Il 6 maggio l’europarlamentare del Partito democratico Pina Picierno ha commentato su Facebook la decisione del Parlamento ungherese di non ratificare la Convenzione del Consiglio di Europa sulla lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, firmata a Istanbul nel 2011 e ratificata dall’Italia nel 2013.

Secondo Picierno, questa scelta è «inaccettabile», «proprio adesso che a causa del contenimento dovuto al Covid-19 i casi di violenza domestica sono tragicamente aumentati».

L’europarlamentare del Pd ha ragione sui casi in aumento: come vedremo, nonostante la scarsità dei dati a disposizione su questo tema, alcuni numeri e molti esperti hanno mostrato che la violenza domestica sta crescendo – e può crescere sempre più – a causa dell’emergenza coronavirus.

Vediamo nel dettaglio come e perché.

I numeri in Italia

Partiamo con i dati sui contatti ai servizi di sostegno per le vittime di violenza domestica e ai centri antiviolenza in Italia, che mostrano come durante il lockdown da Covid-19 sia cresciuto il numero di donne che ha chiesto aiuto.

Il numero 1522

Il 20 aprile il Dipartimento delle Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha comunicato i dati ad oggi più aggiornati sulle chiamate ricevute al numero di telefono 1522.

Questo numero è stato istituito nel 2006 per far emergere e contrastare il fenomeno della violenza intra ed extra familiare a danno delle donne e dal 2009 anche nei confronti delle vittime di stalking. È attivo 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno ed è accessibile gratuitamente da tutti Italia, sia da rete fissa che mobile, in cinque lingue diverse.

Secondo i dati del Dipartimento delle Pari opportunità, a marzo 2020 – il mese in cui sono iniziate le misure di contenimento per l’emergenza coronavirus – sono state 716 le chiamate al 1522 (contro le 670 di marzo 2019), mentre dal 1 al 18 aprile 2020 sono salite addirittura a 1.037 (erano state 397 nello stesso periodo dell’anno scorso).

Da inizio marzo al 18 aprile, dunque, c’è stato un aumento di chiamate al 1522 di oltre il 64 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. A gennaio e febbraio 2020 – prima del lockdown – le chiamate erano state invece rispettivamente 455 e 508, in calo rispetto l’anno scorso.

«Questi numeri sono un segno che ci dice l’emersione di un fenomeno purtroppo nascosto, difficile da contrastare proprio nella misura in cui più viene taciuto mentre si consuma nelle mura domestiche», ha spiegato la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti (Italia Viva), nel commentare i dati del 1522.

La app 1522

Anche l’applicazione per smartphone 1522 (scaricabile per Android o iOS) ha registrato un aumento delle richieste durante il lockdown.

«Se le segnalazioni via chat a gennaio 2020 sono state solo 37 e a febbraio 50, confermando così una sostanziale preferenza per il mezzo telefonico – spiega un comunicato del Dipartimento delle Pari opportunità – con la campagna di comunicazione mirata alla diffusione della conoscenza dell’app le segnalazioni via chat sono salite a 143 a marzo e a 253 nei primi 18 giorni di aprile».

Numeri dunque più che quadruplicati nei due mesi interessati dall’epidemia, rispetto ai due mesi precedenti.

I dati della Rete D.i.Re

Al momento mancano dati che fotografino la situazione di tutti i centri antiviolenza a livello nazionale. Secondo le rilevazioni Istat più aggiornate, nel 2017 c’erano oltre 280 centri (un numero troppo basso rapportato alla popolazione) a cui avevano chiesto aiuto quasi 43.500 donne.

Nelle ultime settimane, però, alcune realtà hanno raccolto dei dati che indicano un peggioramento della situazione.

“Donne in Rete contro la violenza” (D.i.Re) è un’associazione nazionale di centri antiviolenza non istituzionali, gestiti da oltre 80 organizzazioni di donne, che nel 2018 – dati più aggiornati – hanno accolto quasi 20.000 donne vittime di violenza.

Il 14 aprile, D.i.Re ha pubblicato alcuni dati sul numero di donne che si sono rivolte ai loro centri antiviolenza durante il lockdown da coronavirus.

«Dal 2 marzo al 5 aprile 2020 i centri antiviolenza D.i.Re sono stati contattati complessivamente da 2.867 donne, di cui 806 (28 per cento) non si erano mai rivolte prima ai centri antiviolenza D.i.Re», si legge in un comunicato sul sito ufficiale dell’associazione. «L’incremento delle richieste di supporto, rispetto alla media mensile registrata con l’ultimo rilevamento statistico (2018), pari a 1.643, è stato del 74,5 per cento».

Questi dati confermano «quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente esacerbato situazioni di violenza che le donne stavano vivendo», ha commentato Paola Sdao, del “Gruppo ricerca e rilevazione” di D.i.Re.

Le difficoltà nel denunciare

Abbiamo visto che i contatti al 1522 e ai centri antiviolenza D.i.Re sono aumentati durante il periodo del lockdown.

Questa crescita “rilevata” si basa però su dati parziali, che non devono far passare il messaggio che per le donne vittime di violenza domestica sia possibile denunciare la propria situazione durante il lockdown come nei mesi precedenti alla pandemia.

Alcune testimonianze, raccolte da Valigia Blu in un approfondimento del 27 marzo scorso, avevano mostrato che nelle prime settimane di marzo alcuni centri antiviolenza e associazioni avessero anzi riscontrato un preoccupante e sensibile calo delle chiamate. Questo non significa però un calo delle violenze subite.

