Il nuovo governo può davvero limitare il primato del diritto Ue su quello italiano?

Da tempo Fratelli d’Italia promette di cambiare, una volta alla guida del Paese, i rapporti tra i due diritti: ecco di che cosa stiamo parlando e quali sono gli scenari possibili
ANSA/CLAUDIO PERI
ANSA/CLAUDIO PERI
Nei giorni successivi alle elezioni del 25 settembre, ma anche durante la campagna elettorale, vari esponenti di Fratelli d’Italia hanno rilanciato la proposta di intervenire sul rapporto che esiste oggi tra il diritto italiano e quello dell’Unione europea. Il 28 settembre, in un’intervista con la Repubblica, il capogruppo uscente di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida, ha per esempio dichiarato che «la sovranità del diritto dell’Unione europea va rivista». «In Germania la Corte costituzionale ha affermato che, fra i due sistemi normativi, prevale sempre quello che più tutela la popolazione tedesca», ha aggiunto Lollobrigida. Dieci giorni prima, la presidente del partito Giorgia Meloni, ospite a Mezz’ora in più su Rai 3, aveva sostenuto (min. -0:15:57) la stessa posizione.

Il riferimento di queste dichiarazioni è ai cosiddetti “controlimiti” che i sistemi giuridici nazionali possono opporre al diritto dell’Ue. Ma la sentenza della Corte costituzionale tedesca di maggio 2020, a cui Lollobrigida e Meloni hanno fatto riferimento, è stata accolta da diverse critiche e ha poi dato il via a una procedura di infrazione dell’Ue contro la Germania, che si è conclusa alla fine del 2021 con la decisione della Germania di smentire, sostanzialmente, quanto deciso dai propri giudici costituzionali (ci torneremo meglio più avanti).

In ogni caso, il tema è parecchio complesso e ha coinvolto in passato anche la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia dell’Ue (Cgue). Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sul tema per capire che cosa effettivamente potrà fare su questo punto un eventuale governo di centrodestra guidato da Fratelli d’Italia.

Che cos’è il primato del diritto dell’Ue

La questione dei rapporti fra il diritto nazionale, di qualunque Stato membro dell’Ue, e il diritto europeo è stata risolta da decenni, nel senso che il secondo prevale sul primo. Per l’Italia, vale l’interpretazione per cui il diritto europeo è richiamato dalle norme costituzionali, in modo implicito dall’articolo 11 della Costituzione e in modo esplicito dall’articolo 117, riformato nel 2001. In base al primo, l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». In base al secondo, il potere legislativo nel nostro Paese è esercitato dallo Stato e dalle Regioni «nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Il modo in cui si attua il primato del diritto europeo è però peculiare. 

Con una storica sentenza del 1984, la Corte costituzionale italiana ha stabilito che le norme di origine comunitaria devono essere applicate a prescindere dall’eventuale esistenza di norme nazionali contrastanti con quelle europee. In sostanza, in caso di discordanza, le norme italiane devono essere disapplicate, a favore di quelle europee. 

Quella sentenza ha inoltre stabilito che il giudice italiano non deve interpellare la Corte costituzionale ogni volta che incontra una norma italiana che contrasta con il diritto europeo. Al contrario, il giudice italiano deve innanzitutto verificare che la norma comunitaria abbia effetto diretto, ossia non necessiti di essere recepita dallo Stato membro, come accade per esempio con le direttive europee. In caso affermativo, deve risolvere in autonomia il contrasto, semplicemente disapplicando la norma nazionale e applicando quella europea. Al massimo, può chiedere chiarimenti interpretativi alla Corte di giustizia dell’Ue, tramite il cosiddetto “rinvio pregiudiziale”.

Questa soluzione è apparsa più vicina a un modello integrato di diritto dell’Ue: con i trattati istitutivi, i Paesi membri hanno infatti deciso di delegare all’Ue la competenza a legiferare in alcune materie, dunque la logica vuole che non sia consentito, da parte di quegli stessi Paesi firmatari, frapporre ostacoli legislativi di origine nazionale. Spetta al singolo giudice (nel nostro caso, il giudice italiano) vigilare affinché questo non accada: e se accade, deve disapplicare il diritto nazionale difforme dal diritto comunitario, senza demandare la decisione alla Corte costituzionale.

