Il 25 giugno, in un’intervista con La Repubblica, il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha criticato la gestione dell’emergenza coronavirus da parte del governo, di cui fa parte anche il suo partito.

In particolare, Renzi ha fatto riferimento ai «consulenti del governo», che secondo l’ex presidente del Consiglio «dicevano che se avessimo riaperto avremmo avuto 150 mila malati gravi a giugno» per il coronavirus. Una previsione definita una «follia» e una «fake news» dal leader di Italia Viva, visti i numeri attuali dell’epidemia (al 25 giugno i casi Covid-19 in terapia intensiva erano 103).

Come vedremo meglio in questo fact-checking, Renzi riporta però in maniera imprecisa e fuorviante il contenuto di un documento che ha in parte guidato le scelte del governo Conte sulle prime riaperture della Fase 2, iniziata a maggio.

In breve: da un lato l’ex presidente del Consiglio considera come una previsione fatta con un buon margine di certezza quello che in realtà era uno scenario ipotetico (per di più il peggiore su 49); dall’altro lato, confronta la situazione italiana attuale con questo scenario, che ipotizzava condizioni notevolmente diverse rispetto a quelle che ha vissuto l’Italia nelle ultime settimane.

Ricordiamo che non è la prima volta che Renzi fa un errore simile. «Dire che a giugno potrebbe esserci bisogno addirittura di 151 mila posti in terapia intensiva è folle», aveva scritto il leader di Italia Viva il 28 aprile su Twitter, mentre nel suo ultimo libro La mossa del cavallo (uscito a inizio giugno 2020) ha definito come «matematicamente falso» lo scenario di «oltre 150 mila posti in terapia intensiva» con la «riapertura totale» del Paese.

Ma vediamo nel dettaglio qual è il punto di partenza della dichiarazione di Renzi e quali sono i vari errori che commette.

– Leggi anche: Il nuovo libro di Renzi, in 10 fact-checking

Di che cosa stiamo parlando

Il 26 aprile il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha annunciato (qui il fact-checking della sua conferenza stampa) le misure per la cosiddetta “Fase 2” dell’emergenza coronavirus, con le prime riaperture previste per il 4 maggio dopo il periodo del lockdown iniziato a marzo.

In particolare, tra gli elementi che avevano spinto il governo a una riaperture parziale a partire dal 4 maggio, secondo fonti stampa c’era una «relazione riservata» – così la definiva, per esempio, Il Corriere della Sera il 28 aprile – del Comitato tecnico scientifico (Cts), un organo di esperti istituito il 5 febbraio con il compito di informare il governo sulla base delle evidenze scientifiche più aggiornate.

Venuti a conoscenza dell’esistenza di questo documento, molti media titolarono che secondo gli esperti del governo c’era il rischio di avere «151 mila» pazienti in terapia intensiva per la Covid-19 se si fossero riaperte tutte le attività. «In caso di riapertura totale avremmo rischiato 151 mila ricoveri in terapia intensiva», aveva detto il 28 aprile il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. «Sfido chiunque a riaprire tutto con questo documento in mano».

Come vedremo meglio tra poco, però, questa era – e lo è ancora oggi, vista la dichiarazione di Renzi – una lettura superficiale del contenuto del documento in questione, il cui problema principale riguardò proprio la sua iniziale comunicazione.

Come è stato “divulgato” il documento e chi l’ha realizzato

«All’epoca quello era un documento riservato: si trattava di un allegato a un verbale di quei giorni del Comitato tecnico scientifico, che non era stato pensato per essere reso pubblico», ha spiegato a Pagella Politica Stefano Merler, epidemiologo matematico e responsabile dell’unità di ricerca Dynamical processes in complex societies, della Fondazione Bruno Kessler, che ha realizzato lo studio “incriminato”.

