Guida al dibattito sullo ius soli: numeri, leggi, confronto internazionale

Pagella Politica
Negli ultimi giorni la politica italiana è tornata a parlare di ius soli, un tema di cui si discute ormai da decenni. Questa volta la scintilla è partita dalle Olimpiadi di Tokyo, recentemente conclusesi con due importanti medaglie d’oro conquistate da atleti italiani con uno o entrambi i genitori stranieri: Marcel Jacobs, nei 100 metri piani e nella staffetta 4×100, ed Eseosa (detto Fausto) Desalu, anche lui nella staffetta.

Prendendo come spunto proprio i grandi traguardi raggiunti dai due atleti – anche se in realtà Jacobs c’entra nulla con lo ius soli, come vedremo – il 10 agosto segretario del Partito democratico Enrico Letta ha invitato tutte le forze del Parlamento a «trovare una soluzione» al problema della cittadinanza per gli italiani di seconda generazione, quindi coloro che sono nati nel nostro Paese da genitori entrambi stranieri. La proposta è stata subito bocciata dal centrodestra, secondo cui il tema al momento «non è una priorità», mentre la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese si è limitata a descrivere la questione come una «partita prettamente parlamentare».

La questione è molto articolata: abbiamo fatto il punto, guardando alle leggi in vigore, i tentativi di cambiarle e la situazione europea, e passando anche per le Olimpiadi di Tokyo e lo ius soli sportivo.

Ius sanguinis: come funziona oggi in Italia

L’espressione giuridica “ius soli”, letteralmente “diritto del suolo”, fa riferimento alla possibilità per chi nasce in un determinato Paese di ottenerne immediatamente la cittadinanza. Per fare un esempio pratico, con lo ius soli un bambino nato in Italia da genitori stranieri otterrebbe automaticamente la cittadinanza italiana proprio perché è nato nel nostro Paese.

Allo ius soli si contrappone lo ius sanguinis, secondo cui invece la cittadinanza di un certo Paese può essere ottenuta solo se questa è già posseduta da almeno un genitore. In questo caso quindi un bambino nato in Italia da genitori entrambi stranieri non potrebbe quindi acquisire immediatamente la cittadinanza italiana ma “erediterebbe” quelle dei genitori.

È proprio quest’ultimo il principio attualmente in vigore in Italia, regolato dalla legge n. 91 del 5 febbraio 1992. Il testo stabilisce (art. 4, co. 2) che le persone nate in Italia, ma con entrambi i genitori stranieri, possono richiedere la cittadinanza non alla nascita ma soltanto dopo aver risieduto legalmente e ininterrottamente nel nostro Paese fino almeno al compimento dei 18 anni. Anche in questo caso poi l’ottenimento della cittadinanza non avviene in automatico: la persona interessata deve presentare apposita domanda e il procedimento può durare fino a tre anni.

Ci sono poi altre modalità con le quali è possibile ottenere la cittadinanza italiana pur essendo nati da genitori stranieri, per esempio sposando un cittadino o una cittadina italiano/a (ma è comunque necessario risiedere nel nostro Paese per almeno due anni o far passare almeno tre anni dal matrimonio per i residenti all’estero) oppure vivendo ininterrottamente in Italia per quattro anni se provenienti da uno Stato membro dell’Unione europea e per dieci anni se extracomunitari.

Possono ottenere la cittadinanza anche i maggiorenni adottati da cittadini italiani e residenti nel nostro Paese da almeno cinque anni, coloro che hanno prestato servizio «alle dipendenze dello Stato italiano», anche all’estero, per almeno cinque anni o, in particolari situazioni, i discendenti fino al secondo grado di cittadini italiani.

In generale quindi l’ordinamento italiano si basa sullo ius sanguinis, e prevede il ricorso allo ius solis solo per rare e circoscritte eccezioni.

Le puntate precedenti

Come abbiamo detto, la legge che regola l’ottenimento della cittadinanza italiana risale al 1992, quasi trent’anni fa. In questo lasso di tempo il tema è tornato ciclicamente nel dibattito politico e alcuni gruppi o partiti hanno cercato di modificare la normativa, finora senza grande successo.

