Che cosa non torna nelle critiche di Meloni al reddito di cittadinanza

Dai costi alle truffe, passando per l’impatto sulla povertà e sul lavoro: il fact-checking di quattro dichiarazioni della presidente di Fratelli d’Italia
ANSA/GIUSEPPE LAMI
ANSA/GIUSEPPE LAMI
Il 17 agosto, con un video pubblicato sui suoi canali social, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha criticato il reddito di cittadinanza, definendolo un «fallimento totale». «Per questo motivo vogliamo sostituirlo con uno strumento a tutela dei soggetti effettivamente fragili: disabili, over 60 e famiglie con minori a carico privi di reddito», ha scritto Meloni su Facebook. 

Dai costi alle truffe, passando per l’impatto su povertà e lavoro, abbiamo controllato quattro dichiarazioni fatte nel video dalla presidente di Fratelli d’Italia, per vedere quante corrispondono al vero e quante no.

Quanto è costato il reddito di cittadinanza

«Il costo è stato pari a 9 miliardi di euro l’anno»

La cifra indicata da Meloni è un po’ esagerata. Come spiega un dossier del Parlamento, il decreto-legge che all’inizio del 2019 ha introdotto il reddito di cittadinanza ha stanziato, per finanziare la misura, 5,9 miliardi di euro per il 2019, 7,2 miliardi per il 2020 e 7,4 miliardi per il 2021, stabilendo un limite di spesa di 7,3 miliardi annui a partire dal 2022. La legge di Bilancio per il 2022, approvata a fine dicembre scorso, ha poi aumentato le risorse a disposizione del reddito di cittadinanza, portando il finanziamento annuo della misura a oltre 8,3 miliardi di euro, fino al 2029.

Quante sono le truffe per il reddito di cittadinanza

«Ha generato migliaia e migliaia di truffe»

È vero: ci sono state truffe, ma i numeri vanno contestualizzati per comprenderne la portata.

Come abbiamo spiegato più nel dettaglio in un approfondimento di novembre 2021, si è parlato molto negli ultimi anni delle persone che hanno percepito indebitamente il reddito di cittadinanza. Tra il 2019 e 2021 i carabinieri hanno per esempio scoperto che quasi 48 milioni di euro sono stati percepiti indebitamente da oltre 13 mila beneficiari, deferiti alle autorità. Tra il 2020 e il 2021 la guardia di finanza ha invece individuato circa 127 milioni di sussidi indebitamente percepiti. 

Numeri alla mano, queste cifre sono comunque una porzione piuttosto minima rispetto al totale dei nuclei beneficiari e delle risorse stanziate. Stiamo parlando di valori intorno al 2 per cento delle risorse stanziate per finanziare la misura e al 2 per cento dei beneficiari. A ottobre 2021 diversi politici, tra cui il leader della Lega Matteo Salvini, hanno rilanciato la notizia secondo cui con il reddito di cittadinanza erano stati truffati «15 miliardi» di euro. Non era vero: quel dato faceva riferimento al totale dei danni all’erario scoperti dalla guardia di finanza tra gennaio 2020 e agosto 2021, per quanto riguarda la spesa pubblica (la quota relativa al reddito di cittadinanza, come abbiamo visto sopra, era di 127 milioni).

Spesso si è dibattuto anche dei cosiddetti “furbetti” del reddito di cittadinanza e sono circolate stime secondo cui circa un terzo dei percettori del sussidio non sarebbe povero. È vero che una parte della popolazione povera in Italia è esclusa dal reddito di cittadinanza, mentre ne beneficiano cittadini non poveri. Questi non sono però necessariamente tutti truffatori o evasori: alcuni non poveri accedono al sussidio perché i requisiti della misura glielo permettono, mentre altri non poveri vi accedono grazie a fenomeni di evasione parziale o registrazioni anagrafiche non veritiere.

L’impatto del reddito di cittadinanza sulla povertà

«Ha fallito come strumento di lotta alla povertà, che ha raggiunto i massimi storici»

Meloni ha ragione quando dice che i numeri sulla povertà in Italia hanno raggiunto i «massimi storici», ma è esagerato dire che il reddito di cittadinanza abbia «fallito come strumento di lotta alla povertà»: alcuni dati positivi ci sono.

Secondo Istat, nel 2018 in Italia vivevano in povertà assoluta oltre 1,8 milioni di famiglie, per un totale di 5 milioni di individui, il dato più alto dal 2004 a quella data. Nel 2019, anno in cui è stato introdotto il reddito di cittadinanza, le famiglie povere erano quasi 1,7 milioni e le persone povere quasi 4,6 milioni, in calo rispetto all’anno precedente. «La diminuzione della povertà assoluta si deve in gran parte al miglioramento, nel 2019, dei livelli di spesa delle famiglie meno abbienti (in una situazione di stasi dei consumi a livello nazionale)», aveva scritto l’Istat all’epoca. «L’andamento positivo si è verificato in concomitanza dell’introduzione del reddito di cittadinanza (che ha sostituito il reddito di inclusione) e ha interessato, nella seconda parte del 2019, oltre un milione di famiglie in difficoltà», aveva aggiunto l’istituto, segnalando un possibile contributo del sussidio.