Ricevere meno chiamate «è un fenomeno che solitamente le operatrici sono abituate a vedere durante i weekend o i periodi di vacanza, quando donne e partner abusanti si trovano a stretto contatto e i momenti per telefonare o chiedere aiuto sono più difficili da trovare», ha scritto la giornalista Claudia Torrisi su Valigia Blu. «Solo che in questo caso rischia di essere prolungato, e con tutte le complicazioni ulteriori di una pandemia».

Una maggiore difficoltà nel denunciare – al di là delle statistiche sulle chiamate, il cui aumento registrato in particolare ad aprile assume quindi contorni ancor più preoccupanti – è confermata anche da altre esperte che si occupano della materia.

«Fra le cause di aumento della violenza domestica, molti studi includono le situazioni di crisi, soprattutto in relazione all’incremento del livello di stress psicologico e finanziario, alla crescita del grado di incertezza e a una generalizzata sensazione di perdita di controllo sulla propria vita», hanno per esempio scritto il 14 aprile su lavoce.info Maura Laura Di Tommaso, professoressa ordinaria in Economia politica all’Università di Torino ed esperta in economia di genere e femminista, e Caterina Muratori, dottoranda al Collegio Carlo Alberto di Torino.

«Oggi, poi, la politica dello “stare a casa” – hanno sottolineato le ricercatrici – espone le donne vittime di violenza domestica alla presenza costante del loro assalitore e la violenza di genere aumenta esponenzialmente nei momenti di prossimità familiare: diverse ricerche stimano un aumento nella probabilità degli episodi nei weekend, tra la sera e le prime ore della mattina e durante le vacanze».

I numeri dell’Oms

A supporto della dichiarazione di Picierno ci sono anche le rilevazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Il 6 aprile l’Oms ha infatti pubblicato un rapporto dedicato proprio all’emergenza coronavirus e alla violenza sulle donne, domestica e non solo.

Secondo le rilevazioni dell’Oms, nelle prime settimane di lockdown diverse associazioni in molti Paesi nel mondo hanno registrato un aumento delle richieste di aiuto da parte di donne vittime di violenza domestica. Si sono registrati aumenti per esempio in Francia, in Argentina, in Germania, in Spagna, in Canada, negli Stati Uniti, nel Regno Unito e a Singapore.

Secondo l’Oms, a livello mondiale sono 243 milioni le donne e ragazze tra 15 e 49 anni che sono state vittime di una violenza fisica o sessuale, fatta da un partner negli ultimi 12 mesi.

Oltre alla questione della violenza domestica, spiega l’Oms, vanno aggiunti anche i maggiori rischi che le donne – e le associazioni che le difendono – corrono in termini economici anche per l’emergenza coronavirus (un pericolo rilevato anche dal Ministero della Salute italiano).

Il 7 maggio, il direttore regionale dell’Oms per l’Europa Hans Kluge ha inoltre annunciato in una dichiarazione alla stampa che «sebbene i dati siano scarsi, gli Stati membri hanno riportato un aumento del 60 per cento rispetto all’aprile dello scorso anno del numero di chiamate d’emergenza fatte da donne vittime di violenza da parte di partner intimi».

«Oltre a questi dati, solo una frazione dei casi di violenza vengono denunciati», ha poi ricordato Kluge. «Parliamo molto di numeri e di statistiche, ma non dobbiamo dimenticarci neppure per un momento il lato umano della questione, delle donne e dei bambini che vivono tutti i giorni in questa realtà».

Le previsioni delle Nazioni unite

Dello stesso parere è anche il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (United nations population fund, Unfpa), che il 27 aprile ha pubblicato un rapporto sui potenziali impatti dell’emergenza Covid-19 sugli obiettivi fissati dall’Unfpa per il 2030 relativi, tra le altre cose, al contrasto della violenza di genere.

Nel mondo «se il lockdown continuasse per sei mesi, si stima ci sarebbero 31 milioni di casi di violenza di genere in più» rispetto allo stesso periodo ma senza misure restrittive, ha scritto l’Unfpa nel suo rapporto.

Il verdetto

Secondo Pina Picierno, «a causa del contenimento dovuto al Covid-19 i casi di violenza domestica sono tragicamente aumentati».

Al netto delle difficoltà di reperire i dati sul fenomeno in questione, l’europarlamentare del Pd ha ragione.

In l’Italia, le rilevazioni del numero 1522 e dei centri antiviolenza D.i.Re hanno confermato una crescita delle richieste di aiuto rispetto ai mesi scorsi, un fenomeno riscontrato anche in altri Paesi europei e del mondo, come hanno rilevato l’Organizzazione mondiale della sanità e le Nazioni unite.

Secondo gli esperti, le donne saranno tra le più colpite dalle restrizioni per l’emergenza coronavirus, non solo in termini di violenza domestica, ma anche in termini economici.

“Vero” dunque per Picierno.




Donne vittime di violenza: numeri e app da contattare (Fonte: Ministero della Salute)

Numero rosa 1522, antiviolenza e anti stalking che fornisce assistenza e supporto 24 ore su 24.

App 1522, disponibile su IOS e Android, che consente alle donne di chattare con le operatrici e chiedere aiuto e informazioni in sicurezza, senza correre il rischio ulteriore di essere ascoltate dai loro aggressori.

App “Youpol”. Realizzata dalla Polizia di Stato per segnalare episodi di spaccio e bullismo, l’App è stata estesa anche ai reati di violenza che si consumano tra le mura domestiche.

Centri antiviolenza. La mappa dei centri è disponibile sul sito del Dipartimento della Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio.

Consultori familiari. La mappa è disponibile sul sito del Ministero della salute.