Il 28 luglio il quotidiano La Stampa ha pubblicato una lettera aperta in cui Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco di Venezia, commenta in modo particolarmente severo la questione del green pass obbligatorio, in questi giorni al centro del dibattito politico. La lettera è intitolata: «Ecco perché dico no al Green Pass e alla logica del sorvegliare e punire».

Cacciari è l’unico firmatario del testo ma dichiara di aver «deciso di pubblicare» la lettera insieme al filosofo Giorgio Agamben, già in passato autore di diversi rilievi critici sulla gestione della pandemia da parte delle autorità politiche e sanitarie.

Il testo critica l’imposizione della certificazione verde come obbligatoria per accedere a molti eventi e luoghi pubblici, definendola un mezzo discriminatorio e utilizzato in modo «surrettizio» dal governo «per prolungare all’infinito una sorta di micro lockdown».

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Nella seconda parte della lettera Cacciari mette in dubbio l’affidabilità dei vaccini contro la Covid-19, affermando tra le altre cose che questi fanno aumentare «in modo estremamente significativo» i casi di miocardite tra i giovani, che non sono stati testati a sufficienza e che in Gran Bretagna e Israele sono stati registrati molti decessi anche tra persone immunizzate.

Lasciando da parte le opinioni personali sul green pass, abbiamo verificato i dati: se in alcuni casi Cacciari ha ragione, ma presenta i fatti in modo fuorviante, in altri cita informazioni poco corrette.

Bisogna inoltre tenere in considerazione che, a fianco delle questioni che solleva Cacciari, una quantità di dati enorme e crescente dalla campagna vaccinale globale dimostra senza mezzi termini che i vaccini funzionano, sono in larghissima parte sicuri – anche se, come tutte le procedure mediche, hanno piccoli margini di rischio – e hanno evitato migliaia e migliaia di vittime in tutto il mondo.

Vediamo più da vicino i dati e le informazioni verificabili contenute nel testo di Cacciari.

«È vero o no che mentre lo stesso ministero della Sanità ha dichiarato che la somministrazione del vaccino è subordinata a condizioni e in via provvisoria…»

Al netto di un’imprecisione su chi ha autorizzato cosa, Cacciari qui ha ragione. Tra dicembre 2020 e marzo 2021 l’Agenzia europea medicinali (Ema) ha accordato ai vaccini Pfizer-BioNTech, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson la conditional marketing authorization. Questo tipo di autorizzazione viene rilasciata ai farmaci per i quali ancora mancano alcune delle informazioni normalmente richieste come requisito per l’approvazione, ma che comunque rispondono a necessità mediche urgenti per le quali non esistono alternative. Il ragionamento alla base di questa autorizzazione è che i benefici portati dall’immediata disponibilità di questi farmaci, quindi, sono valutati come superiori rispetto ai potenziali rischi dati dalla mancanza di alcune informazioni. Le società che ricevono questo tipo di autorizzazione restano tenute a fornire i dati mancanti in futuro.

Sulla scorta delle valutazioni dell’Ema, l’Agenzia italiana del farmaco – e non il Ministero della salute, come scrive Cacciari – ha poi provveduto ad autorizzare l’uso dei vaccini (Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Johnson&Johnson) nel nostro Paese, chiarendo sul proprio sito: «A partire da dicembre 2020, l’Agenzia Europea per i medicinali ha raccomandato il rilascio provvisorio di autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate per i vaccini Covid-19. L’Aifa recepisce le decisioni europee, autorizzando l’impiego di questi vaccini sul territorio nazionale».

È vero quindi che i vaccini attualmente in circolazione non hanno ricevuto la “tradizionale” approvazione attribuita ai farmaci – che sarebbe la marketing authorization, senza il “conditional” – ma le agenzie regolatorie internazionali hanno comunque analizzato scrupolosamente tutti i dati disponibili e le loro implicazioni prima di prendere una decisione.

«…nessun protocollo è ancora stabilito per quanto riguarda soggetti immunodepressi o con gravi forme di allergia?»

