Le crisi di impresa più grandi sul tavolo del governo

Dall’ex Ilva di Taranto alla raffineria di Priolo, il nuovo Ministero delle Imprese del Made Italy dovrà trovare una soluzione per salvare migliaia di posti di lavoro
Pagella Politica
Tra i suoi compiti principali, il nuovo ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso (Fratelli d’Italia) ha quello di risolvere le molte crisi d’impresa presenti nel nostro Paese. Queste crisi possono riguardare imprese che hanno deciso di spostare all’estero o ridimensionare le proprie attività, con una conseguente riduzione del numero dei lavoratori, oppure che si trovano in una situazione problematica a livello economico. 

Ai cosiddetti “tavoli di crisi industriali”, dove si cerca di trovare una soluzione per le imprese in difficoltà, partecipano i sindacati e, in alcuni casi, anche i rappresentanti delle organizzazioni delle imprese (per esempio Confindustria), delle regioni, degli enti locali o di altri ministeri (per esempio quello del Lavoro e delle Politiche sociali).  

Un ruolo di supporto è svolto dalla Struttura per le crisi di impresa del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, rafforzata nei suoi poteri da un decreto del 2021 firmato dal predecessore di Urso, il ministro dello Sviluppo economico (attuale ministro dell’Economia) Giancarlo Giorgetti. La struttura è coordinata da Lucia Annibaletti e tra i suoi compiti ha quello di favorire «le soluzioni di rilancio aziendale», le azioni di «reindustrializzazione» e di «ricollocazione dei lavoratori coinvolti».

Dall’ex Ilva di Taranto alla raffineria di Priolo, cerchiamo di capire, una per una, quali sono le principali crisi che dovrà risolvere il governo Meloni. Secondo i dati più aggiornati, ad agosto 2022 i tavoli di crisi industriali aperti erano oltre 70 e riguardavano oltre 90 mila lavoratori.

Ex Ilva

Alcune delle crisi d’impresa vanno avanti da anni e sono state trattate ampiamente dai media locali e nazionali. È questo il caso dell’acciaieria ex Ilva che ha il suo principale polo siderurgico a Taranto, in Puglia, e che dal 2021 è diventata un società pubblico-privata, con il nome “Acciaierie d’Italia”. Ormai da anni, al di là dei proprietari e dei cambi di nome, questa azienda si trova in una situazione di stallo, con una bassa produzione e alcuni impianti fermi, cassa integrazione per molti lavoratori e creditori da pagare.

Il 17 novembre, nella sede del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, si è svolto un incontro tra il ministro Urso e i rappresentanti dei sindacati, di Confindustria, della regioni coinvolte e di Invitalia, ossia l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa che detiene il 38 per cento dell’ex Ilva (il restante 62 per cento appartiene alla multinazionale ArcelorMittal). L’incontro era stato preceduto dalla decisione molto discussa di ArcelorMittal di sospendere l’attività di 145 imprese appaltatrici. Inoltre, l’azienda non ha partecipato al tavolo del 17 novembre. La decisione della multinazionale ha provocato la scelta dei sindacati di indire uno sciopero generale, che si è tenuto il 21 novembre in tutti gli stabilimenti dell’ex Ilva. 

Urso, al termine dell’incontro, ha spiegato che bisogna «riequilibrare la governance in modo che davvero ci sia una risposta rispetto agli impegni» presi dall’azienda. La sottosegretaria alle Imprese e al Made in Italy Fausta Bergamotto, rispondendo a un’interpellanza alla Camera, ha spiegato che «il governo non accetterà di dare nuove risorse senza un cambio di passo da parte di Acciaierie d’Italia» e senza che, «a breve», l’azienda «riprenda tutte le attività sospese e gli ordini alle imprese dell’indotto».

Ex Gkn

Un altro tavolo che vede impegnato il ministro Urso è quello dell’Ex Gkn di Campi Bisenzio, in provincia di Firenze. Stiamo parlando di una fabbrica che produce componenti per il settore automobilistico, chiusa a luglio 2021 dal suo proprietario, il fondo inglese Melrose, annunciando via email 422 licenziamenti. A dicembre 2021 lo stabilimento è stato acquistato dall’imprenditore ed ex consulente dell’azienda Francesco Borgomeo, attraverso la società Qf. 

Negli scorsi mesi dalla nuova proprietà erano arrivate rassicurazioni su un piano industriale per rilanciare la ex Gkn. Il 31 agosto e il 5 settembre al ministero si sono svolti degli incontri con la società Qf, i sindacati, i rappresentanti degli enti locali e di Confindustria.  

Il tavolo è ripreso il 3  novembre, tra le perplessità e i dubbi della Regione Toscana e dei sindacati sul possibile processo di reindustrializzazione. L’incontro non ha portato a una soluzione condivisa e rimane incertezza sul destino dei lavoratori, che nelle scorse settimane hanno manifestato a Firenze. 