L’eccezione dei “controlimiti”

La Corte costituzionale non è però del tutto esclusa da questo dialogo tra giudici nazionali ed europei: già in una sentenza del 1973, i giudici costituzionali hanno stabilito che il citato articolo 11 della Costituzione consente «limitazioni di sovranità» al Paese, ma solo per il «conseguimento» di alcune finalità. Esistono dunque i cosiddetti “controlimiti” al primato del diritto europeo su quello italiano: detto in parole semplici, il diritto europeo prevale sempre su quello italiano, in caso di difformità, ma a condizione che non violi i principi fondamentali stabiliti in Costituzione o i diritti inalienabili della persona. La Corte costituzionale è l’organismo che effettua questo controllo sul rispetto dei principi fondamentali e dei diritti della persona: il “caso Taricco” può aiutare a comprendere la complessità della questione.

Nel 2017 la Corte di giustizia dell’Ue ha pubblicato una sentenza, dopo essere stata chiamata in causa dal Tribunale di Cuneo con lo strumento del “rinvio pregiudiziale”, su un caso che riguardava alcuni imputati accusati di associazione a delinquere in frodi riguardanti l’Iva. Il Tribunale di Cuneo aveva coinvolto la Corte di giustizia dell’Ue perché per gli imputati stava per scattare la prescrizione: i giudici avevano il dubbio che esistessero norme europee che li obbligassero a disapplicare la norma italiana sulla prescrizione e a procedere con il processo. La Corte di giustizia dell’Ue aveva stabilito che i giudici italiani dovessero disapplicare la normativa italiana sulla prescrizione, continuando a processare gli imputati.

Sul caso è poi intervenuta la Corte costituzionale italiana, che ha rivolto alla Corte di giustizia dell’Ue diverse domande su come dovesse interpretare il rapporto tra diritto comunitario e principi fondamentali dell’ordinamento italiano, richiamando i controlimiti costituzionali. Uno di questi è il principio della cosiddetta “legalità penale”, sancito dall’articolo 25 della Costituzione, secondo cui cui ogni cittadino deve essere in grado di prevedere le conseguenze penali dei propri comportamenti (e la prescrizione rientrerebbe in queste conseguenze, anche se il tema è dibattuto). Inoltre, sempre in base ai principi dell’ordinamento italiano, quelle conseguenze devono essere stabilite dal Parlamento con legge e non da un’autorità giurisdizionale (quale, per esempio, è la Corte di giustizia dell’Ue). Il “caso Taricco” è poi proseguito, ma è sufficiente ricordare che la Corte di giustizia dell’Ue ha poi accettato l’interpretazione della Corte costituzionale, anche se declinata nella direzione di un miglior dialogo tra giudici nazionali e comunitari.

La sentenza della Corte costituzionale tedesca

Di recente, la Corte costituzionale tedesca ha sfidato, per così dire, il primato del diritto comunitario, con la sentenza pubblicata a maggio 2020 sul programma di acquisti di titoli di Stato della Banca centrale europea (Bce). In breve, secondo la Corte tedesca, l’intervento della Bce è andato oltre i limiti del suo mandato, stabiliti dai trattati europei, e i giudici hanno dichiarato che il Parlamento e il governo tedesco non hanno intrapreso sufficienti iniziative per limitare l’iniziativa della Bce. Secondo vari osservatori, la decisione – che, a differenza di quella italiana del caso Taricco, non era nel segno di un dialogo con le istituzioni comunitarie – è apparsa come una provocazione alla Corte di giustizia dell’Ue, che da poco si era pronunciata sulla stessa questione, negando che il programma di acquisto dei titoli di Stato fosse incompatibile con i compiti della Bce. 

La posizione della Corte costituzionale tedesca è stata criticata, in Germania e non solo, e ha spinto la Commissione europea ad avviare una procedura d’infrazione contro la Germania per «violazione dei principi fondamentali del diritto dell’Ue, in particolare dei principi di autonomia, primato, efficacia e applicazione uniforme del diritto dell’Unione».

Tale procedura di infrazione, come anticipato, è stata chiusa nel dicembre 2021, quando la Germania ha dichiarato formalmente di riconoscere «autonomia, primazia, efficacia e applicazione uniforme del diritto e dei valori dell’Ue», di riconoscere «l’autorità della Corte di giustizia dell’Ue, le cui decisioni sono definitive e vincolanti» e di accettare che la legalità degli atti delle istituzioni comunitarie non può essere stabilita da corti tedesche (come fatto dalla Corte costituzionale a maggio 2020) ma solo dalla Corte di giustizia dell’Ue, e infine addirittura di impegnarsi a «usare tutti i mezzi a propria disposizione» per impedire nel futuro altre decisioni del genere.