Questo non è corretto: in Italia, l’Aifa e il Ministero della Salute hanno rilasciato indicazioni precise riguardo alla vaccinazione contro la Covid-19 in soggetti allergici o immunodepressi.

Come si legge nella sezione “Domande frequenti” pubblicate sul sito del Ministero, «le persone con immunodeficienza o in trattamento con farmaci immunomodulanti dovranno essere vaccinate nelle prime fasi [della campagna], in quanto maggiormente suscettibili di ammalarsi di Covid-19». I soggetti immunodepressi hanno quindi accesso alla vaccinazione, preferibilmente con vaccini a mRNA (Pfizer o Moderna).

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È comunque vero, come specificato dall’Aifa, che «i dati relativi all’uso [dei vaccini] nelle persone immunodepresse sono in numero limitato». I pazienti immunodepressi, così come quelli oncologici o con una serie di altre problematiche, sono infatti stati esclusi dalle prime fasi di sperimentazione dei vaccini. In ogni caso l’Agenzia afferma che sebbene gli individui immunodepressi «possano non rispondere altrettanto bene al vaccino, non vi sono particolari problemi di sicurezza». La stessa indicazione è riportata anche da altri importanti enti internazionali, come i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) statunitensi.

Anche per quanto riguarda le allergie esistono linee guida chiare. Per citarne alcune – rimandiamo al documento dell’Aifa per chiarimenti e dettagli – in molti casi le persone che soffrono o hanno sofferto di allergie respiratorie, alimentari, da contatto o causate da determinati farmaci possono vaccinarsi senza particolari controindicazioni.

Se però in passato l’allergia ha causato episodi di anafilassi, oppure è associata ad asma bronchiale persistente, è opportuno eseguire maggiori controlli e in alcuni casi effettuare la vaccinazione in ambiente ospedaliero. Infine, le persone con allergia grave ad alcuni particolari ingredienti dei farmaci, elencati dall’Aifa, non devono ricevere il vaccino Covid-19 ma devono essere indirizzati a uno specialista allergologo esperto di allergia a farmaci e vaccini.

Esistono quindi protocolli e indicazioni specifiche sia per le persone immunodepresse che per i soggetti allergici.

«Vero o falso che sono aumentati in modo estremamente significativo i casi di miocarditi precoci in giovani che hanno ricevuto il vaccino?»

È vero che secondo i Centers for disease control (Cdc) statunitensi esistono indizi di un accumulo di casi di miocardite e pericardite in seguito ai vaccini a mRna (Pfizer e Moderna), specialmente tra 0 e 5 giorni dopo la seconda dose. Analoghe considerazioni sono state pubblicate dall’Ema, dal Ministero della Salute israeliano, dalla Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (Mhra) britannica e infine dall’Oms.

Benché l’incidenza della miocardite nella popolazione generale non sia nota con precisione, almeno uno studio, condotto sui militari statunitensi, suggerisce esplicitamente che l’incidenza di miocardite dopo i vaccini a mRna è sostanzialmente più alta del normale.

Sembra quindi plausibile, anche se non ancora formalmente del tutto accertato, che vi sia un legame causale tra i vaccini e alcuni rari casi di miocardite (si parla di 40,6 casi ogni milione di seconde dosi tra i maschi, e 4,2 casi ogni milione di seconde dosi tra le femmine).

Tutte le fonti sopra citate e anche studi indipendenti concordano, però, sul fatto che i casi di miocardite associati ai vaccini sono molto leggeri e si risolvono quasi sempre senza conseguenze, e che i benefici dei vaccini superano ampiamente i rischi dovuti alla miocardite anche nelle fasce d’età più giovani.

«In Israele e in Gran Bretagna molti dei decessi nell’ultimo periodo sono di persone che avevano già ricevuto la doppia dose»

Nì: l’informazione è fattualmente corretta, ma viene riportata in modo fuorviante e fuori contesto per suggerire che il vaccino non sia protettivo o non serva. Le cose non stanno così. Guardiamo al caso inglese.

