Il fact-checking del no del governo alla riforma del Mes

La ratifica del nuovo trattato è stata bocciata dalla Camera. Abbiamo verificato quanto sono solide le motivazioni presentate dai partiti della maggioranza
ANSA/GIUSEPPE LAMI
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Nella tarda mattinata di giovedì 21 dicembre la Camera ha respinto la proposta di legge sulla ratifica della riforma del trattato che nel 2012 ha istituito il Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Dopo settimane di dibattito tra i partiti, Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro la ratifica della riforma, mentre il suo alleato Forza Italia si è astenuto, così come l’Alleanza Verdi-Sinistra. Il Partito Democratico, Azione, Italia Viva e Più Europa hanno votato a favore della ratifica. Contro si è schierato il restante partito di opposizione, il Movimento 5 Stelle. In base al regolamento della Camera, ora dovranno passare (art. 72) almeno sei mesi prima che possa essere esaminata una nuova proposta di legge per ratificare la riforma del Mes identica nella sostanza a quella bocciata. Salvo sorprese, quindi, la ratifica potrà tornare in aula dopo le elezioni europee, in programma a giugno 2024.

Per quale motivo i partiti che sostengono il governo Meloni non hanno votato a favore della ratifica? Da tempo Lega e Fratelli d’Italia sono critici nei confronti del Mes e contrari alla sua riforma, mentre Forza Italia è favorevole all’esistenza del Mes, ma ha alcuni dubbi sulla bontà della riforma. Durante l’esame della proposta di legge in Commissione Bilancio della Camera, nella mattina del 21 dicembre il governo ha presentato un parere contrario alla ratifica sostenendo che non ci sono garanzie che il Parlamento sarà coinvolto in un’eventuale futura attivazione del Mes. Secondo il governo c’è insomma il rischio che in futuro l’Italia dovrà versare decine di miliardi di euro al Mes senza che Camera e Senato possano esprimere la loro posizione. Questa è una delle varie critiche espresse in questi anni dai politici più critici nei confronti del Mes, tra cui quelle fatte dal deputato della Lega Claudio Borghi

Vediamo se e quanto è solida la posizione specifica espressa dal governo in Commissione Bilancio alla Camera. In breve: l’argomentazione del governo non è del tutto infondata, sebbene si basi su un’eventualità che il Ministero dell’Economia e delle Finanze considera a oggi del tutto improbabile, anche in caso di approvazione della riforma.

Che cosa c’entra la riforma del Mes

Il Mes è stato creato nel 2012 per aiutare i Paesi che adottano l’euro (oggi sono 20) nel caso di crisi economica. Per questo motivo il Mes è noto anche con il nome di “Fondo Salva-Stati”. All’inizio del 2021 i Paesi dell’area euro hanno firmato un accordo per riformare il trattato con cui è stato istituito il Mes, introducendo alcune novità sugli strumenti che il Mes può aiutare per supportare gli Stati in difficoltà (qui le abbiamo sintetizzate). 

Una novità della riforma riguarda il cosiddetto “backstop”, un paracadute finanziario che il nuovo Mes fornirebbe al “Fondo di risoluzione unico”, un fondo finanziato da tutte le banche dei Paesi europei che fanno parte dell’Unione bancaria, pensato per risolvere le crisi bancarie. In altri termini, se il “Fondo di risoluzione unico” finisce i soldi (un caso comunque estremo), il Mes può prestare le risorse necessarie. 

Per entrare in vigore, la riforma del trattato del Mes deve essere ratificata da tutti i Parlamenti nazionali dei suoi Paesi membri. A oggi l’Italia è l’unico membro del Mes a non aver ratificato la riforma. Chi volesse chiedere aiuto al Mes potrebbe farlo chiedendo l’attivazione di uno degli strumenti già a disposizione dal 2012. Le novità messe in campo dalla riforma, tra cui il “backstop”, restano invece bloccate.

I soldi versati al Mes

In base al trattato istitutivo, ogni Paese membro del Mes deve contribuire al capitale del fondo in modo proporzionale alla dimensione della sua economia. Queste risorse servono al Mes come garanzia economica per emettere titoli e finanziarsi sui mercati, e raccogliere risorse da distribuire sotto forma di prestiti ai Paesi che ne fanno richiesta. Attualmente il Mes si finanzia sui mercati con tassi di interesse più bassi rispetto a quelli con cui si finanzia lo Stato italiano. 

A oggi l’Italia ha versato 14,3 miliardi di euro nel capitale del Mes (presi a debito sui mercati): questo è il terzo contributo più alto dietro a Francia (16,3 miliardi) e Germania (21,6 miliardi). Ogni Stato membro del Mes ha poi preso l’impegno di versare al fondo nuove risorse nel caso in cui, per esempio, l’organizzazione non fosse in grado di ripagare i prestiti presi sul mercato. L’Italia si è impegnata, in caso di necessità, a versare 125 miliardi di euro, che compongono il cosiddetto “capitale autorizzato non versato”.

Il parere del Ministero dell’Economia

Quanto è probabile che all’Italia venga richiesto di versare una parte o tutto il capitale autorizzato, ma non ancora versato? Mercoledì 20 dicembre, in Commissione Bilancio della Camera, ha risposto a questa domanda il sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze Federico Freni (Lega). Come riporta il resoconto stenografico della seduta in commissione, secondo Freni «nel caso assai remoto in cui venisse attivato il prestito dal Mes al “Fondo di risoluzione unico” [la principale novità contenuta nella riforma, ndr] non vi sarebbe un incremento apprezzabile delle probabilità che l’Italia debba versare quote di capitale». Il rischio che, in caso di emergenza, il “Fondo di risoluzione unico” non restituisca i soldi prestatigli dal Mes è, secondo Freni, un caso limite.

