Tra Conte e Crosetto, chi ha ragione sull’invio delle armi all’Ucraina?

Il leader del Movimento 5 stelle dice che il governo non deve «azzardarsi» a mandare armi all’Ucraina senza riferire al Parlamento, mentre secondo il ministro della Difesa, il governo Meloni sta solo seguendo quanto fatto dal precedente esecutivo
ANSA/CLAUDIO PERI
ANSA/CLAUDIO PERI
Nei giorni scorsi c’è stato un botta e risposta a distanza tra il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte e il ministro della Difesa Guido Crosetto su un nuovo invio di armi dall’Italia all’Ucraina. Il 5 novembre, durante la manifestazione per la pace a Roma, Conte ha dichiarato: «Visto che è stata votata una risoluzione che impone al governo di avere un confronto in Parlamento, non si azzardi questo governo a fare un ulteriore invio di armi senza venire a confrontarsi in Parlamento». Il giorno dopo, in un’intervista con il Corriere della Sera, Crosetto ha risposto al leader del Movimento 5 stelle, dichiarando che «il ministro della Difesa sta facendo, per spiegarlo bene a Conte, quello che lui e altri hanno deciso di fare dicendo sì ai cinque decreti per l’invio di armi decisi dal governo Draghi del quale i 5 Stelle erano il maggior sostegno parlamentare. Se oggi ha cambiato idea è per altro».

Chi ha ragione tra Conte e Crosetto? È vero che il governo deve passare per il Parlamento per approvare un nuovo invio di armi? Che cosa sta facendo il nuovo governo su questo punto? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

Le regole sull’invio di armi

In base al decreto “Ucraina” (n. 14 del 25 febbraio 2022), approvato dal governo Draghi e convertito in legge dal Parlamento a inizio aprile, fino al 31 dicembre 2022 il Ministero della Difesa è autorizzato a inviare mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina «previo atto di indirizzo della Camere» e in deroga a quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990, che regola le esportazioni di armi dall’Italia. Tra le altre cose, questa legge vieta che il nostro Paese possa esportare armamenti a un Paese in guerra, come lo è l’Ucraina in questo momento, salvo aver ottenuto, appunto, un permesso concesso dal Parlamento.

Il 1° marzo 2022, per autorizzare l’invio di armi all’Ucraina, la Camera e il Senato hanno approvato due risoluzioni a larga maggioranza, dunque con i voti degli esponenti del Movimento 5 stelle (a parte alcuni voti contrari, come quello del senatore Vito Petrocelli). Le due risoluzioni impegnavano il governo ad «assicurare sostegno e solidarietà» all’Ucraina, anche attraverso la «cessione di apparati e strumenti militari» per consentire al Paese invaso dalla Russia di «esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione». Secondo le due risoluzioni, questo doveva avvenire «tenendo costantemente informato il Parlamento e in modo coordinato con gli altri Paesi europei e alleati». Lo stesso decreto “Ucraina” stabiliva che il ministro della difesa e quello degli Esteri debbano riferire al Parlamento, «con cadenza  almeno trimestrale», sull’andamento della guerra, alla luce dell’invio di armi italiane.

Il primo decreto del Ministero della Difesa per l’invio di armi all’Ucraina è stato poi pubblicato in Gazzetta ufficiale il 2 marzo, mentre il secondo il 27 aprile. Successivamente, sono stati autorizzati altri tre invii di armi: il 10 maggio, il 26 luglio e il 7 ottobre (gli ultimi due sono stati approvati dopo le dimissioni di Mario Draghi da presidente del Consiglio, arrivate il 21 luglio). Ricordiamo che le liste di armi mandate in Ucraina non sono pubblicamente disponibili: uno dei motivi è quello di non avvantaggiare la Russia, dicendole quali nuove armi ha a disposizione l’esercito ucraino. Secondo fonti stampa, e come confermato dal ministro Crosetto, ora il governo Meloni sta lavorando a un sesto decreto per l’invio di armi, che, in base a quanto abbiamo visto, può essere fatto senza necessariamente passare per un voto in Parlamento. Questo potere del governo scadrà con la fine del 2022.

Che cosa diceva la risoluzione in Senato

Perché allora Conte parla di una risoluzione che «impone al governo di avere un confronto in Parlamento»? Come abbiamo visto, le risoluzioni approvate da Camera e Senato a inizio marzo 2022 specificavano già, seppure genericamente, che il Parlamento venisse «costantemente informato» sull’invio di armi. Tra le altre cose, questo è avvenuto, per esempio, con le varie audizioni del precedente ministro della Difesa Lorenzo Guerini (Partito democratico) al ​​Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), un organismo composto da senatori e deputati, e presieduto da un membro dell’opposizione, che controllano sull’operato dei servizi segreti italiani.

Lo scorso giugno, però, il Movimento 5 stelle guidato da Conte aveva manifestato dubbi sulla necessità di continuare ad armare l’esercito ucraino. Il 21 giugno, dopo le comunicazioni dell’allora presidente del Consiglio Draghi in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno, in Senato è stata così votata una risoluzione, frutto di un compromesso tra i partiti, per coinvolgere di più il Parlamento nella gestione della guerra e sull’invio di armi all’esercito ucraino. La risoluzione, approvata anche con i voti del Movimento 5 stelle, impegnava il governo a «continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022, il necessario e ampio coinvolgimento delle camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari». 

Secondo fonti stampa, questo passaggio è stato quello su cui si è concentrato maggiormente il confronto tra i partiti, senza però aggiungere nulla di particolarmente nuovo. Infatti, sia il decreto “Ucraina” sia le due risoluzioni approvate a inizio marzo specificavano che il governo debba periodicamente informare il Parlamento sull’invio di armi, senza che questo richieda nuove votazioni in aula.

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