Riforme, evasione e sanità: il fact-checking di Meloni a Porta a Porta

Abbiamo verificato otto dichiarazioni fatte dalla presidente del Consiglio su Rai 1
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Il 4 aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata ospite a Cinque minuti e a Porta a Porta su Rai 1, due programmi condotti da Bruno Vespa.

Dalla riforma del premierato ai test psico-attitudinali per i magistrati, passando per la lotta all’evasione fiscale, abbiamo verificato otto dichiarazioni di Meloni, che ha commesso alcuni errori e omissioni.

La riforma del premierato

«Loro hanno sempre detto che sono contrari al premierato perché indebolisce il presidente della Repubblica, il che non è vero perché io sono stata molto attenta a non toccare le prerogative del capo dello Stato»

Qui Meloni non la racconta giusta: la riforma sul cosiddetto “premierato”, ossia sull’elezione diretta del presidente del Consiglio, tocca i poteri del presidente della Repubblica. 

Al momento la riforma è all’esame della Commissione Affari costituzionali del Senato e il suo percorso di approvazione è ancora lungo. Il testo presentato dal governo Meloni ha proposto di modificare quattro articoli della Costituzione: l’articolo 59, l’articolo 88, l’articolo 92 e l’articolo 94. Di questi articoli, solo l’articolo 88 rientra nel Titolo II della Parte II della Costituzione, quello dedicato al “Presidente della Repubblica”. L’articolo 88 stabilisce che il presidente della Repubblica «può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Il governo ha proposto di togliere al presidente della Repubblica la possibilità di sciogliere «anche una sola» delle due Camere del Parlamento. 

Già solo il fatto che la riforma voglia cambiare almeno un articolo che riguarda il presidente della Repubblica, smentisce quanto detto da Meloni in tv. Ma anche le modifiche proposte per gli altri articoli, come abbiamo spiegato in passato, vanno a toccare i poteri del presidente della Repubblica. La riforma propone che il presidente della Repubblica non nomini più il presidente del Consiglio (questa proposta è rimasta in un emendamento approvato in commissione), ma gli conferisca l’incarico, in quanto eletto direttamente; non possa nominare i senatori a vita; e non possa più indicare tecnici per guidare il governo.

La spesa in sanità

«Fondo sanitario: nel 2024 arriva al massimo storico di sempre. 134 miliardi. Se volessimo fare un raffronto, negli anni del Covid oscillava tra i 120 e i 122 miliardi. Nel 2019, prima del Covid, stava a 115 miliardi. Anche in rapporto al Pil, il fondo sanitario del 2024 – 134 miliardi, con previsione di 136 nel 2026 – quest’anno incide rispetto al Pil del 6,88 per cento. Anche questo è verificabile: è il dato più alto di sempre in rapporto al Pil, salvo nell’anno del Covid»

Meloni non cita la fonte di questi numeri che con tutta probabilità sono contenuti in un rapporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Secondo i calcoli di Agenas, considerando le risorse dell’ultima legge di Bilancio, nel 2024 il finanziamento al Servizio sanitario nazionale (Ssn) toccherà i 134 miliardi di euro, il valore più alto mai raggiunto. Nel 2019 questa cifra era di 114,5 miliardi, salita poi a 120,6 miliardi nel 2020 e a 122 miliardi nel 2021. Questi valori sono confermati anche dalle elaborazioni recenti pubblicate dalla Corte dei Conti.
Grafico 1. Andamento del finanziamento al Ssn, valori in miliardi di euro – Fonte: Agenas
Grafico 1. Andamento del finanziamento al Ssn, valori in miliardi di euro – Fonte: Agenas
Sui valori assoluti, dunque, la presidente del Consiglio dice la verità. Discorso diverso vale invece per il rapporto tra finanziamento al Ssn e il Prodotto interno lordo (Pil). Secondo Agenas, nel 2024 questo rapporto sarà pari al 6,8 per cento, la percentuale indicata da Meloni in tv, in aumento rispetto al 6,6 per cento del 2023. Nel 2020 era stato superato il 7 per cento a causa soprattutto del crollo del Pil.

