Il 27 febbraio 2019, nel corso di un’intervista (min. 23’ 51’’) con Radio anch’io, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Francesco Minisci ha commentato la riforma sulla legittima difesa, sostenendo che il nuovo intervento legislativo non sia necessario perché «la tutela rafforzata nel domicilio e nel negozio è stata già introdotta nel 2006».

Minisci ha infatti sottolineato che «è una riforma di cui non abbiamo bisogno. È un istituto questo sufficientemente regolamentato nel nostro sistema. Quello schema “alla francese”, quella tutela rafforzata che si cerca di raggiungere attraverso questa riforma noi già in Italia lo abbiamo».

Abbiamo verificato com’è la situazione legislativa della legittima difesa oggi e come cambierebbe con la riforma.

Che cos’è la legittima difesa

La legittima difesa è una causa di giustificazione per il reato. Ovvero: in presenza di una causa simile, il fatto o il comportamento che altrimenti costituirebbe reato diventa lecito.

Per fare un esempio: l’uccisione volontaria di un uomo è di norma qualificato come reato di omicidio doloso. Ma se sussiste la legittima difesa, il fatto dell’uccisione è reso lecito e non c’è reato. Per fare un altro esempio, estraneo alla legittima difesa: se qualcuno amputa la gamba a un uomo, commette normalmente il reato di lesioni dolose. Ma se un medico ha avuto il consenso del paziente (vedi art. 50 c.p.), ad esempio per arrestare il diffondersi della cancrena, l’amputazione di una gamba diviene lecito e non si parla di reato.

La legittima difesa, come le altre cause di giustificazione, è regolata dal codice penale. Oggi, all’art. 52, comma 1, il codice stabilisce: «non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

Ma per capire la proposta di modifica di cui si parla oggi bisogna fare un passo indietro e vedere come il centrodestra era già intervenuto in materia.

Che cosa è cambiato nel 2006?

Quella di cui si discute oggi, infatti, non è la prima riforma della legittima difesa.

L’art. 52 c.p. è stato modificato dalla legge 59/2006, fortemente voluta dalla Lega e votata dalla maggioranza di centrodestra dell’allora governo Berlusconi III.

L’intervento ha aggiunto due nuovi commi all’articolo del codice penale che si occupa della legittima difesa (l’art. 52 già citato), riferiti alla violazione di domicilio o di luoghi in cui venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale. All’interno di questi luoghi, la difesa si considera proporzionata all’offesa se avviene – anche tramite l’uso di armi legittimamente detenute – per difendere l’incolumità propria o di altri, o per difendere i beni propri o altrui «quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione».

Detto in altri termini: ci sono alcuni presupposti per valutare se si è davanti a un caso di legittima difesa e questo, come vedremo tra poco, non viene toccato dalla riforma. Ma, prima del 2006, il giudice doveva poi valutare in concreto il rapporto di proporzionalità (l’art. 52 diceva infatti che la legittima difesa non era punibile «sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa») in base a come si erano svolti i fatti.

Con l’aggiunta del 2006, il rapporto di proporzionalità è stato fissato, per dir così, in modo “automatico” in alcuni casi: se cioè il fatto avviene in casa o nel proprio negozio, e se la difesa serve a difendere la propria o altrui incolumità (o anche i beni patrimoniali, se non c’è desistenza e pericolo di aggressione). Ma resta la necessità che la magistratura verifichi il passo precedente, e cioè se si era davanti a un caso di legittima difesa: le condizioni generali restano (a) attualità del pericolo, (b) ingiustizia dell’offesa e (c) necessità della difesa.

Anche dopo la modifica del 2006, insomma, restano esclusi i casi in cui il ladro si sia dato alla fuga o non rappresenti più un rischio imminente. Il pericolo infatti deve essere attuale (e se un ladro fugge non lo è più) e la difesa deve essere necessaria e inevitabile (quindi se posso scegliere tra scappare e uccidere, devo scegliere la prima).

La riforma fu salutata con soddisfazione dagli esponenti di governo. L’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli (Lega), ad esempio, commentò: «da oggi i delinquenti devono avere qualche timore in più e le brave persone, vittime di aggressioni, qualche problema in meno, visto che è stato finalmente sancito il principio per cui un aggressore e un aggredito non sono più sullo stesso piano ed è stato riconosciuto il diritto dell’aggredito di difendersi».

Un’interpretazione restrittiva?

La riforma del 2006, in un certo senso, non ha funzionato: cioè non ha prodotto tutti gli effetti sperati dai proponenti.

Infatti, nel dossier curato dal servizio studi della Camera in vista della nuova riforma si legge che: «la giurisprudenza successiva alla riforma del 2006 ha, in definitiva, dimostrato come la presunzione legale introdotta per la violazione di domicilio non sia stata in grado di superare i rigorosi limiti di liceità della legittima difesa».

In parole semplici significa che la riforma del 2006, che introduce l’idea di una proporzionalità “automatica” tra la reazione di chi si difende e l’offesa di chi aggredisce, non scardina comunque le basi dell’istituto della legittima difesa. Queste, come abbiamo già ricordato, sono l’attualità del pericolo (non si può sparare a ladri in fuga, ladri esanimi, ladri che si arrendono etc.), l’ingiustizia dell’offesa subita (non posso cioè sparare all’ufficiale giudiziario che legittimamente sta pignorando dei beni in casa mia) e la necessità e inevitabilità della reazione difensiva a mezzo delle armi (cioè se potevo scappare invece di uccidere, o chiudere in cantina invece di sparare, dovevo farlo).

