Davvero una donna guadagna il 20 per cento in meno di un uomo a parità di mansione?

Lo sostiene il Partito democratico, proponendo nel suo programma elettorale la «parità salariale tra donne e uomini». I dati sul divario salariale vanno però letti con attenzione
Partito democratico
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L’8 agosto, il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha rilanciato su Facebook un post pubblicato dalla pagina ufficiale del partito, relativo al tema della disparità salariale tra uomini e donne (il cosiddetto “gender pay gap” in inglese). In particolare il post – che fa parte della campagna “Vincono le idee”, una serie di proposte del Pd per le prossime elezioni politiche – afferma che oggi in Italia le lavoratrici guadagnano «mediamente il 20 per cento» in meno rispetto agli uomini, «a parità di mansione».
È davvero così? Abbiamo verificato.

Qual è la fonte del dato

Nel lanciare la sua proposta, il Pd non ha specificato qual è la fonte della percentuale del «20 per cento». Questo dato proviene probabilmente da un rapporto pubblicato a gennaio 2022 da AlmaLaurea, un consorzio interuniversitario che si propone di valutare le tendenze e i risultati, in termini lavorativi, dei percorsi universitari. Nel rapporto si legge che «a cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20 per cento in più» rispetto alle donne, a parità di titolo. Le donne con una laurea di primo livello, quindi che hanno ottenuto al massimo un titolo triennale, guadagnano in media 1.374 euro al mese, e gli uomini 1.651, mentre gli importi salgono rispettivamente a 1.438 euro e 1.713 per i titoli di secondo livello. Il rapporto si riferisce quindi alle differenze di paga per titolo di studio conseguito, ma non considera la mansione svolta, criterio citato invece dal Pd.

Stesso lavoro, paga diversa?

I dati più aggiornati relativi alla disparità salariale a parità di mansione risalgono al 2018: sono stati raccolti da Eurostat e rielaborati per l’Italia da Istat. 

Per quanto riguarda la paga oraria, complessivamente il divario salariale – quindi la differenza nelle retribuzioni tra uomini e donne – tendeva ad aumentare per le professioni in cui vi è una minore presenza femminile. La differenza nella retribuzione oraria era infatti massima tra i dirigenti, una categoria professionale in cui in media gli uomini guadagnavano il 27,3 per cento in più rispetto alle donne (46,2 euro all’ora contro 33,6 euro). Seguiva il gruppo delle Forze armate (18,8 per cento) e quello degli artigiani e degli operai specializzati (18,5 per cento), mentre il divario raggiungeva il valore minimo – il 9,3 per cento – tra gli addetti a professioni non qualificate, descritte dall’Istat come mansioni basate su attività «semplici e ripetitive, per le quali non è necessario il completamento di un particolare percorso di istruzione».
Figura 1. Retribuzione oraria per genere, professione e gender pay gap (GPG), 2018 – Fonte: Istat
Figura 1. Retribuzione oraria per genere, professione e gender pay gap (GPG), 2018 – Fonte: Istat

Un fenomeno complesso

In generale, i dati sul divario salariale vanno letti con cautela. Il fenomeno dipende da molti fattori: i dati considerati, e il modo con cui questi vengono elaborati, possono modificare anche in modo rilevante le conclusioni che si traggono. 

Se guardiamo per esempio alle differenze complessive nella paga oraria lorda (il cosiddetto gender pay gap)  in italia la differenza tra le retribuzioni di uomini e donne è tra le più ridotte dell’Unione europa. Secondo Eurostat, nel 2020 la paga oraria lorda delle donne era del 4,3 per cento più bassa di quella degli uomini, il quarto valore più basso tra i 25 Paesi membri dell’Ue per cui sono disponibili dati (mancano Grecia e Irlanda). Al primo posto c’era il Lussemburgo, dove la differenza era di appena 0,7 punti percentuali, e all’ultimo la Lettonia, con una differenza del 22,3 per cento.

La situazione però cambia notevolmente se si analizza il cosiddetto gender overall earnings gap, un parametro più esaustivo che considera non solo la differenza tra le paghe orarie, ma anche il tasso di occupazione femminile nei vari Paesi europei e il numero di ore lavorate da uomini e donne. Con l’unione di questi tre fattori, nel 2018 (ultimo anno per cui sono disponibili dati) l’Italia era il terzo Paese con le differenze più marcate tra gli stipendi di uomini e donne, pari al 43 per cento. Solo Austria (44,2 per cento) e Paesi Bassi (43,7 per cento) avevano due percentuali più alte di quella italiana. All’ultimo posto della classifica c’era invece il Portogallo, con il 20,4 per cento (il valore più basso dell’Ue).

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