri poteri, ossia commettendo un fatto non previsto da altri reati contro la pubblica amministrazione. La pena era la reclusione fino a due anni o una multa da cinquecento a diecimila lire. «All’epoca l’abuso d’ufficio era caratterizzato da un’elavata indeterminatezza perché era pensato per coprire ogni forma di infedeltà del pubblico funzionario che non fosse specificamente coperta da altri reati, come corruzione, concussione, omissione di atti d’uffiicio, rivelazione di segreto d’ufficio e peculato», ha spiegato a Pagella Politica Vittorio Manes, professore di Diritto penale all’Università di Bologna. «Questa caratteristica si scontrava però con i principi di tassatività e di determinatezza, ossia di precisione, che devono caratterizzare le norme penali». In Italia il problema della mancanza di precisione e di eccessiva complicatezza delle leggi non riguarda solo l’abuso d’ufficio ma anche altre norme, come ha messo in evidenza di recente la Corte costituzionale. 

Nel 1990 il sesto governo Andreotti ha cercato di chiarire meglio l’ambito del reato, prevedendo per esempio che possa essere commesso anche da un incaricato di pubblico servizio. Questo è il caso dei controllori sui treni o degli autisti di autobus, che nello svolgere le loro funzioni sono ufficiali pubblici a tutti gli effetti. In più è stato specificato che l’abuso d’ufficio poteva essere punito se il fatto non costituiva un reato più grave ed è stata introdotta una distinzione tra vantaggio patrimoniale, ossia in denaro, e non patrimoniale, ossia un semplice favore. Nel caso di vantaggio patrimoniale la pena era la reclusione da due a cinque anni, mentre negli altri casi arrivava fino a due anni.

La riforma di Prodi

Nel 1997 è stata fatta una seconda riforma per limitare il reato, questa volta dal primo governo guidato da Romano Prodi, il cui ministro della Giustizia era il giurista Giovanni Maria Flick. Questa riforma ha eliminato la distinzione tra vantaggio patrimoniale e non, prevista dal governo Andreotti, e ha introdotto il principio del cosiddetto “dolo intenzionale”. «In parole semplici, per punire l’ufficiale pubblico sarebbe stato necessario che quest’ultimo ha come unico scopo della sua condotta quello di procurare un vantaggio a sé o ad altri, o di arrecare un danno, in assenza di un concomitante interesse pubblico» ha spiegato Manes. 

Secondo l’avvocata Paola Rubini, vice presidente dell’Unione delle Camere Penali, l’associazione che rappresenta gli avvocati penalisti in Italia, l’introduzione di questo principio non ha risolto i problemi riguardo l’abuso di ufficio. «In base alla mia esperienza questo principio ha complicato la vita dei sindaci dei comuni più piccoli, dove è più facile che il sindaco abbia rapporti di conoscenza stretta con i cittadini. L’intenzionalità di un atto va infatti sempre provata ed è soggetta all’interpretazione dei giudici: questo spinge i sindaci a non prendere decisioni piuttosto che rischiare di essere accusati di aver favorito un amico o un conoscente, seppur in buona fede», ha detto Rubini a Pagella Politica.

La riforma del secondo governo Conte

L’ultima riforma del reato di abuso d’ufficio è stata fatta nel 2020 dal secondo governo Conte, quello sostenuto da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Liberi e Uguali e Italia Viva. All’epoca il ministro della giustizia era Alfonso Bonafede (Movimento 5 Stelle). La riforma è stata fatta con il decreto “Semplificazioni”, approvato dal governo a luglio 2020 e convertito in legge dal Parlamento a settembre dello stesso anno. Anche in questo caso l’obiettivo è stato quello di rendere il reato di abuso d’ufficio meno generico e applicabile in modo più facile dai giudici. 

Con questa riforma il governo Conte ha precisato che l’abuso d’ufficio si verifica solo quando c’è la violazione di «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». In altre parole, a oggi l’ufficiale pubblico può essere punito per il reato di abuso d’ufficio solo se ha violato una legge e non altri atti di livello inferiore, come i regolamenti. Questi ultimi sono le norme interne con cui un organo dello Stato regola il proprio funzionamento. Un esempio sono i regolamenti governativi o i regolamenti dei ministeri. La riforma ha previsto che per commettere l’abuso d’ufficio le regole violate dal pubblico ufficiale non possono essere interpretabili nel momento in cui vengono applicate. In sostanza devono essere chiare e non devono lasciare spazio a possibili interpretazioni.

I rischi della nuova riforma

Giovedì 15 giugno, presentando i contenuti della riforma in conferenza stampa, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha detto che non esiste il pericolo di un «vuoto normativo» con la cancellazione del reato e che non ci sarà il rischio di ufficiali pubblici impuniti. Nonostante le rassicurazioni di Nordio, il 20 giugno, in un’intervista con il Corriere della Sera, la senatrice della Lega Giulia Bongiorno ha detto che il disegno di legge di riforma della giustizia è solo la prima parte di una riforma più ampia, perché dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio il governo dovrà «rivisitare tutti i reati contro la Pubblica amministrazione». L’ex ministra della Pubblica amministrazione ha aggiunto che la Lega non sosteneva la cancellazione totale del reato, ma piuttosto una «riformulazione», per «evitare che le procure dessero interpretazioni estensive di altri reati contro la pubblica amministrazione» per ovviare alla mancanza del reato. 

Al di là delle opinioni politiche sulla proposta del governo, gli esperti si dividono sull’idea di cancellare l’abuso d’ufficio. «Se l’abuso d’ufficio  dovesse essere abrogato ovviamente determinate condotte non avranno più rilievo penale, pur potendo continuare a rilevare sul piano amministrativo e sul piano delle responsabilità erariali, contabili», ha detto Manes. «In ogni caso, mi pare fondato il rischio che l’abolizione dell’abuso di ufficio possa spingere i tribunali ad applicare estensivamente altri reati con pene magari più severe rispetto all’abuso d’ufficio», ha aggiunto. «Pur condividendo pienamente le preoccupazione dei sindaci e le ragioni alla base del progetto di riforma penso sia più opportuno riflettere ancora su una soluzione intermedia che si sforzi di ulteriormente di correggere ove possibile il reato e che si accompagni ovviamente a un maggior rigore nell’interpretazione e nell’applicazione dello stesso: un’interpretazione e un’applicazione rigorosa, infatti, eliminerebbero molte delle criticità di cui oggi si discute». 

L’avvocata Rubini è invece convinta che l’abuso d’ufficio vada abolito «perché tutte le riforme di questi anni non sono riuscite a migliorare il reato». «Allo stesso tempo credo sia necessario riformare l’intero sistema dei reati contro la pubblica amministrazione, per evitare che, tolto l’abuso d’ufficio, il sindaco o qualsiasi amministratore locale possa essere incriminato per reati più gravi», ha detto Rubini.

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