L’ente sanitario inglese Public Health England rilascia periodicamente informazioni specifiche relative allo status vaccinale dei pazienti deceduti e positivi alla variante delta (quindi non al nuovo coronavirus in generale) in Inghilterra (quindi non in tutto il Regno Unito). Secondo l’ultimo report, aggiornato al 23 luglio 2021, tra il 1° febbraio e il 19 luglio le persone risultate positive alla variante delta della Covid-19 e decedute entro i 28 giorni successivi alla diagnosi sono state 165 tra i non vaccinati, e 289 tra i vaccinati con almeno una dose.

A un primo impatto questa situazione potrebbe sembrare allarmante ma in realtà, come spiegato da vari esperti, non è così. I vaccini infatti, per quanto efficaci, non proteggono al cento per cento dall’eventualità del decesso: secondo l’Istituto superiore di sanità, la protezione è del 96 per cento, e quindi è normale che qualche caso di decesso venga registrato anche tra i vaccinati.

Inoltre, al 27 luglio l’88,1 per cento della popolazione adulta in Inghilterra ha ricevuto almeno una dose di vaccino e il 70,5 per cento è completamente immunizzata. Con percentuali così elevate è matematico che molti dei decessi si verifichino anche tra i vaccinati, che rappresentano ormai una grande fetta della popolazione.

È poi importante tenere in considerazione le fasce d’età: tra i 289 deceduti vaccinati, 279 avevano più di 50 anni. Come fa notare l’agenzia di stampa Reuters, la campagna vaccinale inglese – così come molte altre – ha dato precedenza ai più anziani e agli individui fragili. Di conseguenza ora queste categorie sono in grandissima parte vaccinate, ma rimangono comunque più esposte al rischio di sviluppare sintomi gravi – in caso si ammalino comunque nonostante la protezione contro l’infezione data dai vaccini – soprattutto se presentavano già qualche patologia.

Come spiegato ad esempio da Matteo Villa in un articolo per l’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), i vaccini hanno in realtà diminuito il numero il numero di decessi che si sarebbero verificati se i soggetti contagiati non fossero stati vaccinati.

Infine, i dati sui contagi rimangono incoraggianti e indicano che la maggior parte delle diagnosi hanno interessato persone che non avevano ancora concluso il ciclo vaccinale.

Lo stesso ragionamento può essere applicato alla situazione di Israele.

«Che cosa ne pensa la Scienza del documento integrale Pfizer in cui si dice apertamente che non è possibile prevedere gli effetti del vaccino a lunga distanza, poiché non si sono potute rispettare le procedure previste (solo 12 mesi di sperimentazione a fronte degli anni che sono serviti per quello delle normali influenze)?»

Come abbiamo già spiegato, è vero che i vaccini contro la Covid-19 attualmente autorizzati sono stati sviluppati in tempi molto più rapidi rispetto al passato. Su questo però hanno avuto un’influenza decisiva gli enormi investimenti fatti da governi, organizzazioni internazionali e donatori privati per aiutare la ricerca e accelerare il processo, con l’obiettivo principale di mettere fine alla pandemia il più presto possibile.

Ciò non significa che i vaccini in questione abbiano “saltato” alcuni step o non abbiano potuto «rispettare le procedure previste»: le ricerche necessarie sono state eseguite, sebbene in tempi molto più ridotti del solito.

Inoltre, anche le fasi di approvazione da parte degli organismi regolatori, come l’Ema in Europa o la Federal Drug Administration negli Stati Uniti, sono stati accelerati per mettere i farmaci in circolazione il prima possibile. I dati disponibili sono comunque stati analizzati in modo rigoroso, e le agenzie hanno concluso che i benefici dei vaccini in questione superano i loro rischi.

Sull’altro lato della medaglia, è vero che a causa della contrazione dei tempi le case farmaceutiche non sono attualmente in grado di fornire informazioni certe riguardo agli effetti a lungo termine dei vaccini contro la Covid-19, una mancanza sottolineata anche dalle Nazioni Unite (pag. 17) e dall’Ema.

