I termovalorizzatori sono dannosi per la salute?

L’opposizione del Movimento 5 stelle alla costruzione di un impianto a Roma per bruciare i rifiuti ha riportato di attualità un dibattito su cui da anni si interrogano gli scienziati
Il termovalorizzatore di Torino. ANSA/TRM
Il termovalorizzatore di Torino. ANSA/TRM
Il 2 maggio i ministri del Movimento 5 stelle hanno deciso di non votare il nuovo decreto “Aiuti”, approvato dal Consiglio dei ministri, criticando l’introduzione nel testo di una norma che dà il potere al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, di approvare la costruzione di un termovalorizzatore. Questo termine fa generalmente riferimento a impianti che, a differenza degli inceneritori, non si limitano a bruciare i rifiuti, ma producono energia elettrica grazie alla combustione.

Secondo il M5s, la norma inserita nel decreto “Aiuti” non avrebbe nulla a che fare con l’obiettivo delle altre misure, che mirano a sostenere famiglie e imprese contro i rincari energetici. Il 3 maggio, ospite a L’aria che tira su La7, il presidente del M5s Giuseppe Conte ha inoltre dichiarato (min. 17:56) che, con un nuovo termovalorizzatore, nella capitale ci saranno «conseguenze negative», con l’emissione di «fumi inquinanti», di «ceneri leggere e pesanti», e di composti chimici, come «diossine, Pcb», ossia i policlorobifenili, e «furani».

Al di là della bontà o meno della proposta di costruire un nuovo termovalorizzatore a Roma, che cosa dicono gli studi scientifici più recenti sull’impatto di questi impianti sulla salute delle persone? In breve: escludere l’assenza di impatti è di fatto impossibile, ma le prove più recenti dicono che gli impianti più recenti sono sicuri.

L’impatto dei termovalorizzatori sulla salute

Secondo i dati più aggiornati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), nel 2020 erano operativi 37 impianti di incenerimento di rifiuti – tutti producono anche energia – sul territorio nazionale italiano, undici in meno rispetto a quelli presenti nel 2013 (Mappa 1). Negli ultimi dieci anni, la quota di rifiuti urbani inceneriti, sul totale di quelli prodotti, è comunque rimasta abbastanza costante, tra il 16 e il 18 per cento. 
Mappa 1. Dove sono collocati gli impianti di incenerimento di rifiuti in Italia, anno 2020 – Fonte: Ispra
Mappa 1. Dove sono collocati gli impianti di incenerimento di rifiuti in Italia, anno 2020 – Fonte: Ispra
Da anni, la politica italiana discute su quanto fare affidamento su questi impianti, che storicamente incontrano l’opposizione del M5s, tra le altre cose, per le loro possibili conseguenze negative sulla salute delle persone. 

L’incenerimento dei rifiuti genera infatti emissioni di vario tipo, tra cui quelle gassose, come spiega (pag. 33) nel dettaglio un “libro bianco” pubblicato nel 2021, con il contributo di ricercatori del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Tor Vergata di Roma. Di norma queste emissioni sono comunque trattate per «ridurre in modo sostanziale le concentrazioni delle sostanze inquinanti», come quelle citate da Conte in televisione, e per rispettare le norme italiane ed europee.

Lo stesso libro bianco ha una sezione dedicata (pag. 75) proprio agli studi epidemiologici, usciti negli ultimi 20 anni, che hanno provato a quantificare l’impatto degli inceneritori, in Italia e all’estero, sulla qualità della vita dei cittadini. Secondo gli autori, «molto spesso» nelle città in cui sono presenti degli inceneritori «si tende ad attribuire all’incenerimento dei rifiuti il ruolo in negativo preponderante sulla salute della popolazione ivi residente». Ma per stabilire quale sia questo “ruolo” è necessario analizzare la letteratura scientifica sul tema, che prova a isolare l’effetto degli inceneritori da altri fattori, come l’inquinamento atmosferico.

«È scientificamente riconosciuto che le preoccupazioni sui potenziali effetti sulla salute degli inceneritori riconducibili a inquinanti potenzialmente presenti nelle emissioni, quali metalli pesanti, diossine e furani, sono da ricondurre a impianti di vecchia generazione e a tecniche di gestione utilizzate prima della seconda metà degli anni Novanta», si legge (pag. 92) nelle conclusioni del libro bianco. «La maggior parte degli studi condotti in periodi di riferimento antecedenti il 1996 riguardano anche inceneritori di vecchia generazione, qualcuno mal gestito e pertanto in alcuni casi caratterizzati da elevati livelli di emissione». Tra le altre cose, questi studi, condotti su impianti datati, hanno in effetti rilevato un aumento del rischio nella popolazione di sviluppare alcuni tumori, come quelli allo stomaco, al colon, al fegato e ai polmoni. 

Discorso diverso sembra valere per gli inceneritori più recenti, ossia quelli costruiti negli ultimi vent’anni. «Un impianto di incenerimento ben progettato e correttamente gestito, soprattutto se di recente concezione, emette quantità relativamente modeste di inquinanti e contribuisce poco alle concentrazioni ambientali», spiegano gli autori del libro bianco. «Pertanto, non si ha evidenza che comporti un rischio reale e sostanziale per la salute».

A conclusioni simili sono arrivati anche studi recenti, pubblicati su interviste internazionali, per esempio nel 2019 e nel 2020. Si tratta di systematic reviews (o “revisione sistematiche” in italiano), ossia di ricerche scientifiche che hanno a loro volta analizzato la letteratura scientifica per indagare, appunto, cosa sappiamo finora sull’impatto dell’incenerimento dei rifiuti. Anche in questo caso, la conclusione è stata che inceneritori e termovalorizzatori non hanno un “impatto zero”, ma questi impatti sono rilevanti e dannosi soprattutto per quanto riguarda gli impianti più datati o dove non sono state rispettate le regole per limitare le emissioni. 

Tre anni fa, nel presentare una ricerca pubblicata dall’università Imperial College di Londra, l’autrice e scienziata Anna Hansell aveva sottolineato che «nonostante sia impossibile escludere del tutto conseguenze sulla salute pubblica, gli inceneritori moderni e ben regolamentati possono avere un piccolo, se non addirittura impercettibile, impatto sulle persone che vivono nelle loro vicinanze».

Secondo i dati Ispra, 16 degli impianti di incenerimento presenti in Italia sono stati avviati prima del 2000, ma sono poi stati ristrutturati al massimo negli ultimi 15 anni. I due termovalorizzatori più recenti sono stati avviati a Torino e Parma, entrambi nel 2013.

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