E queste cose devono essere decise da un giudice: la magistratura è quindi chiamata a verificare, nel corso delle indagini ed eventualmente anche di un processo, se sussistono tutti questi requisiti.

La nuova riforma

Veniamo al dibattito di questi mesi sulla legittima difesa. Una sua riforma era già negli accordi stretti da M5s e Lega prima della formazione dell’esecutivo Conte.

Il Contratto di governo prevedeva infatti «la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi di incertezza interpretativa […] che pregiudicano la piena tutela della persona che ha subito un’intrusione nella propria abitazione e nel proprio luogo di lavoro».

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini è tra i principali promotori della riforma e ha spesso dichiarato che per lui la «legittima difesa è sempre legittima» (ad esempio qui e qui). Giulia Bongiorno fin dal 2015 si era espressa in favore di una riforma, dichiarando che «chi entra nelle case altrui per rubare o violentare si accolla le conseguenze».

Il testo della nuova legittima difesa, approvato alla Camera mercoledì 6 marzo 2019 e ora in attesa di approvazione dal Senato, modifica l’articolo 52 rendendo «sempre» sussistente il rapporto di proporzionalità fra offesa e difesa per chi reagisce con un’arma legalmente detenuta a un’intrusione all’interno della propria abitazione o del proprio negozio.

Il progetto di legge vorrebbe insomma rafforzare ancora di più l’autotutela del domicilio, con l’aggiunta di un nuovo comma: «agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone».

Che cosa cambierà?

Difficile naturalmente prevedere il futuro e sapere che cosa cambierà, ma è probabile che anche questa modifica non ottenga il risultato sperato – evitare in modo sensibile indagini ed eventuali processi in casi di intrusioni a cui sono seguite reazioni violente.

Secondo l’avvocato Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali contattato da Pagella Politica, «il “sempre” è un rafforzativo che non modifica nulla, la norma che fissa il principio è identica», ma si rischia in questo modo di creare un «equivoco culturale», ovvero quello di credere «che la presunzione affranchi il fatto dalla valutazione del giudice, che invece dovrà sempre esserci».

Altre modifiche

La riforma interviene anche su altri due aspetti. Il primo è l’eccesso colposo di legittima difesa (art. 55 c.p.). Questo si verifica nei casi in cui chi subisce l’aggressione va oltre i «limiti consentiti dalla legge» o «imposti dalla necessità». Cioè, se un ladro che sta cercando di scappare mi travolge e io, fraintendendo (per mia colpa) la situazione, penso di essere aggredito e lo uccido, rischio di essere condannato per eccesso colposo di legittima difesa. La mia reazione non era infatti necessaria. Sarò però scusato se la situazione era tale (era buio, il ladro aveva un’arma in mano, ero legittimamente terrorizzato e così via) per cui qualsiasi persona di buon senso si sarebbe comportata allo stesso modo: in questo caso, infatti, non ci sarebbe alcuna colpa da parte mia.

D’ora in poi, secondo il nuovo testo, «la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito» in stato «di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto», e sempre nei luoghi di domicilio o lavoro.

Secondo quanto ha comunicato a Pagella Politica il presidente dell’Unione Camere Penali Caiazza, «il restringimento dell’ambito dell’eccesso colposo è l’unico cambio tangibile della nuova riforma, ma comunque modestissimo, perché sarà sempre il giudice a dover considerare se è la reazione è giustificata».

Secondo altri autorevoli giuristi, anche in questo caso non cambia nulla: considerato che la riforma del 2006 ha reso sempre proporzionata la reazione, in casa o sul posto di lavoro, di chi si difende necessariamente da un pericolo attuale, non c’è nemmeno pericolo per chi si difende in questa situazione di essere accusato di eccesso colposo.

L’articolo 7 della proposta di legge, infine, riguarda invece i risarcimenti. La modifica interviene sul Codice civile stabilendo che non vi sia responsabilità civile per chi viene assolto in sede penale in un caso di legittima difesa. In altri termini, si esclude la possibilità che chi ha subito l’aggressione sia chiamato a pagare un risarcimento all’intruso o ai suoi familiari. Con l’entrata in vigore del provvedimento, lo Stato offrirà inoltre il gratuito patrocinio, cioè pagherà le spese legali ai cittadini che escano da un processo su un caso di legittima difesa con un’archiviazione o sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento.

In conclusione

Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Francesco Minisci ha dichiarato di non ritenere la riforma della legittima difesa necessaria, perché la tutela rafforzata del domicilio e del negozio è già presente nella nostra legislazione.

Minisci ha probabilmente ragione: l’articolo 52 del codice penale è già stato modificato dal legge 59/2006, che portava proprio il titolo di «Diritto all’autotutela in un privato domicilio». L’ulteriore rafforzamento della parola “sempre”, così come i commi aggiunti agli articoli 52 e 55 del codice penale, potrebbero non comportare alcun cambiamento concreto: i requisiti di un pericolo attuale e della necessità della difesa rimangono inalterati, e la proporzione fra offesa e difesa dovrà comunque essere valutata da un giudice sulla base di tutti gli altri requisiti previsti dal codice nel corso del processo.