Perché le donne votano meno degli uomini?

Alle elezioni del 25 settembre l’astensionismo femminile è stato più alto di quello maschile: questo divario si è allargato negli ultimi anni, ma va letto con attenzione
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Alle elezioni politiche di domenica 25 settembre, il 62,2 per cento delle donne aventi diritto di voto è andato alle urne, contro il 65,7 per cento degli uomini. Significa che circa 7,6 milioni di elettori non hanno esercitato il loro diritto di voto contro 9 milioni di elettrici donne. Questi dati si ricavano dai dati forniti da OnData, un’associazione che ha reso disponibili, in formato aperto, le statistiche contenute nel portale Eligendo del Ministero dell’Interno. In termini assoluti, il numero di donne che sono andate a votare è stato comunque superiore rispetto a quello degli uomini, perché le prime compongono una fetta leggermente più ampia del corpo elettorale: il 51,7 per cento contro il 48,3 per cento. 

Il divario di genere rilevato nell’affluenza elettorale è progressivamente aumentato in Italia a partire dalla metà degli anni Settanta, fino a toccare il picco negli ultimi anni. La differenza di circa tre punti percentuali registrata il 25 settembre è il sintomo di un allontanamento delle donne dalla partecipazione attiva alla politica. Le cause di questo fenomeno sono soprattutto culturali e risentono delle varie trasformazioni del ruolo delle donne nella società negli ultimi ottant’anni. Se si guardano i numeri con più attenzione, però, si scopre che in alcuni casi le donne votano di più degli uomini.

La grande partecipazione delle donne, all’inizio

Uno studio completo sull’andamento della partecipazione elettorale delle donne in Italia, relativo al periodo 1948-2018, è stato pubblicato nel 2020 da Dario Tuorto e Laura Sartori, entrambi docenti del Dipartimento di Scienze politiche e sociali all’Università di Bologna. In Italia le donne hanno acquistato il diritto di voto nel 1945 e hanno partecipato per la prima volta alle elezioni politiche nel 1948, vinte dalla Democrazia cristiana con oltre il 48 per cento dei voti. 

Nel loro studio, Tuorto e Sartori hanno sottolineato che fino agli anni Ottanta l’affluenza femminile alle urne si è sempre mantenuta elevata, superando il 90 per cento e toccando il picco del 94,1 per cento nel 1958. Inizialmente, anche il divario rispetto all’affluenza maschile era molto ridotto e fino al 1963 è sempre rimasto inferiore all’1 per cento. Nel 1958, la percentuale di donne che partecipò al voto fu addirittura superiore, dello 0,5 per cento, rispetto a quella degli uomini. 

Nel secondo dopoguerra però la motivazione principale che spingeva le donne a recarsi alle urne non era l’interesse verso la politica o la ferma volontà di esercitare un diritto acquistato di recente. Al contrario, Tuorto e Sartori hanno evidenziato come al tempo le donne fossero per la maggior parte casalinghe con un basso livello di istruzione, prive dei mezzi necessari per informarsi e sviluppare un’opinione propria sullo scenario politico. Di conseguenza, votavano allineandosi alle indicazioni dei mariti e soprattutto della Chiesa cattolica che, nel bipolarismo della guerra fredda, naturalmente propendeva per la Democrazia cristiana, il principale partito di ispirazione cattolica durante la cosiddetta “prima repubblica”, il periodo tra il 1948 e il 1994. «Soprattutto nelle zone rurali, la Chiesa era una presenza pervasiva nella vita della comunità, in cui la trasmissione dei messaggi politici avveniva all’interno della rete di associazioni e nelle parrocchie», hanno spiegato Tuorto e Sartori nel loro studio. 

L’allontanamento dalla politica, negli anni Settanta

A partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, le donne hanno iniziato a entrare nel mercato del lavoro e a partecipare maggiormente alla vita sociale, culturale e politica del Paese, anche grazie all’affermarsi delle lotte femministe. A partire dalle elezioni del 1979, la differenza tra i votanti uomini e donne è andata progressivamente aumentando, a discapito della partecipazione femminile. 

