Il 3 febbraio, l’ex sottosegretario al Ministero dell’Economia Massimo Bitonci (Lega) ha scritto su Facebook che il taglio del cuneo fiscale proposto dal governo Pd-M5s vale «meno di un caffè al giorno».

È vero, o no? Abbiamo verificato.

Di che cosa stiamo parlando

Secondo la definizione della Treccani, il “cuneo fiscale” è la differenza «tra quanto costa un dipendente al datore di lavoro e quanto riceve al netto lo stesso lavoratore, calcolata in percentuale del salario lordo».

In realtà, per la precisione, con questa definizione si identifica il “cuneo fiscale e contributivo”, che come sottolinea l’Istat è la somma di due componenti: da un lato le imposte sui redditi da lavoratore dipendente, dall’altro i contributi previdenziali a carico del datore di lavoro e del dipendente.

Al di là di questa precisazione, quando si parla di “cuneo fiscale” generalmente si prendono in considerazione entrambi questi aspetti. Come abbiamo verificato in passato, secondo i dati Ocse nel 2018 su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore italiano arriva in media un netto di 52,1 euro.

La maggioranza del governo Conte II ha promesso di ridurre il cuneo fiscale nel suo programma di coalizione, dove si legge che «occorre ridurre le tasse sul lavoro, a totale vantaggio dei lavoratori» (un impegno simile, poi non mantenuto, era stato preso anche dal M5s e dalla Lega nel Contratto di governo, firmato a maggio 2018).

Che cosa ha fatto il governo Pd-M5s

Il 23 gennaio 2020, spiega il sito del governo, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che introduce «misure urgenti per la riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente», finanziate con il fondo istituito dall’ultima legge di Bilancio (art. 1, co. 7) che per il 2020 ha una dotazione di 3 miliardi di euro.

Nel comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, si legge che il decreto-legge «interviene per rideterminare l’importo ed estendere la platea dei percettori dell’attuale “bonus Irpef”».

Qui il riferimento è al cosiddetto “bonus Renzi”, introdotto dal 2014 nella forma di un credito di imposta: in parole semplici, il lavoratore dipendente riceve un aumento dal datore di lavoro perché quest’ultimo versa una quantità minore di tasse sul lavoro del suo dipendente (Irpef).

Con il “bonus Renzi”, i lavoratori dipendenti con un reddito superiore o uguale a 8.000 euro e inferiore a 24.600 euro (si parla sempre di redditi “lordi”) percepiscono un aumento in busta paga fino a un massimo di 960 euro annuali (80 euro al mese), mentre ricevono un aumento via via decrescente coloro che hanno un reddito tra i 24.600 e i 26.600 euro.

Al 4 febbraio 2020, il testo del decreto-legge approvato il 23 gennaio non è ancora stato pubblicato in Gazzetta ufficiale, ma circolano bozze del provvedimento che, confermate dai numeri ripresi anche da fonti stampa, aiutano a farsi un’idea generale di come cambierà il netto in busta paga per milioni di lavoratori dipendenti.

Secondo le stime del governo, i beneficiari totali saranno «16 milioni» (4,3 milioni in più rispetto alla platea dell’attuale “bonus Renzi”), ma concentriamoci ora sull’oggetto della nostra analisi, ossia di quanto sarà effettivamente tagliato il “cuneo fiscale”.

Quanto dovrebbero aumentare le buste paga

Secondo lo schema di decreto-legge che circola in rete, le cui cifre sono confermate anche da diverse fonti stampa (ad esempio Il Sole 24 Ore) e dal comunicato della Presidenza del Consiglio dei ministri, il governo vuole intervenire lungo due binari nella riduzione del cuneo fiscale.

La bozza del provvedimento stabilisce in via sperimentale (e «in attesa di una revisione degli strumenti di sostegno al reddito», come spiega la Relazione illustrativa del testo) che, dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2020, i lavoratori dipendenti con un reddito tra gli 8.200 e i 28.000 euro ricevano (art. 1) un bonus complessivo di 600 euro, e quelli con un reddito tra 28.100 e 40.000 euro ricevano (art. 2) un bonus in via decrescente all’aumentare del reddito.