Con lo scoppio della pandemia di Covid-19, la povertà in Italia è tornata a salire. Nel 2021 le famiglie in povertà assoluta erano poco più di 1,9 milioni, per un totale di circa 5,6 milioni di individui, valori stabili rispetto al 2020. Ma come ha spiegato la stessa Istat nel suo rapporto annuale dello scorso luglio, nel 2020 il reddito di cittadinanza e altri sussidi erogati dal secondo governo Conte hanno evitato che circa un milione di cittadini scivolasse sotto la soglia della povertà assoluta. Altri studi della Banca d’Italia hanno confermato che il reddito di cittadinanza ha avuto un impatto nel contenere l’aumento della povertà nel nostro Paese. 

A novembre 2021 il Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza, istituito dal Ministero del Lavoro, ha presentato dieci proposte per migliorare il sussidio e per permettergli di raggiungere i poveri che a oggi non rientrano tra i beneficiari. Tra le varie proposte, il Comitato ha suggerito di ridurre da dieci a cinque anni di residenza in Italia il requisito che gli stranieri devono rispettare per poter ricevere il reddito di cittadinanza. Al momento, le proposte del Comitato non sono state ancora recepite dal governo.

I risultati sul mercato del lavoro

«Ha fallito come misura di politica attiva del lavoro, visto che pochissimi dei percettori del reddito di cittadinanza alla fine sono stati assunti e hanno trovato un lavoro dignitoso»

Come abbiamo sottolineato diverse volte in passato, c’è sempre stata poca trasparenza sul numero di percettori del reddito di cittadinanza che sono riusciti a trovare un’occupazione grazie al sistema di ricerca di lavoro messo in piedi con la creazione di questo sussidio. In base ai numeri a disposizione, i risultati sembrano essere stati comunque piuttosto deludenti rispetto alle attese. 

Nell’analizzare i dati vanno però presi in considerazione alcuni fattori, come ha sottolineato a giugno 2022 il Comitato del Ministero del Lavoro, in un documento intitolato: “Dieci domande e risposte sul reddito di cittadinanza. Per animare un dibattito pubblico basato su dati e argomentazioni”. Alla domanda “Quanti percettori del reddito di cittadinanza hanno trovato lavoro finora?”, il documento ha elencato alcuni numeri.

«Il numero totale di beneficiari che, indipendentemente dalla condizione occupazionale al momento di accesso al beneficio e dallo stato della domanda (terminata, decaduta, in corso di validità, ecc.), sono transitati nelle politiche del lavoro nel periodo compreso tra marzo 2019 e la fine di settembre del 2021 è stato pari a 1.808.278», si legge nel rapporto. «Circa 178 mila di tali beneficiari avevano un rapporto di lavoro al momento dell’ingresso nella misura, mentre altri 547 mila circa (cioè il 30,2 per cento del totale) lo hanno trovato successivamente. Quindi poco meno di 725 mila di quei beneficiari (il 40,1 per cento) aveva già un lavoro o lo ha trovato successivamente. Inoltre, va tenuto presente che poiché non pochi di essi hanno cambiato più di un lavoro nel periodo, sono stati più di 1,5 milioni i complessivi rapporti di lavoro movimentati».

Tra i contratti firmati prevale però nettamente l’occupazione a termine. Quasi il 69 per cento di questi contratti di breve durata non ha superato i tre mesi e più di un terzo è durato meno di un mese. «Nella maggior parte dei casi, quindi, i nuovi rapporti di lavoro instaurati si caratterizzano per un elevato livello di precarietà, con periodi di occupazione brevi o molto brevi», ha sottolineato il Comitato.

Il problema è che la maggior parte dei beneficiari del reddito di cittadinanza che sono occupabili presenta in realtà bassi profili professionali, con limitate esperienze lavorative. «In assenza di un’attività formativa adeguata questi limiti, tenendo conto anche della forte propensione di molte imprese a ricorrere a questi contratti, si traducono in un’alta probabilità di accedere soltanto a lavori con caratteristiche di precarietà», ha concluso il documento. 

Infine, a oggi non esistono studi che dimostrino che i beneficiari del reddito di cittadinanza preferirebbero non lavorare, o lavorare in nero, piuttosto che perdere il sussidio. Ne abbiamo scritto più nel dettaglio qui.

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