Sulla giustizia il governo sta facendo il contrario di quello che pensa il suo ministro

Dal reato contro i rave all’ergastolo ostativo, passando per le intercettazioni, sono stati approvati provvedimenti che vanno contro quanto difeso da Carlo Nordio, di recente e in passato 
ANSA
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Prima della nascita del governo guidato da Giorgia Meloni, una delle nomine più attese era quella del futuro ministro della Giustizia, che secondo molti quotidiani sarebbe stata attribuita con tutta probabilità all’ex magistrato Carlo Nordio, eletto deputato con Fratelli d’Italia. Così è poi stato: Nordio è stato nominato ministro, secondo fonti stampa, su esplicita richiesta di Meloni. 

In questi primi giorni di governo, però, alcuni provvedimenti presi dall’esecutivo sembrano andare nella direzione opposta rispetto a quanto dichiarato da Nordio di recente e durante la sua lunga carriera nel mondo della giustizia.

Il nuovo reato contro i rave

Il 22 ottobre, dopo il giuramento come ministro al Quirinale, Nordio ha elencato alcuni dei provvedimenti che intenderà adottare alla guida del Ministero della Giustizia. Tra le altre cose, Nordio ha sottolineato (min. -0:30) che, a detta sua, «la velocizzazione della giustizia transita attraverso una forte depenalizzazione, quindi una riduzione dei reati». Bisogna «eliminare questo pregiudizio che la sicurezza e la buona amministrazione siano tutelati dalle leggi penali: questo non è vero», aveva ribadito il ministro. «Lo abbiamo sperimentato sul campo, soprattutto quelli come me che hanno fatto per quarant’anni i pubblici ministeri».

Con “depenalizzazione” si intende il processo con cui si decide di non classificare più come reati alcune azioni, ma come illeciti amministrativi. In passato, Meloni stessa aveva più volte criticato i precedenti governi, accusandoli di aver ridotto il numero dei reati, depenalizzandoli o abrogandoli, senza costruire nuove carceri. 

Il 31 ottobre, pochi giorni dopo le dichiarazioni fatte da Nordio, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge, che, tra le altre cose, ha introdotto un nuovo reato, con l’articolo 434-bis, contro l’«invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica». La norma, pensata per contrastare l’organizzazione dei rave party, in realtà è piuttosto vaga e rischia di applicarsi ad altri tipi di manifestazioni.

Dunque, con il primo decreto-legge il governo è andato subito nella direzione opposta rispetto a quella tracciata dal suo ministro della Giustizia, che chiedeva di ridurre i reati, e non di crearne di nuovi. Il 2 novembre, Nordio è intervenuto sulla vicenda con una nota, difendendo la norma e ricordando che ora il Parlamento potrà modificarla, prima di convertire in legge il decreto.

La questione delle intercettazioni

Di recente, così come in passato, Nordio è poi intervenuto per criticare l’eccessivo utilizzo delle intercettazioni fatte dalla magistratura italiana nei confronti degli indagati. Il 24 ottobre, in un’intervista a Il Messaggero, il ministro ha per esempio ricordato, citando una cifra corretta, che lo Stato italiano spende circa 200 milioni di euro ogni anno per le spese in intercettazioni. 

In generale, la posizione di Nordio sulle intercettazioni, così come su altri temi relativi alla giustizia, si inserisce nel filone del cosiddetto “garantismo”, ossia l’idea che un indagato o un imputato debbano essere tutelati il più possibile e considerati innocenti fino all’ultima sentenza.

La nuova norma sui rave party, introdotta dal governo Meloni, tocca pure la questione delle intercettazioni. Tra le altre cose, il provvedimento punisce chiunque «organizza o promuove» un raduno illegale, con più di 50 persone e mettendo a rischio l’ordine, l’incolumità o la salute pubblici, con una «reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro mille a euro 10 mila». In base al codice di procedura penale, le intercettazioni sono consentite per procedimenti relativi a vari reati, tra cui quelli che hanno pene superiori ai cinque anni di carcere. 

In questo caso, il governo Meloni ha dunque introdotto una norma che potrebbe portare le autorità a usare uno strumento, quello delle intercettazioni, che secondo Nordio è già oggi troppo utilizzato. Il 1° novembre il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto (Forza Italia) ha comunque dichiarato che in Parlamento «basterà abbassare la pena sotto i cinque anni e le intercettazioni non saranno consentite», anticipando quella che potrebbe essere una prima modifica al testo.

Il dibattito sull’ergastolo ostativo

Il decreto-legge approvato dal governo Meloni il 31 ottobre è intervenuto anche sul cosiddetto “ergastolo ostativo”,  ossia il regime carcerario che esclude gli autori di alcuni reati particolarmente gravi, tra cui quelli di stampo terroristico o mafioso, da possibili benefici penitenziari, a meno che questi non decidano di collaborare con la giustizia. Nel 2021 la Corte costituzionale aveva dichiarato incompatibile con la Costituzione l’attuale regime dell’ergastolo ostativo, invitando il Parlamento a intervenire, prima di un nuovo giudizio sul tema, previsto per il prossimo 8 novembre. 

Visti i tempi ristretti, Meloni – da sempre contraria all’abolizione dell’ergastolo ostativo – ha deciso di intervenire sulla questione con il primo decreto-legge, riproponendo un testo approvato dalla Camera a marzo 2022, che però non era riuscito ad avere il via libera definitivo del Senato. In base al decreto, i condannati per reati connessi, tra le altre cose, all’associazione di tipo mafioso, alla tratta illegale di stranieri e al traffico illecito di sostanze stupefacenti, potranno accedere ai benefici penitenziari anche senza aver collaborato con la giustizia, a patto che rispettino una serie di condizioni: dovrà essere esclusa la presenza di legami attuali con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva; il condannato dovrà aver adempiuto a tutte le obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna; e il giudice dovrà valutare la presenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime. Inoltre, potranno essere ammessi alla libertà condizionale solo i detenuti che hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea oppure, in caso di condanna all’ergastolo, almeno trent’anni di pena.

In pratica, il governo vuole provare a mantenere in piedi il regime dell’ergastolo ostativo, introducendo alcune modifiche. Questa posizione sembra però essere in contrasto con quanto detto in passato da Nordio. «Io penso che l’ergastolo ostativo, il principio cioè che al reo non venga concessa la possibilità di alcun beneficio, sia un’eresia contraria alla Costituzione», aveva dichiarato l’ex magistrato al direttore del Foglio Claudio Cerasa, nel suo libro Le catene della destra, uscito ad agosto scorso. «Bisogna strutturare la legge in modo che l’ergastolo possa rimanere come principio ma bisogna anche ricordarsi cosa dice l’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Spiace per chi a destra la pensa così, ma il punto è evidente: il fine pena mai non è compatibile, al fondo, con il nostro Stato di diritto». 

Il 31 ottobre, durante una conferenza stampa, Nordio ha comunque difeso il decreto approvato dal governo, dicendo che l’esecutivo si è adeguato alle indicazioni della Corte costituzionale. Vedremo se questo sarà vero, una volta che i giudici si esprimeranno di nuovo sul testo.

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