Che cosa c’entra la maternità surrogata nel dibattito di questi giorni

Se ne sta parlando di nuovo dopo un contestato voto in Senato e a causa di una nuova circolare del Ministero dell’Interno
ANSA
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Il 16 marzo, in un’intervista con il Corriere della Sera, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella ha ribadito la volontà del governo di «combattere» a livello internazionale la cosiddetta “gestazione per altri”, nota perlopiù con il nome di “maternità surrogata”, che Roccella preferisce chiamare «utero in affitto».

Le parole della ministra si inseriscono nel dibattito politico di questi giorni intorno a un contestato voto in Senato sul riconoscimento del rapporto di filiazione all’interno dell’Unione europea. Ma si è parlato molto di maternità surrogata anche per una decisione del Comune di Milano. Punto per punto, abbiamo messo un po’ di ordine sulle cose da sapere.

Di che cosa stiamo parlando

La maternità surrogata è il procedimento con cui una donna mette a disposizione il proprio utero e porta avanti la gravidanza per altri genitori (chiamati “genitori intenzionali”), che possono essere single o coppie, sia eterosessuali che omosessuali. Nella “surrogazione tradizionale” la madre surrogata è anche la madre biologica perché il suo ovulo viene inseminato artificialmente con il liquido seminale dell’aspirante padre. Esiste anche la “surrogazione gestazionale”, in cui la madre surrogata porta avanti solo la gravidanza dopo che le viene impiantato nell’utero un embrione, frutto della fecondazione in vitro in cui vengono utilizzati i gameti (ovociti e spermatozoi) della coppia che richiede la surrogazione.

In Italia la pratica della maternità surrogata è vietata dalla legge n. 40 del 2004, approvata durante il secondo governo Berlusconi, che riguarda le norme sulla procreazione medicalmente assistita. Secondo il comma 6 dell’articolo 12 della legge, «chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro». Anche la Corte Costituzionale, in una sentenza del 2017, ha definito la maternità surrogata una pratica «che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».

Da quando è nata la legge, nel corso del tempo i suoi principi sono stati spesso criticati e talvolta smentiti da sentenze di tribunali di ogni grado. In ogni caso, ancora oggi il ricorso alla maternità surrogata è vietato in Italia, ma rimangono aperte alcune questioni, per esempio quella relativa a come registrare i figli delle coppie, eterosessuali o omosessuali, che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata nei Paesi in cui questa pratica è consentita. In Italia il rapporto di filiazione nei confronti di un neonato è stabilito dall’atto di nascita, ma solo per i genitori biologici, escludendo quindi dal riconoscimento del legame familiare i genitori “intenzionali”, ossia le persone che intendono crescere il nascituro: sia nel caso della donna che non ha portato avanti la gravidanza e partorito sia in quello dell’uomo che non ha fornito il liquido seminale per l’inseminazione artificiale dell’utero della madre surrogata.

A oggi, in mancanza di una normativa precisa, tutte le situazioni di questo tipo vengono valutate individualmente dai singoli magistrati, producendo a volte decisioni diverse. Nel 2019, per esempio, la Corte di Cassazione ha negato la trascrizione all’anagrafe dell’atto di filiazione per una coppia omosessuale di Trento, mentre pochi giorni fa, il 14 marzo, due giudici in Puglia hanno riconosciuto in due differenti casi il diritto alla trascrizione integrale dei certificati di nascita per i figli nati da coppie eterosessuali con maternità surrogata all’estero. 

Il 19 marzo, ospite a Mezz’ora in più su Rai 3, la ministra Roccella ha ribadito la posizione del governo sul tema: i bambini nati dalla maternità surrogata non devono essere automaticamente riconosciuti come i figli della coppia dei genitori che ha fatto ricorso a questa pratica, ma possono essere riconosciuti come tali da un giudice, per esempio nel caso di adozione da parte di uno dei due genitori.

Il certificato Ue e il voto in Senato

Il tema della maternità surrogata è stato riportato al centro del dibattito politico da un recente voto in una commissione del Senato.

A dicembre la Commissione europea ha proposto un regolamento (qui il testo) per armonizzare a livello europeo le norme di diritto internazionale per quanto riguarda i figli. Tra le altre cose la Commissione Ue ha proposto che il rapporto di parentela accertato tra genitori e figli in uno Stato membro dell’Ue debba essere riconosciuto in tutti gli altri Stati membri, senza nessuna procedura specifica. Al momento il diritto dell’Ue prevede che il rapporto di filiazione riconosciuto in uno Stato membro consenta, per esempio, l’accesso al territorio e il diritto di soggiorno in altri Paesi Ue. Ma questo non vale per altri diritti, come quelli relativi alla successione o al diritto di un genitore di agire in qualità di rappresentante legale di un minore, per esempio a scuola o per ragioni di salute. La Commissione Ue ha anche avanzato la proposta di creare un “certificato europeo di filiazione”, che i figli o i loro rappresentanti legali possono richiedere facoltativamente allo Stato Ue che ha accertato il rapporto di filiazione con i propri genitori. 

