Sulle spese militari il PD non trova una linea comune

L’obiettivo di portarle al 2 per cento del Pil è criticato da Schlein, mentre è supportato dall’ex ministro della Difesa Guerini
Ansa
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Ormai da qualche giorno, all’interno del Partito Democratico si è tornato a discutere sulla possibilità di aumentare le spese militari italiane al 2 per cento del Pil. Il raggiungimento di questa soglia è l’impegno fissato dalla Nato, l’alleanza militare di cui fa parte l’Italia insieme ad altri 29 Paesi del mondo, per garantire la protezione dei propri Stati membri in caso di attacchi esterni. 

Il 26 agosto, ospite dell’iniziativa Fornaci Rosse a Vicenza, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein si è detta favorevole alla decisione della Germania di rinviare al 2024 il raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento. Lo scorso 16 agosto, prima di inviare al Parlamento tedesco il nuovo disegno di legge di Bilancio della Germania, il governo guidato dal cancelliere Olaf Scholz ha cancellato dal testo una clausola che avrebbe imposto il raggiungimento dell’obiettivo ogni anno, generando un acceso dibattito. Una settimana dopo, il 23 agosto, fonti del governo tedesco hanno comunque confermato che la Germania arriverà alla soglia del 2 per cento per la spesa militare entro il 2024 e che non ha rinunciato quindi all’obiettivo. «Sul 2 per cento mi è stato chiesto se condividevo l’approccio del cancelliere Scholz che ha dilazionato l’impegno e io ho risposto sì», ha ribadito Schlein il 1° settembre in un’intervista con il quotidiano Avvenire. «Non ho mai cambiato posizione dall’inizio del conflitto nato da una invasione criminale dell’Ucraina da parte di Putin. Ho sempre pensato che fosse necessario sostenere l’Ucraina anche militarmente. Ma penso che sia cosa ben diversa aumentare la spesa militare linearmente in tutti i Paesi europei», ha aggiunto la segretaria del PD, sottolineando la necessità di creare una «difesa comune europea che avremo solo quando i governi decideranno di mettere in comune competenze e investimenti». 

La presa di posizione di Schlein ha riaperto il dibattito nel Partito Democratico sulle spese militari e sull’aiuto del nostro Paese all’Ucraina, un tema su cui il PD si è diviso in diverse occasioni da quando la segretaria è alla guida. La posizione di Schlein sulle spese militari ha ricevuto il sostegno di alcuni esponenti del partito che fanno parte dell’attuale dirigenza, tra cui il deputato Marco Furfaro, responsabile Iniziative politiche, Contrasto alle disuguaglianze, Welfare. «Fatico a immaginare che Scholz metta a rischio la credibilità internazionale della Germania. Mi pare evidente che si sia mosso in raccordo con gli alleati», ha dichiarato Furfaro il 28 agosto in un’intervista con la Repubblica. Il deputato ha quindi ribadito l’importanza del «rilancio del progetto di una difesa comune dell’Ue», confermando che il PD continuerà comunque a votare a favore di nuovi invii di armi all’Ucraina. Il 4 settembre, in un’intervista con Il Fatto Quotidiano, il segretario del partito DemoS Paolo Ciani, eletto nelle liste del PD, ha condiviso le posizioni di Schlein e Furfaro, dichiarando che sull’obiettivo del 2 per cento del Pil in spese militari «la riflessione sta crescendo, a causa di un clima di guerra nel quale ci troviamo da più di un anno e mezzo». Ciani si è detto però contrario a nuovi invii di armi all’Ucraina, posizione per cui era stato contestato a giugno in occasione della sua nomina come vice capogruppo del PD alla Camera. 

La posizione di Schlein sull’obiettivo del 2 per cento in spese militari non è condivisa invece dal deputato del PD Lorenzo Guerini. «Non capisco perché dovremmo arretrare», ha detto l’ex ministro della Difesa del secondo governo Conte e del governo Draghi in un’intervista con Il Foglio lo scorso 2 settembre. «Il PD ha avuto una posizione chiara a sostegno dell’Ucraina e la sta mantenendo. Sulle spese per la difesa la nostra posizione fino a ora è stata a favore di una crescita compatibile con le possibilità finanziarie del Paese».

L’accordo con il governo Draghi

Guerini, così come Ciani nella sua intervista con Il Fatto Quotidiano, ha ricordato che l’Italia durante il governo Draghi ha già fissato l’obiettivo di raggiungere il 2 per cento del Pil in spese militari entro il 2028, ossia tra cinque anni. 

Il 30 marzo 2022 la maggioranza che sosteneva il governo Draghi, formata da PD, Lega, Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Italia Viva, aveva infatti trovato un accordo sulle tempistiche da seguire per aumentare la spesa militare, sbloccando così anche la conversione in legge del decreto “Ucraina” – che prevedeva nuovi aiuti al Paese invaso dalla Russia – avvenuta il giorno successivo in Senato. Nelle settimane precedenti la questione delle spese militari era stata al centro di un acceso dibattito. Il 16 marzo la Camera aveva approvato a larga maggioranza un ordine del giorno che impegnava il governo «ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Pil», senza indicare però un limite temporale preciso. Gli ordini del giorno sono atti con cui il Parlamento suggerisce al governo di intervenire in una materia specifica, ma non sono vincolanti. Nonostante avesse votato a favore dell’ordine del giorno, il Movimento 5 Stelle si è in seguito opposto alla decisione, costringendo il governo a raggiungere un compromesso e a precisare che l’obiettivo del 2 per cento sarebbe stato raggiunto in modo graduale entro il 2028.

Un obiettivo non vincolante

Al di là del dibattito all’interno del PD, come abbiamo spiegato in un altro approfondimento l’obiettivo del 2 per cento del Pil è stato deciso per la prima volta dalla Nato nel 2006, ma non rappresenta un impegno vincolante dal punto di vista legale e non sono previste sanzioni specifiche per chi non dovesse rispettarlo. Il sito della Nato spiega che la decisione è stata presa per «assicurare la prontezza militare della Nato», e la soglia rappresenta un «indicatore della volontà politica dei diversi Paesi di contribuire agli sforzi comuni di difesa», dato che le capacità militari di ogni membro si riflettono poi sulla «percezione complessiva della credibilità dell’alleanza come organizzazione politico-militare».

Dal 2014 a oggi l’Italia ha aumentato il peso delle proprie spese militari rispetto al Pil, senza però mai raggiungere la soglia del 2 per cento. Nel 2014 il nostro Paese spendeva l’1,1 per cento del Pil in questo settore e la percentuale è salita fino a circa l’1,6 per cento nel 2021. Le stime più recenti della Nato, aggiornate a luglio di quest’anno, prevedono per l’Italia una spesa di circa l’1,5 per cento sia nel 2022 sia nel 2023. 

Secondo i dati più recenti, nel 2021 i Paesi della Nato che avevano raggiunto l’obiettivo del 2 per cento del Pil per le spese militari erano sei: Estonia, Grecia, Lettonia, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti. Secondo le stime più recenti della Nato, nel 2022 gli Stati che hanno raggiunto l’obiettivo sono saliti a sette, con l’aggiunta della Lituania, mentre quest’anno saliranno a 11, con l’aggiunta di Finlandia, Ungheria, Romania e Slovacchia (Immagine 1).
Immagine 1. La spesa dei Paesi membri della Nato in rapporto al Pil – Fonte: Defence Expenditures of NATO Countries (2014-2023)
Immagine 1. La spesa dei Paesi membri della Nato in rapporto al Pil – Fonte: Defence Expenditures of NATO Countries (2014-2023)

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