Vediamo nel dettaglio i vari aspetti.

Fino a 26.600 euro

Per prima cosa, chi già riceve il “bonus Renzi” (fascia fino ai 26.600 euro di reddito) vedrà i circa 80 euro mensili (tra i 24.600 e i 26.600 euro il bonus è ridotto) salire tra luglio e dicembre 2020 a circa 100 euro: almeno 20 euro in più al mese. Se si prende in considerazione il costo di un caffè pari a 1 euro, Bitonci ha dunque ragione: questo aumento mensile vale «meno di un caffè al giorno».

Ma la correttezza dell’affermazione dell’ex sottosegretario della Lega si ferma qui.

Fino a 28.000 euro

In secondo luogo, infatti, chi ha un reddito tra i 26.600 euro e i 28.000 euro (e ad oggi è escluso dal “bonus Renzi”) avrà accesso grazie al decreto all’aumento in busta paga di 600 euro tra luglio e dicembre 2020 (secondo le stime del Sole 24 Ore si tratta di circa 710 mila lavoratori dipendenti).

In sostanza, questa fetta di popolazione, che prima non prendeva nessun bonus, da luglio prossimo si troverà 100 euro netti in più al mese in busta paga: l’equivalente di oltre tre caffè al giorno.

Fino a 40.000 euro

Per i redditi a partire da 28.000 euro, il decreto-legge introduce poi una detrazione fiscale di 600 euro (ossia 100 euro al mese tra luglio e dicembre 2020) che decresce di valore fino a toccare i 480 euro complessivi (80 euro al mese) in corrispondenza di un reddito pari a 35.000 euro. Entro ai 40.000 euro, poi, l’importo del bonus continua a calare, fino ad azzerarsi.

In sostanza, chi prima non riceveva alcun “bonus Renzi”, dal 1° luglio fino a fine dicembre prenderà da un massimo di quasi 100 euro al mese in più in busta paga (reddito lordo intorno ai 28.100 euro) a un minimo di 16 euro (reddito lordo intorno ai 39 mila euro) (Immagine 1).

Secondo le stime del Sole 24 Ore, nella fascia tra i 28.000 euro e i 40.000 euro sono ricompresi circa 3,5 milioni di lavoratori.

Tiriamo le somme

Grazie al decreto-legge che introduce un taglio del cuneo fiscale (in attesa della pubblicazione in Gazzetta ufficiale e dell’avvio dell’iter parlamentare per la conversione in legge del testo), tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2020, chi già prende il “bonus Renzi” (fascia di reddito tra gli 8.200 e i 26.600 euro) vedrà la busta paga aumentare di circa 20 euro al mese («meno di un caffè al giorno», come dice Bitonci).

Per i lavoratori con un reddito tra 26.600 e 28.000 euro, il bonus sarà il più corposo di tutti: 100 euro netti in più in busta. Tra i 28.000 e i 40.000, il bonus calerà con l’aumentare del reddito. Per chi è nella fascia intorno ai 38 mila euro, per esempio, il bonus totale sui sei mesi dovrebbe essere di circa 192 euro, poco più di 30 euro al mese, ossia il costo di un caffè al giorno indicato da Bitonci.

Il verdetto

Secondo l’ex sottosegretario leghista Massimo Bitonci, il taglio del cuneo fiscale proposto dal governo Pd-M5s vale «meno di un caffè al giorno». In attesa della pubblicazione del testo ufficiale del decreto, abbiamo verificato i numeri che circolano nelle bozze del documento, da fonti stampa e dalle dichiarazioni e del governo e Bitonci risulta essere impreciso.

È vero che chi già prende il “bonus Renzi”, tra il 1° luglio e il 31 dicembre 2020 vedrà aumentare il netto in busta paga di circa 20 euro («meno di un caffè al giorno»), ma per chi ha un reddito compreso tra i 26.600 e i 38 mila euro, l’aumento in busta paga sarà ben maggiore.

In conclusione, Bitonci si merita un “Nì”.