Il 4 marzo Nicola Zingaretti ha annunciato le proprie dimissioni da segretario del Partito democratico tramite un post sul suo profilo Facebook. «Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario – ha scritto – da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni».

La notizia ha sorpreso lo stesso Partito democratico, in cui nessuno si aspettava un’evoluzione così brusca e repentina. Ha stupito anche che l’annuncio arrivasse via social, prima ancora di formalizzare la scelta agli organi del partito: «Nelle prossime ore scriverò alla Presidente del partito per dimettermi formalmente – ha aggiunto Zingaretti nel post – L’Assemblea Nazionale farà le scelte più opportune e utili».

Uno dopo l’altro, tutti i maggiori esponenti dem hanno chiesto al segretario di ripensarci. L’appuntamento decisivo sarà dunque l’Assemblea nazionale prevista per il 13 e 14 marzo.

Non è chiaro se la mossa di Zingaretti indichi una reale intenzione di abbandonare il ruolo a capo della segretaria o serva invece a farsi riconfermare con una nuova e maggiore legittimazione dal partito, superando le critiche e contestazioni delle ultime settimane.

Vediamo come si è arrivati a questo punto, quali sono state le reazioni e che cosa potrebbe accadere.

I tormenti del Pd

Come abbiamo spiegato di recente, nelle ultime settimane la linea del segretario Nicola Zingaretti – la spinta a creare un’alleanza strutturale con il Movimento 5 stelle – è stata messa sotto accusa da una parte del suo partito. Più nello specifico, dalle correnti meno vicine al segretario: i Giovani turchi di Matteo Orfini e Base riformista guidata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini e l’ex ministro per lo Sport Luca Lotti.

Zingaretti, nella direzione nazionale del 1° marzo (formalmente dedicata solo alla parità di genere) aveva cercato di frenare le polemiche all’interno del partito, chiarendo che non ci sarebbe stato un Congresso anticipato (da statuto il Pd tiene il congresso ogni cinque anni e l’ultimo si è tenuto nel 2019) e che soprattutto non si sarebbero aperte primarie per una nuova leadership.

Il tentativo di imporsi sul malcontento non ha funzionato. Le correnti minoritarie hanno continuato a chiedere un congresso e neanche troppo velatamente un passo indietro del segretario («O cambia la linea o cambia il segretario», ha detto il 3 marzo senza girarci intorno Matteo Orfini, a capo dei Giovani Turchi, in un’intervista a Quotidiano nazionale).

Tuttavia, nessuno si aspettava davvero le dimissioni del segretario.

Le reazioni

La prima reazione alle dimissioni di Nicola Zingaretti, in realtà, è stata quella del leader della Lega Matteo Salvini, che ne ha approfittato per mettere in rilievo le divisioni nel Pd mentre la Lega continua a “lavorare”: «Spiace che il Pd abbia problemi interni che costringono Zingaretti a dimettersi – ha scritto il segretario del Carroccio su Facebook – ma noi oggi stiamo lavorando coi ministri della Lega per produrre vaccini in Italia, per rottamare 65 milioni di cartelle esattoriali, per far arrivare rapidamente i rimborsi attesi a 3 milioni di Partite Iva, professionisti e imprenditori».

Subito dopo tutti i big del Partito democratico hanno chiesto al segretario di ripensarci: «Il gesto di Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida», sono state le parole del ministro della Cultura Dario Franceschini, a capo della corrente AreaDem, vicina al segretario.

Sulla stessa linea anche il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio: «In un momento così grave e difficile per il Paese, il Partito Democratico ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada», ha commentato su Facebook.

A sera, dopo diverse ore di silenzio, è arrivata anche la nota del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, a capo di Base riformista, la corrente di maggiore peso fra quelle critiche nei confronti del segretario: «Mi auguro davvero che Zingaretti ci ripensi e ritiri subito le sue dimissioni. Abbiamo tra pochi giorni un’Assemblea durante la quale, come sempre abbiamo fatto, discuteremo del futuro del nostro partito e anche del suo contributo fondamentale all’azione del Governo in un momento delicatissimo per il Paese».

Non è scontato tuttavia che Zingaretti sia pronto a ritirare le proprie dimissioni. Anzi, secondo i retroscena, il segretario dimissionario farebbe sul serio.

L’Assemblea nazionale

Quella di Zingaretti non sarebbe una “finta” per farsi riconfermare dal partito. Secondo Maria Teresa Meli sul Corriere della sera «Il presidente della Regione Lazio è convinto che se anche l’Assemblea nazionale lo acclamasse nuovamente segretario, “poi si ricomincerebbe con lo stillicidio e con il fuoco amico e questo non farebbe bene al Partito democratico”».

L’appuntamento decisivo rimane in ogni caso quello dell’Assemblea nazionale prevista per il 13-14 marzo. Innanzitutto, in quella sede, le dimissioni del segretario potrebbero essere rifiutate e starebbe a lui decidere se tornare alla guida del partito o no.

Molto probabilmente si andrà invece verso la scelta di un reggente, come fu Matteo Orfini per il periodo successivo alla dimissioni di Matteo Renzi, il 5 marzo 2018, dopo le elezioni politiche.