Questa tendenza può essere spiegata, secondo Tuorto e Sartori, da una «maggiore stanchezza partecipativa da parte delle donne, legata sia alla fine del ciclo di mobilitazione collettiva sia all’affievolirsi di quel sentimento religioso» che si era rivelato fondamentale in passato. Molte donne smisero quindi di votare per la Democrazia cristiana e, in generale, si allontanarono dai grandi partiti per orientarsi verso formazioni politiche nuove, tanto che «l’emancipazione femminile si esprimeva anche attraverso il non voto», hanno spiegato i due autori. 

L’astensionismo, dagli anni Ottanta

Il nuovo ruolo acquistato dalle donne nella società ha quindi avuto conseguenze anche sulla loro partecipazione al voto. Dalle elezioni del 1983 in poi, la forbice tra astensionismo maschile e femminile si è allargata sempre di più, partendo dal 2 per cento e raggiungendo il picco del 5 per cento alle elezioni del 2013 e del 2018, per poi scendere al 3,5 per cento nel 2022. «Negli ultimi anni si è verificata una tendenza all’aumento dell’astensionismo femminile, che è un’inversione rispetto a quanto avvenuto in passato», ha detto Tuorto a Pagella Politica, aggiungendo comunque che le percentuali sono sempre state «contenute, se consideriamo tutta la popolazione».

Secondo Tuorto e Sartori, un potenziale motivo del recente allontanamento delle donne dalla politica sta nel rifiuto di un mondo «concepito come maschile, patriarcale e non adatto alle donne», le quali potrebbero quindi preferire altre forme di partecipazione sociale, come l’attivismo o il volontariato. 

La crescita dell’astensionismo femminile inoltre si accompagna a un ben più accentuato crollo dell’affluenza generale, rilevabile anche nell’elettorato maschile. 

Una categoria eterogenea

In generale, oggi considerare le donne come una categoria uniforme rischia di essere fuorviante. Come tra gli uomini, le decisioni di voto delle donne sono influenzate da molte variabili, tra cui l’estrazione sociale, il livello di istruzione, le possibilità economiche e il contesto in cui si risiede (urbano o rurale, al Nord o al Sud). «La visione unitaria è stata messa in discussione quando le donne hanno cominciato a lavorare e l’onda lunga delle mobilitazioni femminili tra gli anni Sessanta e Ottanta ha prodotto una forte attivazione e uno spostamento a sinistra» dell’elettorato femminile, ha spiegato Tuorto a Pagella Politica

Nel loro studio Tuorto e Sartori hanno analizzato i dati sull’affluenza divisi per genere alle elezioni del 1994, 1996, 2001 e 2006, aggregandoli in base a diversi fattori come l’età, il livello di istruzione, l’ampiezza del comune di residenza e l’area geografica. In generale, per tutte le variabili considerate le donne nella fascia tra i 18 e i 30 anni hanno partecipato alle votazioni più che i loro coetanei uomini, mentre la tendenza si inverte per le persone con più di 60 anni, una fascia d’età in cui gli uomini hanno sempre votato più delle donne. 

Per esempio, differenze rilevanti si notano se si considera l’età: nelle quattro elezioni prese in esame, le donne tra i 18 e i 30 anni hanno votato per il 3,6 per cento in più rispetto agli uomini, mentre nella fascia d’età superiore ai 60 anni la partecipazione femminile è stata inferiore di oltre 13 punti punti percentuali. Nei comuni del Sud con oltre 100 mila abitanti, poi, le donne giovani hanno votato per il 2,4 per cento in più rispetto agli uomini, mentre tra gli over 60 si sono astenute votando per il 20,4 per cento in meno rispetto agli uomini. 

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