Come abbiamo ricostruito per Agi qualche anno fa, una tra le discussioni più recenti e durature è quella iniziata nel 2004, quando la Comunità di Sant’Egidio ha iniziato a promuovere l’iniziativa “Bambini d’Italia” trasformatasi poi in una proposta di legge sottoscritta da molti esponenti del centrosinistra. Nel 2012 è poi stato presentato alla Camera un disegno di legge nato dall’unificazione di una legge di iniziativa popolare e di 24 disegni di legge di iniziativa parlamentare.

Il testo – approvato alla Camera ma poi bloccato in Senato – prevedeva, tra le altre cose, di inserire uno ius soli “temperato” o “condizionato”, secondo cui sarebbe stato possibile ottenere in modo immediato la cittadinanza nascendo in Italia da genitori stranieri, a patto che almeno uno di loro avesse un permesso di soggiorno permanente. Era inoltre previsto l’inserimento dello ius culturae, che avrebbe dato la cittadinanza ai minori stranieri arrivati nel nostro Paese entro i 12 anni che hanno completato almeno cinque anni di scuola in Italia.

Dopo anni di stallo, il 23 dicembre 2017 – pochi mesi prima della fine della legislatura, il marzo successivo – il disegno di legge è stato bloccato dal Senato a causa della mancanza del numero legale necessario per procedere al voto. In quell’occasione erano assenti tutti i senatori del Movimento 5 stelle, della Lega e di gran parte di Forza Italia, ma mancavano anche 29 degli allora 89 senatori del Pd.

In seguito, il Partito democratico ha comunque continuato a fare dello ius soli una sua battaglia. Nel 2019 per esempio, pochi giorni prima dell’approvazione del taglio dei parlamentari, il deputato Matteo Orfini aveva invitato le forze politiche a dedicare la stessa attenzione e determinazione anche alla discussione sullo ius soli. Matteo Salvini si era invece opposto sostenendo che la maggior parte degli italiani fosse contrario alla riforma delle regole attualmente in vigore (un’affermazione fuorviante, come abbiamo verificato qui). Inoltre anche Enrico Letta aveva riproposto il tema subito dopo essere diventato segretario del Pd, nel marzo 2021.

Perché se ne parla ora e cosa c’entrano le Olimpiadi

Negli ultimi giorni il tema è tornato d’attualità sulla scia delle Olimpiadi e del cosiddetto “ius soli sportivo”, espressione con cui generalmente ci si riferisce alla possibilità per gli atleti più promettenti di essere tesserati dalle federazioni italiane anche se di norma non avrebbero i requisiti per richiedere la cittadinanza.

In Italia esiste già una legge sul tema, ma non si tratta di un vero e proprio ius soli, nemmeno a livello sportivo. Vediamo meglio di cosa si tratta.

Sport e cittadinanza in Italia

Nel nostro Paese la legge n. 12 del 20 gennaio 2016 ha introdotto diverse agevolazioni per gli stranieri che praticano sport in Italia. La norma prevede infatti (art. 1) che gli atleti minorenni che non sono cittadini italiani, ma che risiedono sul territorio nazionale da quando avevano almeno dieci anni, «possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva» con le stesse procedure previste per i cittadini italiani.

Insomma, in un certo senso nel mondo dello sport l’atleta straniero ad alcune condizioni può essere tesserato come se fosse italiano, senza avere la cittadinanza. Ma al di fuori di questo cambia poco: non è possibile infatti entrare a far parte delle squadre nazionali italiane, e quindi è vietato di fatto partecipare a competizioni internazionali come i campionati europei o le Olimpiadi.
A partire dal 2023 la norma sarà abrogata e sostituita dalle disposizioni decise con il decreto legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021. All’articolo 16 questo stabilisce che gli atleti minorenni senza cittadinanza, «anche se non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno», potranno essere tesserati se sono iscritti a scuola da almeno un anno. Anche qui rimane bloccato l’accesso alle nazionali.

