La Rai sta diventando davvero il “megafono” del governo?

Questa accusa è stata fatta dal sindacato dei giornalisti della Rai e da alcuni partiti di opposizione. Abbiamo fatto un po’ di chiarezza
ANSA/MATTEO BAZZI
ANSA/MATTEO BAZZI
Nelle ultime ore molti lettori ci hanno chiesto di verificare un video, condiviso migliaia di volte sui social network, in cui le conduttrici di due telegiornali Rai leggono un comunicato sindacale che accusa il governo Meloni di aver ridotto la Rai a proprio «megafono». Il video è composto da due spezzoni: uno è preso dall’edizione delle ore 13 del TG2 (min. -1:06) dell’11 aprile, l’altro dall’edizione delle 13:30 del TG1 (min. -0:53) dello stesso giorno. L’autore del comunicato è l’Unione sindacale giornalisti Rai (Usigrai), che in base al suo statuto «promuove e tutela l’indipendenza e l’autonomia dei giornalisti quali titolari dell’informazione prodotta dalla Rai».

Il 10 aprile Usigrai ha scritto il comunicato stampa per criticare una delibera, approvata dalla Commissione parlamentare di Vigilanza Rai, relativa alla campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno. «Ministri e sottosegretari non avranno alcun vincolo di tempo nei programmi e potranno dire ciò che vorranno purché riferito all’attività istituzionale», si legge nel comunicato, letto poi al TG1 e al TG2. «Con la norma approvata dalla maggioranza di governo in commissione di Vigilanza, nei programmi di approfondimento giornalistico della Rai, si ritorna all’Istituto Luce. Ai soli rappresentanti del governo sarà garantita una puntuale informazione sulle attività istituzionali governative. Tutto questo alla vigilia del voto per le europee. Non solo viene aggirata la par condicio, ma anche il contraddittorio con l’opposizione».

In questi giorni le stesse posizioni sono state prese anche da vari partiti all’opposizione, tra cui il Partito Democratico, il Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. I partiti che sostengono il governo si sono difesi dalle accuse: per esempio, secondo Fratelli d’Italia, il PD e il Movimento 5 Stelle «stanno portando avanti una vergognosa campagna mistificatoria sul regolamento della par condicio». 

Ma come stanno davvero le cose? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza: in breve, il timore che le regole per la par condicio vadano a favore del governo è fondato.

Di che cosa stiamo parlando

Il 9 aprile si è riunita la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, meglio nota come “Commissione di Vigilanza Rai”. Questa commissione è composta da 20 deputati e 20 senatori e ha vari compiti, tra cui nominare alcuni dei componenti del consiglio di amministrazione della Rai e di controllare il rispetto delle direttive date al servizio pubblico. Per garantire il pluralismo dell’informazione, la presidenza di questa commissione è affidata di solito a un membro dei partiti dell’opposizione: attualmente la presidente della Commissione di Vigilanza è la senatrice del Movimento 5 Stelle Barbara Floridia.

Nella riunione del 9 aprile la commissione ha esaminato lo schema di una delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), un’autorità indipendente che ha il compito di tutelare i consumatori e garantire la concorrenza nel mercato della comunicazione. Questa delibera riguardava le «disposizioni in materia di comunicazione politica» in vista della campagna elettorale per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Tra le altre cose, anche l’Agcom deve tutelare il pluralismo dell’informazione e controllare che sia rispettato il principio della par condicio. Questa espressione fa riferimento alle regole che servono per garantire a tutti i partiti lo stesso spazio in tv, in radio e negli altri mezzi di informazione durante le campagne elettorali.

A ogni elezione nazionale o regionale, o per ogni referendum, l’Agcom deve infatti fissare le regole che le tv e le radio private devono seguire per rispettare la par condicio, e indica le regole che deve seguire il servizio pubblico, su cui però può dire la sua la Commissione di Vigilanza Rai.

Gli emendamenti della Commissione di Vigilanza Rai

Durante l’esame della delibera, in Commissione di Vigilanza Rai – dove i partiti che sostengono il governo hanno la maggioranza – sono stati approvati alcuni emendamenti per modificare lo schema di delibera dell’Agcom. In particolare, gli emendamenti più contestati dai partiti all’opposizione sono stati due, entrambi presentati da tre parlamentari della maggioranza: il deputato di Fratelli d’Italia Francesco Filini, il deputato di Noi Moderati Maurizio Lupi e il senatore della Lega Giorgio Maria Bergesio.

Il comma 6 dell’articolo 4 della delibera, modificato dalla Commissione, stabilisce che durante la campagna elettorale per le europee «i programmi di approfondimento informativo, qualora in essi assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politico-elettorali, sono tenuti a garantire la più ampia possibilità di espressione ai diversi soggetti politici, facendo in ogni caso salvo il principio e la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative». Il comma sottolinea che la partecipazione a questi programmi deve comunque avvenire secondo le regole stabilite dalla legge n. 28 del 22 febbraio 2000 e dalla legge n. 515 del 1993, che stanno alla base delle regole della par condicio.

Secondo i partiti di opposizione, l’ultimo inciso – quello da «facendo in ogni caso salvo…» – avvantaggerà i politici della maggioranza che hanno un ruolo nel governo. Il vantaggio sarebbe dato dal fatto che, quando parteciperanno a programmi di approfondimento informativo durante la campagna elettorale, questi politici potranno avere più spazio degli altri politici nel caso in cui parleranno delle loro «attività governative». In una prima versione dell’emendamento c’era scritto «facendo in ogni caso salvo al principio della “notiziabilità” giornalistica», ma questo riferimento è stato poi eliminato nella riformulazione dell’emendamento.