La Fondazione Bruno Kessler è un ente di ricerca di interesse pubblico, che da tempo collabora con l’Istituto superiore di sanità (Iss). Come spiegano alcune slide dell’Iss del 30 aprile, il documento di cui parla Renzi era stato richiesto dal Ministero della Salute e la sua realizzazione è stata seguita, oltre che dalla Fondazione Bruno Kessler e dal ministero stesso, anche dall’Iss e dall’Inail. Il testo è stato poi discusso e adottato dal Cts e trasmesso al Ministero della Salute. Ma doveva restare riservato.

«Ora il documento con il numero dei “151 mila” si trova online, in versione integrale, perché è stato passato alla stampa, ma anche se la copia reperibile è molto fedele all’originale, non si tratta di una versione ufficiale. Per esempio è priva delle referenze bibliografiche che rimandano agli studi che abbiamo utilizzato», ha sottolineato Merler a Pagella Politica. «Il problema principale di come è stata gestita la cosa è che in quei giorni il documento è stato divulgato senza un filtro, ossia senza una spiegazione e una cornice. I dati contenuti nel testo sono così subito stati interpretati male».

Ma entriamo nel cuore della questione, analizzando nel dettaglio quali sono i presupposti e i risultati del documento (qui consultabile), intitolato: “Valutazione di politiche di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizione professionale”.

Che cosa dice lo studio dei «150 mila»

Scenari ipotetici, non previsioni

Innanzitutto, facciamo chiarezza sui termini che devono essere utilizzati.

Con una previsione, si dice come andranno le cose con un ampio di margine di certezza, partendo da una situazione iniziale. Gli scenari ipotetici hanno un grado di cautela più elevato.

Renzi, nella sua intervista con La Repubblica e nelle dichiarazioni passate sul tema, lascia implicitamente intendere che il numero dei «150 mila» malati gravi o posti in terapia intensiva con la riapertura della Fase 2 fosse una previsione degli esperti del governo, oggi non confermata dai dati (come abbiamo già detto, al 25 giugno i casi Covid-19 in terapia intensiva erano 103). Ma qui c’è il primo errore dell’ex presidente del Consiglio.

«Non ci è stato chiesto di fare una previsione di cosa sarebbe successo, per esempio riaprendo tutte le attività o una parte del Paese. È impossibile fare previsioni ancora oggi su una questione su cui ci sono molte incognite, e ancora di più ce n’erano ad aprile», ha spiegato Merler a Pagella Politica. «Con una previsione, io prevedo, appunto, come andrà l’andamento dell’epidemia, mentre con uno scenario ipotetico ti do delle indicazioni di che cosa succederà a seconda che si verifichino o meno una serie di altre condizioni, su cui non c’è certezza».

Fare un lavoro di previsione è insomma molto più impegnativo rispetto a presentare scenari ipotetici. «Il nostro non è stato un lavoro di previsione, ma un’analisi di scenari possibili, di cui alcuni più probabili e altri meno. Al Comitato tecnico scientifico, che poi riferiva al governo, dovevamo dare delle indicazioni al meglio di quello che si sapeva dal punto di vista scientifico su possibili scenari di sviluppo dell’epidemia, non scommettere su cosa sarebbe successo», ha aggiunto l’epidemiologo matematico della Fondazione Bruno Kessler. «“Scommettere” sulla base dei dati e di uno scenario incerto è una scelta che poi tocca alla politica e al governo, non è compito degli scienziati».

Su che dati i ricercatori hanno dunque sviluppato degli scenari ipotetici sull’evoluzione dell’epidemia di coronavirus nella Fase 2?

Le variabili in gioco

Il documento della Fondazione Bruno Kessler era basato sulle conoscenze aggiornate a marzo-aprile 2020 di alcuni parametri chiave che regolano la trasmissione del nuovo coronavirus. Oggi le evidenze scientifiche sul tema sono progredite, anche restano ancora molte incertezze sulla Covid-19 (per esempio per quanto riguarda la stagionalità del virus).

