Dimissioni “respinte” o “non accolte”? I precedenti dietro la scelta di Mattarella

Il presidente della Repubblica ha rimandato Draghi in Parlamento, dopo non aver accettato le sue dimissioni. Quanti hanno preso una decisione simile in passato?
Pagella Politica
Nella serata di giovedì 14 luglio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella «non ha accolto», come recita un comunicato stampa del Quirinale, le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi, dopo che nel pomeriggio il Movimento 5 stelle non aveva partecipato in Senato al voto sulla questione di fiducia sul decreto “Aiuti”. Mattarella, prosegue il comunicato, ha inoltre «invitato» Draghi «a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti» del voto in Senato. 

In base agli ultimi aggiornamenti, lunedì 18 e martedì 19 luglio, Draghi si recherà in Algeria, per discutere su nuovi accordi di fornitura di gas all’Italia, e mercoledì 20 luglio terrà un discorso in Parlamento. Al momento non è chiaro se il presidente del Consiglio ribadirà le proprie dimissioni o se chiederà una nuova fiducia ai partiti che lo hanno sostenuto finora.

Al di là degli scenari futuri, guardando indietro nel tempo, sono stati dieci i presidenti del Consiglio, compreso Draghi, che hanno visto rimandarsi indietro le proprie dimissioni da parte del presidente della Repubblica.

La differenza tra “non accolte” e “respinte”

Le dimissioni di un presidente del Consiglio e la risposta del presidente del Repubblica sono regolate da un insieme di consuetudini stratificatesi nel tempo. Come spiega il sito della Camera, dal 1948 a oggi 12 volte le dimissioni di un presidente del Consiglio non sono state subito accettate, che salgono a 13 considerando anche il caso di Draghi. In totale, le dimissioni presentate sono state 77: dunque, nella storia repubblicana circa una dimissione su sei non è stata accettata.
In tre occasioni, le dimissioni non sono state «accolte», in nove sono state «respinte». Che differenza c’è tra queste due espressioni? Come ha spiegato a Pagella Politica Costantino Del Riccio, capo dell’unità speciale per la documentazione stampa della Presidenza della Repubblica, non esiste una differenza sostanziale tra le dimissioni “non accolte” e quelle “respinte”: si tratta di una scelta linguistica che un presidente della Repubblica compie per rimarcare, per esempio, una decisione presa in passato da un suo predecessore.

I precedenti di Dini e D’Alema

Nel caso di Draghi, come ha confermato Del Riccio a Pagella Politica, Mattarella ha voluto fare riferimento alla decisione dell’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro che il 30 dicembre 1995 non aveva accolto le dimissioni dell’allora presidente del Consiglio Lamberto Dini. «Il presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, ha ricevuto al Quirinale il presidente del Consiglio, Lamberto Dini, il quale ha rassegnato le dimissioni del governo da lui presieduto. Il presidente della Repubblica non ha accolto le dimissioni ed ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi in Parlamento, che è la sede propria di ogni chiarimento politico», si legge nel comunicato del Quirinale pubblicato circa 27 anni fa. Che cosa successe in quel frangente della storia repubblicana? 

Il 20 ottobre 1995 era stata presentata una mozione di sfiducia contro il governo tecnico guidato da Dini, che sei giorni dopo aveva dichiarato che, al di là dei risultati del voto, non si sarebbe comunque dimesso. Dini aveva ribadito che l’obiettivo del suo governo era quello di approvare la legge finanziaria entro la fine dell’anno: raggiunto questo scopo, il 30 dicembre 1995 Dini si era recato al Quirinale per comunicare le proprie dimissioni, non accolte da Scalfaro. Il 9 gennaio 1996 Dini aveva poi tenuto un discorso in Parlamento, prospettando diversi scenari, da possibili nuove elezioni a un accordo per approvare nuove riforme. Il dibattito parlamentare si era concluso due giorni dopo, senza un voto. L’11 gennaio Dini era così tornato al Quirinale per presentare nuovamente le dimissioni, che Scalfaro aveva accettato, dando il via alle consultazioni per formare un nuovo governo.
Immagine 1. La prima pagina della Stampa del 31 dicembre 1995 – Fonte: Archivio storico della Stampa
Immagine 1. La prima pagina della Stampa del 31 dicembre 1995 – Fonte: Archivio storico della Stampa
L’altro precedente di dimissioni “non accolte” è avvenuto nel 2000. Il 16 aprile di quell’anno si erano tenute le elezioni regionali, con il successo della coalizione di centrodestra, che chiese elezioni anticipate. Il giorno dopo, l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema si era recato al Quirinale per rassegnare le proprie dimissioni al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che non le accolse e invitò D’Alema a presentarsi in Parlamento. Il 19 aprile D’Alema ripresentò le dimissioni, che furono accettate.

Da Zoli a Prodi, chi sono i “respinti”

Oltre a Draghi, Dini e D’Alema, i presidenti del Consiglio che si sono visti respingere le dimissioni dal parte del presidente della Repubblica sono stati sette. L’ultimo, in ordine temporale, è stato Romano Prodi a febbraio 2007, il cui secondo governo è poi caduto circa un anno dopo, a gennaio 2008 (anche a ottobre 1997 Prodi si era visto respingere le dimissioni). Il primo a vedersi respingere le dimissioni è stato invece Adone Zoli, a giugno 1957. Anche in quel caso, le dimissioni definitive arrivarono oltre un anno dopo. 

Gli altri dimissionari “respinti” sono stati: Mariano Rumor (nel 1974), Giovanni Spadolini (nel 1982), Bettino Craxi (nel 1985 e 1987), Giovanni Goria (nel 1987 e nel 1988) e Carlo Azeglio Ciampi (nel 1994).

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