Per questo i vaccini continueranno a essere monitorati in modo da poter acquisire informazioni riguardo ai loro effetti a lungo termine: Pfizer infatti ha in programma di terminare gli studi il 2 maggio 2023, e Moderna il 27 ottobre 2022.

Come spiegato ad esempio dall’agenzia di stampa Reuters, è normale che le case farmaceutiche continuino a monitorare le condizioni dei volontari che hanno partecipato alle fasi sperimentali anche per diversi anni in seguito all’approvazione, proprio per raccogliere informazioni riguardo agli effetti più duraturi e controllare l’insorgenza di eventuali problemi.

«Risponde alla realtà o no che i test per stabilire genotossicità e cancerotossicità dei vaccini in uso termineranno solo nell’ottobre del ’22?»

La dichiarazione suggerisce che ci sia una possibilità che i vaccini contro la Covid-19 possano danneggiare il Dna delle cellule (genotossicità) o causare il cancro (cancerotossicità). Cacciari poi aggiunge: «La fonte è European Medicine – ma potrebbe trattarsi di no-vax mascherati…».

In questo caso Cacciari riporta in modo fuorviante alcune informazioni contenute nei fogli illustrativi disponibili sul sito dell’Aifa per i vaccini Pfizer, AstraZeneca, Johnson&Johnson e Moderna. In particolare, leggendo i documenti si apprende che nei primi tre casi – Pfizer, AstraZeneca e J&J – non sono stati effettuati studi specifici in merito alla possibile genotossicità o al potenziale cancerogeno dei vaccini in questione. Moderna ha invece condotto studi di genotossicità in vitro e in vivo, e i risultati «suggeriscono che la potenziale genotossicità per gli esseri umani è bassa».

C’è però un motivo per il quale questi test non sono stati effettuati: come leggiamo nelle schede valutative dell’Ema (Pfizer, Moderna, J&J, AstraZeneca), questo tipo di verifiche non sono generalmente richieste per i vaccini virali, quindi J&J e AstraZeneca, mentre gli ingredienti di quelli di Pfizer sono stati considerati non a rischio e quindi non hanno richiesto particolari approfondimenti. Come detto, Moderna ha dovuto fornire ulteriori informazioni riguardanti la genotossicità, e il vaccino è poi stato considerato sicuro.

È vero quindi che nella maggior parte dei casi i «test per stabilire genotossicità e cancerotossicità» dei vaccini contro la Covid-19 non sono stati effettuati, ma soltanto perché non richiesti dalla prassi e dalle procedure standard adottate dall’Ema.

L’idea che i vaccini contro la Covid-19 possano modificare il nostro Dna o causare il cancro sono comunque state al centro di un’ampia campagna di disinformazione. La prima ipotesi, in particolare, è stata smentita da organizzazioni del settore ed enti internazionali e analizzata da alcuni tra i più importanti organi di stampa internazionali, come Reuters o Bbc.

Per quanto riguarda la «cancerotossicità», diverse organizzazioni o associazioni di esperti in materia – come lo Memorial Sloan cancer center o il Cancer research institute negli Usa –hanno escluso senza mezzi termini la possibilità che i vaccini causino il cancro.

In conclusione

Il 28 luglio il filosofo Massimo Cacciari ha pubblicato su La Stampa una lettera aperta in cui critica aspramente la decisione del governo italiano di rendere obbligatorio l’uso del green pass per accedere a luoghi ed eventi pubblici.

Nella lettera Cacciari fa diverse affermazione sbagliate o fuorvianti sui vaccini. Se non è vero che al momento non ci siano protocolli per le persone immunocompromesse o allergiche, sono invece fuorvianti o presentate fuori contesto le informazioni relative ai decessi in Gran Bretagna e Israele tra persone immunizzate, alle sperimentazioni non concluse, all’approvazione provvisoria dei vaccini, al rischio di miocarditi tra i giovani o alla possibilità che i vaccini causino il cancro o modifichino il nostro Dna.