Le stime su queste percentuali, però, cambiano a seconda del valore del Pil che si prende in considerazione e, in più, per il 2024 abbiamo finora solo delle previsioni. Agenas cita come fonte i dati Istat sul Pil nominale (che non tiene conto dell’inflazione), che non risultano aggiornati alle ultime revisioni fatte a marzo dall’istituto di statistica nazionale. Secondo Agenas, nel 2023 il Pil nominale dell’Italia è stato pari a circa 1.960 miliardi di euro. Se rapportiamo a questo valore i 129,9 miliardi di finanziamento al Ssn per il 2023, otteniamo un rapporto del 6,6 per cento. Secondo le recenti revisioni Istat, nel 2023 il Pil italiano è stato pari a quasi 2,1 miliardi di euro. Con questa cifra il valore scende al 6,3 per cento. Dunque le percentuali di Agenas vanno un po’ viste al ribasso, e così anche quelle di Meloni.

Secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, nel 2024 in Italia la spesa sanitaria (che comprende qualche voce in più rispetto al finanziamento al Ssn) arriverà a toccare i 136 miliardi di euro. In base alle stime della crescita del Pil del governo, questa cifra corrisponde al 6,4 per cento del Pil, in calo rispetto al 6,6 per cento del 2023.

La durata dei governi italiani

«Il fatto che in tutta la storia repubblicana noi abbiamo avuto governi che di media sono durati un anno e mezzo ci ha reso poveri» (min. -1:14:30)

Sulla durata dei governi la presidente del Consiglio ha sostanzialmente ragione, mentre non ci sono prove solide per dire che più un governo italiano è rimasto in carica, più ne ha beneficiato la crescita economica.

Partiamo dalla durata dei governi. Dalla Seconda guerra mondiale in poi, i governi italiani sono durati in media 416 giorni, ossia circa 14 mesi, un dato un po’ più basso di quello indicato da Meloni. Come abbiamo spiegato in un’altra analisi, questa durata media è la più bassa tra i governi dei 27 Stati membri dell’Unione europea. Essendo una media, questa differenza nasconde grandi differenze: per esempio il governo italiano più longevo, il secondo governo Berlusconi, è rimasto in carica 1.442 giorni, mentre il governo più breve, il primo governo Fanfani, solo 23 giorni.
Molti dei governi che sono durati di meno si sono però alternati tra gli anni Cinquanta e Settanta, quando l’Italia ha registrato percentuali molto alte della crescita del Pil. 

I soldi del Pnrr per la sanità

«Nel Pnrr erano previsti 15 miliardi e 625 milioni – vado a memoria – per la sanità. Noi abbiamo rivisto il Pnrr e sono rimasti 15 miliardi e 625 milioni per la sanità» (min. -1:05:32)

È vero: come abbiamo analizzato in un altro fact-checking, la revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) approvata a dicembre dalle autorità europee non ha modificato gli stanziamenti per la sanità. A questa voce il piano originario destinava circa 15,6 miliardi di euro, che dopo la revisione sono rimasti gli stessi. 

Anche se i soldi del Pnrr per la sanità sono rimasti gli stessi, questo non significa che con la revisione del piano non ci siano state modifiche ai progetti per la sanità. Per esempio saranno costruite 1.038 “case della comunità”, ossia nuove strutture per l’assistenza sanitaria e sociale a livello territoriale, un numero più basso delle 1.350 previste inizialmente. Il governo ha motivato questa riduzione con l’aumento dei prezzi delle materie prime ed energetiche.

Le risorse per le liste d’attesa

«Intanto quando noi abbiamo detto che sul fondo sanitario aumentavamo le risorse, sono quasi 3 miliardi, e concentravamo quei soldi sull’abbattimento delle liste d’attesa, abbiamo già dato un segnale» (min. -1:02:04)

Il dato sui «3 miliardi» è corretto: la legge di Bilancio per il 2024, approvata dal Parlamento alla fine di dicembre, ha aggiunto per quest’anno 3 miliardi di euro al finanziamento del Servizio sanitario nazionale. 

