Il 3 agosto l’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha pubblicato i primi risultati provvisori dell’indagine con i test sierologici sulla diffusione del nuovo coronavirus nella popolazione italiana. Secondo Istat, nel nostro Paese la percentuale di persone che ha incontrato il virus è del 2,5 per cento, ossia quasi 1,5 milioni di persone, circa sei volte il numero dei contagiati confermati fino ad oggi.

Durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati, il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo ha detto che questo «2,5 sembra poco», ma ha invitato alla cautela facendo «un conto un po’ alla buona», come lo ha definito lui stesso.

«Il 2,5 vuol dire che la probabilità di incontrare una persona che sia positiva è il 2,5. Provate a immaginare: se uno in una giornata incontra 20 persone – ha detto Blangiardo – ebbene ha il 50 per cento circa di probabilità di avere incontrato almeno una persona che sia positiva».

«Come vedete, se incontri soggetti che sono in quelle condizioni, il rischio c’è, quindi il suggerimento è quello di non abbassare la guardia», ha aggiunto poi il presidente dell’Istat. «Il 2,5 può sembrare piccolo, ma il 2,5 se non teniamo dei comportamenti adeguati può comunque trasformarsi in qualcosa di assolutamente problematico».

Il 4 agosto il deputato di Italia Viva Luigi Marattin ha commentato su Twitter questi dati, scrivendo: «Se sento un altro tg dire “il risultato dell’indagine Istat è che se si incontrano 20 persone si ha il 50 per cento di probabilità di incontrarne uno positivo al Covid” non credo di poter continuare a mantenere la calma».

Ma il calcolo fatto da Blangiardo è corretto? Al netto di alcune approssimazioni, la risposta è sì. Il punto principale è però un altro: il calcolo si riferisce non agli attualmente positivi alla Covid-19, che potrebbero diffondere il virus, ma ai positivi a certi anticorpi, che come vedremo meglio nel pezzo non sono necessariamente collegati a una contagiosità esistente. Quindi l’invito alla cautela è sempre d’obbligo, ma non bisogna esagerare i rischi di contagio sulla base di quello che dice l’indagine Istat.

Vediamo perché, spiegando innanzitutto come sono stati raccolti i dati.

Che cos’è l’indagine sierologica dell’Istat

Il decreto-legge n. 30 del 10 maggio 2020 ha incaricato l’Istat, insieme al Ministero della Salute, di condurre un’indagine di sieroprevalenza sul Sars-CoV-2 in Italia. Grazie all’aiuto della Croce rossa, dal 25 maggio al 15 luglio l’Istat ha sottoposto a test sierologico 64.660 persone – un campione rappresentativo della popolazione italiana – per quantificare quanti risultassero positivi agli anticorpi IgG, ossia le immunoglobuline G, che vengono sviluppati diversi giorni dopo essere entrati in contatto con un virus (e che potrebbero, forse, fornire una protezione immunitaria a lungo termine).

Ma qual è la differenza tra questi test sierologici e i “tamponi” di cui si è spesso sentito parlare durante l’epidemia?

Mentre i tamponi naso-faringei consentono di diagnosticare un’infezione in atto, i test sierologici permettono invece di rilevare nel sangue la presenza di particolari anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta al virus.

Secondo Istat, a partire dal campione analizzato, si stima che sono un milione e 482 mila le persone in Italia che risulterebbero positive alla presenza di anticorpi IgG, il 2,5 per cento di tutta la popolazione residente.

Qui sono però necessarie almeno tre osservazioni.

La prima è che questa percentuale è una media: in Lombardia, per esempio, il dato è del 7,5 per cento, mentre in Sicilia e Sardegna dello 0,3 per cento. Varia dunque, e di molto, di territorio in territorio.

In secondo luogo, come ha sottolineato nella conferenza dell’Istat anche il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, «questi sono dei dati che indicano solamente l’avere incontrato il virus e l’aver montato una risposta immunitaria, che è ben diverso, dal conferire qualsiasi patentino di immunità rispetto a Sars-CoV-2». A oggi, infatti, non è ancora chiaro se e per quanto si resta immuni alla Covid-19, dopo averla contratta.

Infine, per non creare eccessivo allarmismo, è necessario sottolineare – ma ci torneremo meglio tra poco – che essere positivi agli anticorpi IgG non significa automaticamente essere positivi al coronavirus e potenziali contagiatori.

Ma prima di approfondire questo fraintendimento, vediamo che cosa c’è dietro al calcolo «un po’ alla buona» citato da Blangiardo.