Questo ostacolo burocratico ha ricadute importanti sulla carriera di tanti atleti che vorrebbero essere italiani a tutti gli effetti e di cui si sono occupati i media italiani negli ultimi giorni. È il caso per esempio di Hakim Elliasmine, mezzofondista di origine marocchine che vive in Italia da 14 anni ma ancora non ha ricevuto la cittadinanza, oppure di Great Nnachi, promessa del salto con l’asta nata a Torino da genitori nigeriani. Great ha ancora 17 anni e dovrà aspettare la maggiore età per gareggiare in competizioni internazionali.

Riforma o non riforma? Che cosa dicono i partiti

Lo scorso 10 agosto il segretario del Partito democratico Enrico Letta, intervistato da La Repubblica, ha nuovamente rivolto un appello a tutte le forze politiche per «aprire una discussione in Parlamento» e «trovare una soluzione sullo ius soli» – non soltanto in ambito sportivo – in modo da modificare finalmente le norme in vigore ormai da trent’anni.

La proposta è stata criticata da molti esponenti del centrodestra che hanno sfruttato anche le dichiarazioni rilasciate in proposito da Marcel Jacobs, l’atleta italiano (ma con padre statunitense) vincitore dell’oro a Tokyo nei 100 metri piani. Intervistato sul tema infatti Jacobs ha preferito non esprimersi a riguardo, affermando di non essere né preparato né particolarmente interessato alla questione.

Ricordiamo infatti che Jacobs, essendo nato in Texas da madre italiana, ha fin da subito avuto diritto alla nostra cittadinanza e non c’entra nulla con il tema dello ius soli, che invece interessa – ripetiamo – i bambini nati in Italia da genitori entrambi stranieri. Caso diverso è invece quello di Fausto Desalu, vincitore della staffetta 4×100, che è nato in Italia da genitori nigeriani e ha acquisito regolarmente la cittadinanza al compimento dei 18 anni. Desalu avrebbe quindi potuto beneficiare di eventuali modifiche sullo ius soli.

Lo ius soli peraltro non ha nulla a che fare con il tema dei migranti che arrivano sulle coste italiane dai Paesi del Nordafrica, che evidentemente non sono nati in Italia e non beneficerebbero delle modifiche in discussione.

In ogni caso, il centrodestra ha riproposto sui social le affermazioni di Jacobs facendo intendere che questo avesse in qualche modo criticato la proposta del Pd o il tema dello ius soli. Ospite alla trasmissione Zona Bianca su Rete4, l’11 agosto Matteo Salvini ha affermato che il tema della cittadinanza non è una priorità per il Paese mentre lo sono «il lavoro e la riforma delle pensioni».

Una linea simile è stata adottata anche dalla senatrice del Movimento 5 stelle Paola Taverna, che l’11 agosto ha detto che «nell’attuale situazione politica ci sono altre priorità». Il giorno successivo, ospite a In Onda su La7, la sindaca di Roma Virginia Raggi ha poi ribadito che il tema «non è un priorità», a differenza del «lavoro», e che comunque andrebbe andrebbe trattato «a livello comunitario» come tutto ciò che ha a che fare con «l’accoglienza e l’integrazione». Allo stesso tempo però la dichiarazione di Taverna era stata criticata da molti esponenti del suo stesso partito, che quindi al momento sembra avere idee contrastanti in merito.

Netta invece la posizione di Fratelli d’Italia, la cui leader Giorgia Meloni ha criticato la proposta di Letta affermando che per il suo partito «non esiste alcun margine di trattativa su questa proposta insensata e puramente ideologica, che nulla ha a che fare con i reali problemi dell’Italia e degli italiani».

Anche oggi quindi la politica italiana continua a rimanere spaccata rispetto alla possibilità di riformare le regole che permettono alle persone nate nel nostro Paese da genitori stranieri di ottenere immediatamente la cittadinanza italiana. Se infatti il Pd si dice chiaramente a favore di una revisione delle leggi il centrodestra è nettamente contrario, mentre rimane al momento incerta la posizione del M5s.

Ma come funziona, intanto, negli altri grandi Paesi europei?

In Europa, lo ius soli temperato

Come abbiamo già spiegato in una nostra analisi per Agi, nel 2019, nessun Paese europeo al momento adotta lo ius soli in senso stretto, cioè il principio secondo cui è sufficiente nascere in uno Stato per ottenerne la cittadinanza. Molti, però, hanno in vigore un modello di ius soli temperato.