I parametri chiave del modello utilizzato dagli esperti che hanno realizzato il documento sono molti.

Tra questi, ci sono il numero di riproduzione effettivo, che come abbiamo spiegato in passato stima quanti nuovi contagi vengono generati da chi è già stato contagiato; il tempo di generazione, ossia il tempo che intercorre tra due diverse generazioni di infetti; il numero dei contatti che le persone di età diversa hanno in luoghi diversi (come per esempio la casa, la scuola, il lavoro, i mezzi di trasporto); il diverso rischio di contrarre la Covid-19 nei diversi settori lavorativi e la diversa suscettibilità al virus per le diverse fasce d’età.

Inoltre, le proiezioni epidemiche sono state ottenute assumendo le diverse probabilità per un caso critico di finire in terapia intensiva; che sintomatici e asintomatici fossero ugualmente infettivi e che il tasso di letalità per singola infezione fosse intorno allo 0,6 per cento. Entrambi questi ultimi due temi sono oggi ancora oggetto di forte dibattito.

Ribadiamo che i valori di questi parametri poggiavano sulle evidenze scientifiche disponibili all’epoca. Quali sono stati gli scenari ottenuti dai ricercatori?

Da dove vengono i «150 mila»

Nel documento sono stati elaborati 49 scenari ipotetici, che si differenziano l’uno dall’altro, per esempio, in base alla percentuale di lavoratori rientranti in quattro settori diversi e la loro età; in base al mantenimento del telelavoro e la riapertura della scuole; in base al diverso allentamento delle misure di restrizione dei contatti sociali; e tenendo conto del ricorso ai dispositivi di protezione individuale.

«Noi ci siamo concentrati soprattutto sulla parte economica e in parte sulla scuola», ha spiegato Merler a Pagella Politica. «I famosi “150 mila” corrispondono a cosa sarebbe potuto succedere, quindi uno scenario ipotetico, non una previsione, riaprendo tutto dal 4 maggio, come se il coronavirus non fosse mai esistito. In questo scenario si considerava per esempio la riapertura delle discoteche e degli stadi, senza nessuna protezione individuale da parte delle persone».

Nello Scenario A del documento, si legge infatti che aprendo letteralmente tutte le attività, senza misure di protezione e limitazioni di contatti sociali, il numero di massima occupazione per le terapie intensive si aggirava intorno alle 151 mila unità, mentre la data di massima occupazione era prevista per l’8 giugno. A fine dicembre 2020, in questo scenario, i ricoveri totali in terapia intensiva in Italia si sarebbero aggirati intorno alle 430 mila unità.

Un confronto sbagliato

Il secondo errore di Renzi – dopo aver confuso uno scenario ipotetico con una previsione – è però quello di confrontare i dati attuali (al 25 giugno i casi Covid-19 in terapia intensiva erano 103) con quelli dello Scenario A. L’enorme discrepanza, secondo Renzi, giustificherebbe la definizione di «fake news» del lavoro degli esperti, ma il problema è che vengono confrontate due cose molto diverse tra loro.

Dal 4 maggio, infatti, non abbiamo assistito a una riapertura totale minimamente paragonabile a quanto contenuto nello Scenario A. Basti pensare che ad oggi – come raccomandato anche dalla relazione – il telelavoro continua a esserci, le scuole sono rimaste chiuse, i contatti sociali sono ancora limitati e si sono diffusi sempre più i dispositivi di protezione individuale.

«I “150 mila” erano uno scenario possibile in questa simulazione, su cui però nel Comitato tecnico scientifico non ci abbiamo speso neanche un secondo a guardarlo», ha sottolineato Merler a Pagella Politica. «Era chiaro a tutti che era una cosa inconcepibile, però quando si fanno questi lavori di modellizzazione di scenari è prassi mettere anche lo scenario peggiore».