Il 14 marzo la Commissione Politiche dell’Ue al Senato ha approvato una risoluzione di maggioranza, presentata da Fratelli d’Italia, per esprimere il proprio parere contrario alla proposta europea. Secondo i partiti che sostengono il governo Meloni, la proposta della Commissione Ue violerebbe due principi: quello di sussidiarietà e quello di proporzionalità. Semplificando, questi principi stabiliscono che l’Ue interviene nelle materie che non sono di sua competenza esclusiva solo se il suo intervento è più efficace di quello degli Stati membri (sussidiarietà), e in ogni caso l’intervento non deve andare oltre quello che è strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo (proporzionalità). 

Secondo la maggioranza di centrodestra, la proposta non rispetta i principi di sussidiarietà e di proporzionalità e consente il ricorso alla cosiddetta “clausola dell’ordine pubblico”, ma solo in casi eccezionali. La materia è estremamente complessa: proviamo qui a riassurmene i punti principali.

La “clausola dell’ordine pubblico” è una procedura, prevista dalla legge, in base alla quale un giudice italiano può decidere di non applicare le norme straniere e non riconoscere le sentenze estere nel caso in cui queste possano produrre effetti incompatibili con i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale. In questo caso per “ordine pubblico” si intende l’insieme dei valori fondamentali della persona tra cui il diritto alla vita privata e familiare del bambino. Per il governo, quindi, la proposta della Commissione Ue «non prevede la possibilità per gli Stati membri di assicurare il pieno rispetto dei diritti dei figli mediante strumenti diversi da quello del riconoscimento delle decisioni giudiziarie, di atti pubblici o di certificati europei di filiazione, quale per esempio l’istituto dell’adozione in casi particolari».

Nel testo della risoluzione del Senato si fa esplicito riferimento allo strumento dell’adozione perché è l’unico che, secondo una sentenza della Corte di Cassazione del 30 dicembre scorso, può formalizzare lo stato di filiazione tra il nato e il genitore intenzionale nel caso di maternità surrogata. Per i giudici, questo legame non si può realizzare attraverso la trascrizione diretta dell’atto di nascita del figlio da madre surrogata di un altro Paese perché sarebbe contrario all’ordine pubblico. Per esempio, per i figli nati da due padri attraverso la maternità surrogata all’estero, la Corte di Cassazione ha stabilito che bisogna trascrivere solo il padre biologico. Il secondo padre, quello cosiddetto “intenzionale”, può essere riconosciuto solo con l’adozione in casi particolari, un procedimento che vede coinvolto anche il Tribunale dei minori.

Per questo motivo, i contrari alla proposta della Commissione europea affermano che accettarla significherebbe considerare automaticamente legali le trascrizioni redatte all’estero di atti di nascita di figli nati attraverso la maternità surrogata. In tal senso, il certificato europeo di filiazione determinerebbe un’invasione del diritto europeo su quello nazionale.

La circolare del Ministero dell’Interno

Oltre al voto in Senato, c’è un’altra questione sorta negli ultimi giorni che riguarda direttamente i figli di coppie che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata, ma non solo.

Il 19 gennaio, recependo il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione, il Ministero dell’Interno ha inviato una circolare ai prefetti, evidenziando le conclusioni della Corte di Cassazione e sollecitandoli a «fare analoga comunicazione ai sindaci, al fine di assicurare una puntuale e uniforme osservanza» di quanto stabilito dalla Cassazione.

Il 13 marzo il prefetto di Milano Renato Saccone, seguendo l’indicazione del Ministero dell’Interno, ha chiesto al sindaco della città Beppe Sala di interrompere la registrazione dei genitori non biologici nei certificati di nascita di bambini con due padri o con due madri (in questo secondo caso solo se nati in Italia). Sala ha quindi annunciato l’interruzione della pratica, non senza criticare lo stop imposto dal prefetto. «Finora il Comune di Milano, assumendosene la piena responsabilità e stante l’assenza di una specifica disciplina di legge, ha trascritto gli atti di nascita dei figli nati da coppie omogenitoriali. Purtroppo d’ora in poi non sempre sarà possibile», ha dichiarato il sindaco. «Mi farò comunque carico di portare avanti politicamente questa battaglia per i diritti delle coppie dello stesso sesso e dei loro figli».

Il 18 marzo a Milano è stata indetta una manifestazione promossa dalle associazioni Lgbtq+ e dalle cosiddette “famiglie arcobaleno” per protestare contro la decisione del prefetto, a cui ha partecipato anche la nuova segretaria del Partito democratico Elly Schlein. «Ci stiamo già muovendo per portare avanti in Parlamento le aspettative che sono emerse dalla piazza», ha dichiarato Schlein durante il corteo, affermando che il suo partito ha redatto un disegno di legge sul tema che sarà presto presentato in Parlamento.

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