Secondo un report del Servizio studi del Senato (redatto proprio mentre in Italia si discuteva, tra il 2015 e il 2017, la possibilità di riformare la normativa) è questo il caso per esempio della Germania, dove dal 2000 la cittadinanza può essere ottenuta da chi nasce nel Paese da genitori stranieri, di cui almeno uno sia residente in Germania da almeno 8 anni e abbia permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

Un bambino nato in Francia da genitori stranieri invece diventa automaticamente francese al compimento dei 18 anni, a patto che abbia vissuto nel Paese per almeno cinque anni. I genitori possono anche richiedere l’anticipazione della cittadinanza quando il figlio compie 13 anni.

In Spagna la legge è più permissiva: per chi è nato nel Paese è infatti sufficiente risiedervi legalmente per un anno prima di poter richiedere la cittadinanza.

Quindi, anche se nessuno tra i grandi Paesi europei adotta lo ius soli “puro”, tutti hanno comunque regole meno restrittive rispetto all’Italia e basate anche sullo status dei genitori, un fattore che al momento da noi non viene considerato.

Al contrario, il diritto alla cittadinanza per nascita è molto comune nei Paesi del continente americano. Lì infatti, secondo uno studio comparativo pubblicato nel 2018 dal Global Citizenship Observatory – un gruppo di ricercatori che si occupa di cittadinanza, all’interno di un programma comunitario dell’Istituto universitario europeo – lo ius soli puro è adottato dall’83 per cento dei Paesi, tra cui anche gli Stati Uniti o il Canada.

Qualche numero per orientarsi

Secondo l’Istat nel 2019 (ultimo anno per cui sono disponibili i dati) i bambini nati in Italia da genitori stranieri erano circa 63 mila, il 15 per totale sul totale delle nascite. Se fino al 2012 il numero è andato aumentando, negli ultimi sette anni c’è stato invece un calo di circa 17 mila unità.

Inoltre, sempre nel 2019 le nascite da genitori stranieri erano decisamente di più nelle regioni del Nord (21 per cento circa sia nel Nordest che nel Nordovest) rispetto a quelle del Mezzogiorno (6,1 per cento al Sud e 5,3 per cento nelle Isole).

Un altro dato interessante mostra che il nostro Paese è tra i primi in Europa per il numero di cittadinanze concesse ogni anno, come correttamente sottolineato di recente anche da Matteo Salvini a Zona Bianca l’11 agosto. Salvini aveva riproposto la stessa affermazione anche alcuni mesi fa, a marzo, e l’avevamo verificata in questa analisi.

Secondo i dati Eurostat nel 2019 il Regno Unito – che al tempo faceva ancora parte dell’Ue – è stato il Paese che ha concesso il maggior numero di cittadinanze a persone precedentemente straniere: 159 mila. Seguono la Germania (che quindi diventerebbe ora prima) con 132 mila, l’Italia, con 127 mila, la Francia (110 mila) e la Spagna (99 mila).
Questo non vuol dire che ottenere la cittadinanza italiana sia più facile rispetto ad altri Paesi. Il Migrant integration policy index – un progetto curato dal Barcelona Centre for International Affairs e il Migration Policy Group – ha attribuito all’Italia un punteggio di 40 su 100 per quanto riguarda il grado di facilità con cui è possibile diventare cittadini, un risultato peggiore rispetto alla Francia (70/100) e alla Germania (42/100), ma migliore della Spagna (30/100).
Figura 1. Migrant integration policy index – 2020
Figura 1. Migrant integration policy index – 2020
Infine è interessante notare che negli ultimi anni – almeno a partire dal 2012 e fino al 2019 – la maggior parte dei cittadini diventati italiani proveniva da Albania o Marocco. Tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo secolo esisteva infatti un forte flusso migratorio che da questi due Paesi portava all’Italia, e quindi oggi molte delle persone arrivate dieci o vent’anni fa hanno maturato i requisiti necessari per ottenere la cittadinanza.

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