L’80 per cento delle risorse messe in più per la sanità nel 2024 è comunque destinato al rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Come ha sottolineato l’Ufficio parlamentare di bilancio, con l’ultima legge di Bilancio il governo ha affidato la riduzione delle liste di attesa «ad alcune misure emergenziali già adottate nei mesi scorsi, che non si sono rivelate adeguate a risolvere il problema in modo strutturale».

Il recupero dell’evasione fiscale

«Penso che i risultati si vedano non solo perché non si può dire che il governo è amico degli evasori, visto che nel 2023 abbiamo avuto il record storico di recupero dell’evasione fiscale, e quindi 4 miliardi e mezzo in più di soldi recuperati rispetto all’anno precedente» (min. -0:55:14)

Come ha già fatto nelle scorse settimane, Meloni esagera i meriti del suo governo sul contrasto all’evasione fiscale (qui abbiamo spiegato più nel dettaglio perché). 

All’inizio di febbraio l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato i dati aggiornati sui risultati delle attività di contrasto all’evasione fiscale in Italia. «Ammontano a 24,7 miliardi di euro le somme confluite nelle casse dello Stato nel 2023 grazie alla complessiva attività svolta da Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione: 4,5 miliardi in più rispetto al 2022 (+22 per cento). È la somma più alta di sempre», spiega un comunicato stampa pubblicato dall’agenzia. Già nel 2022 il recupero aveva raggiunto un valore record, pari a 20,2 miliardi di euro, di poco superiore al primato precedente, registrato nel 2021 (20,1 miliardi di euro). 

Nel 2023 19,6 miliardi di euro sono stati recuperati dalle attività di controllo ordinarie dell’Agenzia delle Entrate, già operative prima dell’insediamento del governo Meloni, avvenuto il 22 ottobre 2022. La differenza più marcata tra i soldi recuperati nel 2023 e quelli recuperati nel 2022 è dovuta alle attività straordinarie di recupero dell’Agenzia delle Entrate. L’anno scorso con queste attività lo Stato ha incassato 5,1 miliardi di euro, mentre l’anno precedente erano stati 1,2 miliardi. Su questo punto ha in effetti contribuito l’intervento del governo Meloni.

Poco più di 4 miliardi di euro, infatti, sono stati incassati attraverso la nuova “rottamazione delle cartelle” introdotta con la legge di Bilancio per il 2023. Semplificando, la rottamazione è un condono fiscale perché permette ai contribuenti non in regola con il fisco di pagare il debito senza pagare le sanzioni: lo Stato rinuncia a incassare tutto il dovuto per recuperarne almeno una parte.

C’è poi un altro elemento a sostegno della tesi secondo cui Meloni esagera il contributo del suo governo al recupero “record” dell’evasione fiscale. Il governo ha presentato in Parlamento il disegno di legge delega sulla riforma fiscale a marzo 2023. Il testo è stato poi approvato definitivamente dalla Camera ad agosto. I primi decreti legislativi sono stati approvati alla fine di dicembre 2023, quindi non possono avere avuto effetti sulle attività di riscossione dell’anno scorso.

Le truffe del Superbonus

«12 miliardi di euro di frodi sul Superbonus: 12 miliardi di euro» (min. -0:48:00)

Questa cifra circola da mesi e non riguarda solo il Superbonus, come ha detto in modo impreciso la presidente del Consiglio, ma tutti i bonus edilizi che hanno beneficiato della cessione del credito d’imposta. Non tutti questi 12 miliardi corrispondono a crediti sequestrati e solo un piccola parte riguarda il Superbonus. La stragrande maggioranza delle frodi, infatti, ha coinvolto il “bonus Facciate” e l’“Eco-bonus”.

I test psico-attitudinali per i magistrati

«Il test attitudinale […] esiste per i magistrati in diversi Paesi europei» (min. -0:34:58)

La presidente del Consiglio ha ragione: in un altro fact-checking abbiamo verificato che 12 Paesi Ue su 27 usano test psico-attitudinali per la selezione e la valutazione dei giudici.
Pagella Politica
Tra i Paesi con i test ci sono il Portogallo, i Paesi Bassi, il Belgio e l’Austria. La Francia ha eliminato i test psico-attitudinali per i magistrati nel 2017, mentre in Germania sono a discrezione dei singoli Länder, ossia gli Stati federati.

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