Da dove viene il «50 per cento» di Blangiardo

Secondo il presidente dell’Istat, «se uno in una giornata incontra 20 persone ebbene ha il 50 per cento circa di probabilità di avere incontrato almeno una persona che sia positiva». Da dove salta fuori questo 50 per cento?

Siamo di fronte al calcolo della probabilità composta, in base alla quale si stima la probabilità che due o più eventi si verifichino contemporaneamente o uno dopo l’altro (in questo caso la probabilità di incontrare almeno un positivo su 20 incontri).

Per calcolare la probabilità di entrare in contatto con almeno una persona positiva alle IgG avendo incontrato 20 persone, e sapendo che il 2,5 per cento della popolazione ha incontrato il virus, la formula da usare è la seguente: 1-(1-2,5 per cento)^20.

Il risultato è una probabilità di quasi il 40 per cento, che Blangiardo ha arrotondato al «50 per cento circa».

Alla base del calcolo del presidente dell’Istat, c’è però un’assunzione molto forte: ossia che i singoli eventi (ossia i 20 singoli incontri) siano indipendenti l’uno dall’altro, e non si influenzino a vicenda.

Nelle relazioni sociali, questa assunzione è molto improbabile: se incontro 20 persone in un giorno, è molto probabile che queste siano, per esempio, mie amici o in parte siano componenti del mio nucleo familiare, o che si conoscano tra di loro. Se una di queste fosse infetta, è molto probabile dunque che abbia potuto contagiare anche gli altri.

“Positivo alle IgG” non vuol dire “positivo alla Covid-19”

Ma al di là di questa assunzione, il problema principale delle parole di Blangiardo è il fraintendimento tra la positività alle IgG – l’unica cosa di cui parla l’indagine Istat – con la positività alla Covid-19.

Secondo Blangiardo, «se incontri soggetti che sono in quelle condizioni», ossia sono positivi alle IgG, «il rischio» di contagio «c’è, quindi il suggerimento è quello di non abbassare la guardia».

Al netto del corretto invito alla cautela, il presidente dell’Istat trasmette un messaggio fuorviante alla popolazione, ossia che se si incontrano 20 persone in una giornata, si ha una probabilità del 50 per cento di incontrare una persone infetta, che può trasmetterci il nuovo coronavirus. Ma così non è.

Come abbiamo già anticipato, infatti, e come ha sottolineato anche il Ministero della Salute, essere positivi alle IgG non significa necessariamente essere infetti da Covid-19 e potenziali diffusori del virus.

Da un lato, la positività in una persona alle IgG per il nuovo coronavirus indica soltanto che l’organismo ha sviluppato una risposta immunitaria al virus. Questo può voler dire che molto probabilmente non si è più contagiosi, visto che le IgG si sviluppano dopo parecchi giorni dall’infezione, ma serve un tampone per confermarlo.

Dall’altro lato, l’assenza di anticorpi IgG in una persona non esclude la possibilità che sia in atto un’infezione in fase precoce, con il rischio che quella persona, pur essendo risultata negativa al test sierologico, risulti in realtà contagiosa.

Ricordiamo poi che i dati a cui fa riferimento Blangiardo sono stati raccolti tra il 25 maggio e il 15 luglio, ossia oltre due settimane fa.

In conclusione

Secondo le stime dell’indagine Istat di sieroprevalenza sulla Sars-CoV-2, il 2,5 per cento delle popolazione italiana (circa 1,5 milioni di persone) è entrata in contatto con il nuovo coronavirus, sviluppando gli anticorpi IgG.

Per il presidente dell’Istat Giancarlo Blangiardo, questa percentuale può sembrare piccola, ma in realtà ci dice che «se uno in una giornata incontra 20 persone ebbene ha il 50 per cento circa di probabilità di avere incontrato almeno una persona che sia positiva».

Al netto di un paio di approssimazioni, il calcolo statistico fatto da Blangiardo è corretto. Il problema della sua dichiarazione è che, essendo vaga in certe parti, si presta a essere interpretata in maniera allarmistica, confondendo la positività alle IgG con la positività alla Covid-19 e facendo così passare un messaggio che esagera gli attuali rischi di contagio

In base ai dati Istat, quello che è corretto dire è che se una persona incontra 20 persone in un giorno, che non si conoscono o hanno avuto contatti tra di loro, ha il 40 per cento di probabilità di incontrare una persona che, fatto il test sierologico, risulterebbe positiva alle IgG.

Questo non significa necessariamente che questa persona è positiva alla Covid-19: serve un tampone per confermarlo, ma il fatto che le IgG si sviluppino dopo parecchi giorni dall’infezione, e che di norma sono il “ricordo immunologico” di un’infezione passata, lascia pensare che la persona in questione non sia più infetta.