Da parte del ministero però, ha assicurato Annibaletti,  c’è l’impegno a «monitorare la vertenza», anche se «al momento non vi sono le condizioni per l’ingresso di Invitalia nel capitale di Qf».   

Wärtsilä

L’attenzione del Ministero delle Imprese e del Made in Italy deve concentrarsi anche sullo stabilimento di San Dorligo della Valle, in provincia di Trieste, del gruppo finlandese Wärtsilä, impegnato nella produzione di motori per navi. Lo scorso 14 luglio il gruppo ha deciso di ridurre le attività del sito con l’obiettivo di centralizzare la produzione di motori a quattro tempi a Vaasa, in Finlandia. La scelta ha messo a rischio il posto di 451 lavoratori sui circa 970 occupati nello stabilimento. La decisione di Wärtsilä era stata definita «irragionevole» dall’allora ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, al termine del tavolo che si è svolto il 7 settembre con i rappresentanti dell’azienda, i sindacati e la Regione Friuli-Venezia Giulia. 

Nell’apertura delle procedure di licenziamento la condotta del gruppo finlandese è stata considerata «antisindacale» dal giudice del lavoro del Tribunale di Trieste Paolo Ancora, che ha accolto un ricorso presentato dai sindacati. Il Tribunale quindi ha revocato la procedura aperta da Wärtsilä: l’azienda è stata condannata a pagare un risarcimento in favore dei sindacati. 

Il 17 novembre è ripreso al ministero il tavolo con i vertici del gruppo finlandese, i sindacati e gli enti locali. Il ministero ha spiegato che le interlocuzioni vanno avanti ed è stato riscontrato il «positivo orientamento della proprietà ad impegnarsi a garantire la continuità produttiva». Il 29 novembre si è tenuto un nuovo incontro e, secondo Il Sole 24 Ore, «la multinazionale finlandese si è dichiarata disponibile a garantire l’occupazione del sito produttivo fino ad agosto 2023 anche con l’utilizzo ammortizzatori sociali funzionali».

Isab

Una delle crisi aziendali più note, nata con lo scoppio della guerra in Ucraina, riguarda l’Industria siciliana asfalti e bitumi (Isab). Il futuro della raffineria di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, in Sicilia, e quello di migliaia di lavoratori, è infatti a rischio. Dal 5 dicembre scatterà l’embargo europeo alle importazioni di petrolio dalla Russia, l’unico al momento trattato dall’impianto.  

Il sito Isab è di proprietà di una società svizzera, Litasco Sa, che è a sua volta controllata dalla compagnia petrolifera russa Lukoil. Come spiegato da Il Foglio lo scorso luglio, dopo l’invasione russa dell’Ucraina lo stabilimento di Priolo, che prima poteva contare su diverse fonti di approvvigionamento, si è ritrovato a dover fare affidamento in maniera esclusiva sul greggio proveniente dalla Russia. Per l’Isab ciò ha provocato anche un mutamento nei rapporti con le banche. Diversi istituti di credito hanno sospeso le garanzie sugli acquisti di greggio per timori legati a potenziali sanzioni o ai rischi reputazionali nell’avere rapporti con un impianto controllato da una società russa. Inoltre, secondo una ricostruzione pubblicata il 1° novembre dal The Wall Street Journal, la raffineria ha avuto un ruolo fondamentale nel permettere a Mosca di continuare ad esportare il greggio verso gli Stati Uniti. 

Con l’entrata in vigore dell’embargo lo stabilimento rischia di chiudere, con conseguenze negative per l’intera area industriale siracusana, che impiega circa 10 mila lavoratori, connessi alle attività della raffineria.

Il primo tavolo del ministero dedicato all’Isab si è svolto il 2 agosto, alla presenza dei vertici dell’azienda. Il confronto è poi proseguito con un incontro tecnico (17 ottobre) e la ripresa del tavolo, avvenuta lo scorso 18 novembre. Al termine di quest’ultimo incontro Urso ha spiegato che è stato preso l’impegno di «rivederci entro metà dicembre con delle soluzioni che noi pensiamo di poter mettere in campo per quella data». L’impianto è ritenuto «un asset strategico» e per il titolare del ministero vi è la possibilità di un «ulteriore confronto con il sistema bancario», per capire se aumentando il livello di copertura delle garanzie statali, «le banche sono disponibili a finanziare l’investimento». L’altra ipotesi è percorribile in sede europea: la deroga dell’embargo. Per Urso si tratta di «capire se è possibile utilizzare gli stessi strumenti concessi da altri Paesi europei che si sono trovati nelle stesse condizioni».

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