Il comma 4 dell’articolo 4, invece, è stato modificato in modo tale che, nella partecipazione a «programmi di informazione», per i «rappresentanti delle istituzioni» valgono le stesse regole che valgono per gli altri candidati ed esponenti politici, «salvo intervengano su materie inerenti all’esclusivo esercizio delle funzioni istituzionali svolte». La stessa delibera chiarisce che tra i «programmi di informazione» sono compresi i telegiornali, i giornali radio, i notiziari, le rassegne stampa e «ogni altro programma di contenuto informativo, a rilevante presentazione giornalistica». Anche in questo caso, fatto salve le «regole stabilite dalle citate» due leggi del 2000 e del 1993.

Per quanto riguarda questo secondo emendamento, c’è dunque la possibilità per chi rappresenta un’istituzione, per esempio un ministro o un sottosegretario, di avere più spazio in tv e in radio rispetto agli altri politici dell’opposizione. Durante la riunione del 9 aprile in Commissione di Vigilanza Rai, il deputato di Fratelli d’Italia Filini ha difeso gli emendamenti alla delibera dicendo che «il punto dirimente non è solo la garanzia di una parità di trattamento tra tutti i soggetti politici, ma soprattutto il diritto dei cittadini di essere puntualmente informati attraverso la comunicazione istituzionale sulle attività intraprese dallo stesso esecutivo». 

Detta altrimenti, secondo i partiti di maggioranza, ai politici che rappresentano il governo e le istituzioni può essere dato più spazio perché, in teoria, dovrebbero sfruttare questo maggiore tempo a disposizione per spiegare le loro attività governative e istituzionali, e non fare campagna elettorale.

Il precedente del 2019

Filini ha anche aggiunto che la riformulazione del comma 4 dell’articolo 4 della delibera riprende il contenuto di un’altra delibera, quella approvata ad aprile 2019 dalla Commissione di Vigilanza Rai in vista delle elezioni europee del 26 maggio 2019. All’epoca c’era il primo governo Conte, sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega. 

È vero: in entrambe le delibere il comma 4 dell’articolo 4 è uguale. In quell’occasione il testo fu approvato all’unanimità dalla commissione. Lo schema di delibera approvato dalla Commissione di Vigilanza Rai in vista delle elezioni europee del 2019 non conteneva però all’articolo 4, comma 6 l’inciso contestato in questi giorni (il «facendo in ogni caso salvo il principio e la necessità di garantire ai cittadini una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative»).

Che cosa ha deciso l’Agcom

Nella mattinata di venerdì 12 aprile l’Agcom ha approvato una delibera con il nuovo regolamento sulla par condicio per le elezioni europee che valgono per le emittenti private e la stampa.

«L’Autorità sia per i telegiornali, sia per i programmi di informazione, non si limiterà a valutare la quantità di tempo fruita dai soggetti politici nella programmazione, ma considererà le fasce orarie in cui l’esposizione dei soggetti avviene, sulla base degli ascolti registrati dall’Auditel. Inoltre, nella valutazione dei programmi di informazione, si terrà conto anche della loro periodicità», si legge in un comunicato stampa di Agcom. L’elemento delle fasce orarie è una novità ed è stato pensato per dare più “peso” agli interventi nei programmi in prima serata rispetto a quelli trasmessi di notte.

«L’Autorità interverrà tempestivamente in caso di squilibri, mirando ad assicurare un dibattito politico corretto e pluralistico e condizioni di parità di trattamento tra i soggetti partecipanti alla competizione elettorale», aggiunge il comunicato.

Le modifiche al regolamento introdotte dalla Commissione di Vigilanza Rai non saranno applicate per le tv e le radio private. Il commissario dell’Agcom Antonello Giacomelli, ex parlamentare del Partito Democratico, ha commentato l’approvazione in via definitiva del regolamento sulla par condicio dicendo che «il testo è perfettamente sovrapponibile con la delibera adottata dalla Commissione di Vigilanza Rai formulata anch’essa, pur con diverse variazioni lessicali, nel pieno rispetto della regole fissate» dalla legge n. 28 del 2000 e dalla legge n. 515 del 1993.

L’unico voto contrario alla delibera dell’Agcom è stato quello della commissaria Elisa Giomi, che ha criticato la differenza di regole tra le emittenti private e quelle pubbliche. Nel 2020 la nomina di Giomi all’Agcom è stata indicata dal Movimento 5 Stelle.

Ricapitolando: durante la campagna elettorale per le elezioni europee, è vero che gli esponenti del governo e delle istituzioni potranno avere più spazio nei programmi informativi della Rai, in radio e in tv, rispetto ai politici dell’opposizione. Questo spazio, però, dovrà essere usato soltanto per parlare delle loro attività istituzionali. Qui c’è un margine di interpretazione: secondo i critici, questo vantaggio rischia di tradursi in maggiore spazio per fare indirettamente campagna elettorale a favore dei propri; secondo i favorevoli, questa eccezione è stata introdotta esclusivamente per garantire una maggiore informazione sulle attività di governo e istituzioni.

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