Che cosa può fare Fratelli d’Italia al governo

Come abbiamo visto, l’applicazione uniforme del diritto europeo viene messa a rischio ogni volta che la Corte costituzionale di uno Stato membro si arroghi la prerogativa di controllarne l’adesione ai propri controlimiti costituzionali, specie se non in coordinamento con la Corte di giustizia dell’Ue.

Le modifiche apportate ai trattati europei con il Trattato di Lisbona del 2007 (per esempio, l’articolo 4 impegna l’Ue a rispettare l’«identità nazionale» degli Stati membri) vanno nella direzione di “europeizzare” i controlimiti, in modo da accentrarne la verifica in capo alla Corte di giustizia dell’Ue e progressivamente togliere peso alle Corti costituzionali. Queste – si veda il caso tedesco di maggio 2020, o anche quello polacco di ottobre 2021, qui sintetizzato – non sempre accettano di buon grado la situazione ma, come dimostra proprio il caso della Germania, non sembra possibile restare nell’Ue senza accettare queste regole comuni.

In ogni caso, la partita del rapporto tra diritto europeo e diritto italiano è essenzialmente fra organi giurisdizionali e non fra governi. Questo perché i controlimiti affondano le proprie radici nei principi fondamentali della Costituzione, una parte del nostro diritto che il legislatore non può cambiare. Così come non può cambiare il rapporto di supremazia del diritto comunitario su quello nazionale, che affonda nei Trattati e nella giurisprudenza vincolante della Corte di giustizia dell’Ue, a meno di non voler uscire dall’Ue (ipotesi ormai non più presente nei programmi elettorali di Lega e Fratelli d’Italia). Dunque un eventuale governo guidato da Fratelli d’Italia, a dispetto degli annunci, potrà fare ben poco in proposito.

Al massimo, si potrebbe intervenire su fattori che però non mettono in discussione la supremazia del diritto europeo su quello italiano. Il Parlamento, dove il centrodestra ha la maggioranza dei seggi, potrebbe per esempio intervenire nella formazione del diritto dell’Ue per un maggior controllo sul rispetto del cosiddetto “principio di sussidiarietà”. Quest’ultimo stabilisce che a livello europeo si devono adottare misure legislative solo quando sono più efficaci dell’azione dei singoli Stati membri a livello nazionale. Se un Parlamento, come quello italiano, ritiene che una proposta legislativa non rispetti questo principio, può presentare un’osservazione all’interno del meccanismo di controllo della sussidiarietà.

Un’altra ipotesi di azione per un governo di centrodestra è quella in cui, raccolto un largo consenso con altri Paesi membri, si spinga per una futura modifica di alcune norme primarie del diritto dell’Ue, ma non del principio per cui, una volta che quelle norme sono vigenti, vanno rispettate da tutti i membri dell’Ue.

La citata sentenza della Corte costituzionale tedesca mostra i rischi da preventivare per le rotture, quando le conseguenze da unilaterali diventano bilaterali. Alcuni hanno infatti osservato che il seguito della sentenza della Corte costituzionale tedesca sarebbe stato, per la Banca centrale tedesca, la sospensione della partecipazione al programma europeo di acquisti di titoli di Stato e la cessione dei titoli “illegittimamente acquisiti” per conto della Bce, fra cui quelli tedeschi, determinando un immediato aumento del tasso del loro rendimento e, di conseguenza, del costo del debito tedesco. In quell’occasione, le istituzioni tedesche hanno poi operato per evitare conseguenze di questo tipo. Questo non esclude però le istituzioni di altri Paesi membri, come quelle dell’Italia, si possano impegnare a creare nuove fratture.  

Infine, segnaliamo che nel 2018 Meloni ha presentato alla Camera una proposta di legge per modificare i già citati articoli 11 e 117 della Costituzione. L’esame del testo non è mai iniziato e, anche se la proposta venisse ripresentata in questa legislatura, quanto detto finora sul primato del diritto europeo su quello italiano non verrebbe meno.

Le opinioni espresse dall’autore di questo articolo sono personali e non impegnano l’istituzione di appartenenza.

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