In effetti la stragrande maggioranza degli scenari presenti nel documento non sono così disastrosi come lo Scenario A, e anzi, in diversi casi (si vedano per esempio le figure dalla 15 alla 22) con ampi gradi di riapertura il numero di riproduzione del virus restava sotto la soglia di 1, quella oltre la quale l’epidemia ritorna a diffondersi.

«Molti di questi scenari di ampia riapertura e con il contributo parziale dei dispositivi di protezione individuale sono compatibili con la situazione che stiamo vivendo oggi», ha sottolineato Merler. «Ora potremmo dire: “Ve l’avevamo detto”, ma commetteremmo un errore, perché erano scenari ipotetici e non una previsione».

Ricapitolando: Renzi scambia per una previsione quella che una previsione non era, ma soprattutto usa i dati di uno scenario per confrontarli alla situazione attuale, molto diversa in termini di condizioni rispetto a quelle contenute nell’ipotesi di una vera e proprio riapertura totale.

In ogni caso, al di là delle legittime critiche politiche alla gestione dell’emergenza da parte del governo, tra fine aprile e inizio maggio sono arrivate anche alcune critiche sui risultati del documento appena visto. Analizziamole brevemente.

Le critiche al documento

Il 29 aprile alcuni media hanno riportato un commento di Carisma, una holding dedicata allo sviluppo delle piccole-medie imprese, che sosteneva che i calcoli fatti dagli esperti sugli scenari di riapertura fossero sbagliati, addirittura di «almeno 10 volte». In realtà, questa critica poggiava su un’errata interpretazione del modo in cui era stato calcolato il numero dei casi critici.

Secondo alcuni, poi, i dati alla base del modello erano o datati oppure parziali, mentre secondo altri si sarebbero potuti prendere in considerazione la possibile stagionalità della Covid-19 oppure gli effetti delle maggiori capacità di cura dopo mesi di gestione dell’emergenza.

«Da un punto di vista tecnico, secondo me è rischioso mettere in un modello dati su un qualcosa di cui si sa ancora poco oggi, per esempio la stagionalità del virus, figuriamoci alcuni mesi fa», ha sottolineato Merler a Pagella Politica, riconoscendo la legittimità delle critiche, ma spiegando anche che «lo scopo del nostro lavoro, che ha sicuramente diversi limiti che riconosco, era mettere in evidenza i rischi, non dare rassicurazioni».

Il verdetto

Secondo Matteo Renzi, il governo e i suoi esperti «dicevano che se avessimo riaperto avremmo avuto 150 mila malati gravi a giugno: follia. Fake news». Abbiamo verificato e il leader di Italia Viva riporta in maniera imprecisa e fuorviante il dato contenuto in un documento che ha in parte guidato le scelte del governo Conte sulle prime riaperture della Fase 2.

La prima imprecisione di Renzi è presentare il dato dei «150 mila» come una previsione fatta con un alto grado di certezza: in realtà, come confermato anche dall’autore dello studio, si trattava dello scenario ipotetico peggiore su 49. Il secondo errore dell’ex presidente del Consiglio è confrontare il dato dei «150 mila» letti occupati in terapia intensiva con la situazione attuale in Italia, che vede un centinaio di posti letto occupati. I due contesti non sono però lontanamente paragonabili: lo scenario dei «150 mila» faceva riferimento a una riapertura totale, di tutte le attività, senza alcuna limitazione e introduzione di protezione individuale. Questo, a partire dal 4 maggio ad oggi, non è mai avvenuto: il telelavoro per molti continua a esserci; stesso discorso vale per le limitazioni sociali; si sono diffusi i dispositivi di protezione individuale; e molte attività che prevedono grandi aggregazioni (come le discoteche e gli stadi) restano chiuse.

In conclusione, al di là delle critiche legittime alla gestione dell’emergenza e al documento in questione, per come presenta i fatti Renzi si merita un “Pinocchio andante”.