Il “Fondo di risoluzione unico”, per restituire i prestiti al Mes, può chiedere un contributo dall’intero settore bancario europeo. Dunque il rischio di inadempienza del “Fondo di risoluzione unico” sarebbe «correlato alla capacità collettiva di tutte le banche partecipanti all’Unione bancaria di fare fronte al rimborso di tali prestiti». Se le banche non fossero in grado di rispettare questo impegno, saremmo di fronte a una grave crisi che coinvolgerebbe tutte le banche del continente.

Già a giugno 2023 il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva spiegato con una nota trasmessa alla Commissione Bilancio che dalla ratifica della riforma del Mes non discendono «nuovi o maggiori oneri» per la finanza pubblica rispetto a quelli presi nel 2012 con la ratifica del trattato istitutivo del Mes. «Con riferimento a eventuali effetti indiretti, in linea generale, questi appaiono di difficile valutazione», aveva scritto nella nota il Ministero dell’Economia e delle Finanze. «Essi potrebbero astrattamente presentarsi qualora le modifiche apportate con l’accordo rendessero il Mes più rischioso», e quindi aumentassero le probabilità che i membri del Mes debbano versare una parte del capitale non ancora versato. Tra le altre cose, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva sottolineato che la ratifica della riforma del trattato del Mes potrebbe migliorare le condizioni con cui gli Stati già ora si finanziano sui mercati, in particolare quelli con un alto debito pubblico, visto che la ratifica potrebbe essere vista come un «segnale di rafforzamento della coesione europea».

Al di là di questo commento, proprio sul rischio di dover versare più risorse al Mes poggia il parere contrario del governo in Commissione Bilancio della Camera.

Il parere del governo

Secondo il parere del governo, nella proposta di legge per la ratifica della riforma del trattato del Mes non ci sono i «meccanismi idonei a garantire il coinvolgimento del Parlamento nel procedimento per la richiesta di attivazione» del Mes. Questo, a detta del governo, escluderebbe il Parlamento da importanti «scelte di politica economica e finanziaria» nel caso in cui l’Italia sarebbe chiamata a versare nuove risorse nel Mes «ai sensi dell’articolo 9 del trattato istitutivo» del fondo. 

Come prima cosa va sottolineato che l’articolo 9 citato dal governo non è tra quelli modificati dalla riforma del trattato che ha istituito il Mes. La versione attuale rimarrebbe la stessa anche nel caso in cui l’Italia ratificasse il trattato.

L’articolo 9 stabilisce che il Consiglio dei governatori del Mes, composto dai ministri delle Finanze dei Paesi dell’area euro (l’Italia è rappresentata dal ministro Giancarlo Giorgetti), «può richiedere il versamento in qualsiasi momento del capitale autorizzato non versato» dai membri del Mes, fissando un «congruo termine per il relativo pagamento». In base all’articolo 5 il Consiglio dei governatori può prendere questa scelta solo su «comune accordo», ossia con l’unanimità dei Paesi membri del Mes. 

Sempre in base all’articolo 9 il Consiglio di amministrazione del Mes, un altro degli organi di vertice dell’organizzazione, può richiedere agli Stati membri «il versamento del capitale autorizzato non versato» dopo una decisione adottata a maggioranza semplice, ossia con la maggioranza dei voti espressi, per compensare eventuali perdite nel capitale già versato. In più l’articolo 9 stabilisce che il direttore generale del Mes, attualmente il lussemburghese Pierre Gramegna, può richiedere «in tempo utile il capitale autorizzato non versato se questo è necessario a evitare che il Mes risulti inadempiente rispetto ai previsti obblighi di pagamento, o di altro tipo, nei confronti dei propri creditori». Aggiunge l’articolo: «I membri del Mes si impegnano incondizionatamente e irrevocabilmente a versare il capitale richiesto dal direttore generale ai sensi del presente paragrafo entro sette giorni dal ricevimento della richiesta».

Il ruolo del Parlamento

È vero che il Parlamento italiano non sarebbe coinvolto nel caso in cui all’Italia fosse richiesto, come a tutti gli altri Paesi membri del Mes, di versare nuovi fondi per il Mes? La risposta non è semplice.

Come abbiamo visto, se in un caso a oggi molto improbabile (come ammesso dallo stesso Ministero dell’Economia e delle Finanze), all’Italia venisse chiesto di versare una parte del capitale autorizzato non versato, potrebbe doverlo fare «incondizionatamente e irrevocabilmente». L’articolo 9 non menziona il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali. Ma c’è comunque un però: in base alla Costituzione, ogni anno è compito del Parlamento approvare il bilancio dello Stato presentato dal governo di turno. E in caso di scostamento il Parlamento sarebbe chiamato a votare di nuovo. Semplificando un po’, nel caso ipotetico in cui il Mes ci chiedesse di dover versare ulteriori miliardi di euro, il governo dovrebbe trovarli e chiedere il permesso al Parlamento di poterli usare. 

A oggi non è ancora successo che il Mes abbia chiesto ulteriori quote di capitale ai suoi Paesi membri, quindi non ci sono precedenti con cui fare confronti. Se il Parlamento dovesse negare la possibilità al governo di rispettare gli impegni presi con il Mes, con tutta probabilità l’Italia violerebbe un accordo internazionale preso con altri 19 Paesi.

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