Il silenzioso lavoro dei parlamentari autonomisti

Sono poco noti, ma difendono gli interessi dei loro territori con gli emendamenti in Parlamento, accordandosi di volta in volta con il governo
Ansa
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Qualcuno di loro si definisce «esotico», alludendo alla sua provenienza e alla cadenza dell’italiano. Quasi mai sono intervistati sui giornali nazionali e di rado compaiono nei programmi televisivi di approfondimento politico. Probabilmente, un cittadino qualunque farebbe fatica a riconoscerli. Stiamo parlando dei deputati e dei senatori dei partiti autonomisti e delle minoranze linguistiche, politici che in Parlamento rappresentano gli interessi delle regioni a statuto speciale, in particolare delle province autonome di Trento e Bolzano, e della Valle d’Aosta.

Rappresentare a Roma gli interessi delle autonomie e delle minoranze linguistiche non è semplice: i parlamentari che rappresentano le autonomie locali sono pochi e raramente le loro proposte di legge sono esaminate. Questi deputati e senatori riescono comunque a difendere gli interessi delle loro comunità locali attraverso gli emendamenti ai decreti-legge del governo e ad accordi con la maggioranza parlamentare su singoli provvedimenti, posizionandosi da un punto di vista politico al di là delle divisioni tra governo e partiti di opposizione.

Chi sono i parlamentari autonomisti

In totale, i parlamentari dei partiti autonomisti e delle minoranze linguistiche sono nove. 

Alla Camera i deputati autonomisti sono cinque e fanno parte del gruppo Misto, che raccoglie i parlamentari non iscritti a nessun altro gruppo parlamentare. Tre deputati sono del Südtiroler Volkspartei (SVP), il principale partito della provincia autonoma di Bolzano, che rappresenta la comunità di lingua tedesca dell’Alto Adige: Manfred Schullian (che è anche presidente di tutto il gruppo Misto), Renate Gebhard e Dieter Steger. L’altro deputato delle minoranze linguistiche è Franco Manes, che è stato eletto nel collegio uninominale della Valle d’Aosta come candidato indipendente di una coalizione progressista formata tra gli altri dal Partito Democratico e dall’Union Valdôtaine, il principale partito autonomista della Valle d’Aosta. Il quinto deputato autonomista è Francesco Gallo, eletto nel collegio uninominale di Messina nelle liste di “Sud Chiama Nord”, il partito autonomista siciliano guidato dall’ex sindaco di Messina Cateno De Luca. 

Al Senato i parlamentari autonomisti sono quattro e fanno parte del gruppo “Per le autonomie”, e non del gruppo Misto. I senatori Julia Unterberger e Meinhard Durnwalder rappresentano il SVP, mentre Luigi Spagnolli e Pietro Patton sono stati eletti con il centrosinistra rispettivamente nei collegi uninominali di Bolzano e di Trento. Al Senato per creare un gruppo autonomo bastano sei senatori: i quattro senatori autonomisti sono riusciti a creare un loro gruppo indipendente grazie alle adesioni dei senatori a vita Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo.
Immagine 1. I parlamentari dei partiti autonomisti in occasione del confronto tra i gruppi parlamentari e il governo sulle riforme costituzionali, 9 maggio 2023. Da sinistra a destra: Franco Manes, Renate Gebhard, Julia Unterberger e Manfred Schullian – Fonte: Ansa
Immagine 1. I parlamentari dei partiti autonomisti in occasione del confronto tra i gruppi parlamentari e il governo sulle riforme costituzionali, 9 maggio 2023. Da sinistra a destra: Franco Manes, Renate Gebhard, Julia Unterberger e Manfred Schullian – Fonte: Ansa

Né di destra, né di sinistra

Rispetto al governo Meloni e all’opposizione, i parlamentari che rappresentano le minoranze linguistiche e le autonomie si pongono di solito su una posizione “terza”. In generale questi parlamentari si astengono sul voto di fiducia: non votano né a favore né contro il governo. 

«Normalmente cerchiamo di rimanere fuori dai blocchi e di trovare un punto di discussione con tutti i governi che sono al potere in un determinato momento storico», ha spiegato a Pagella Politica Manfred Schullian, deputato del SVP da oltre dieci anni. «Non siamo né in maggioranza né in opposizione, anche se della maggioranza abbiamo comunque bisogno come interlocutore per far valere i nostri interessi».

Schullian è stato eletto per la prima volta alla Camera nel 2013 ed è alla sua terza legislatura di fila come deputato. Avvocato cassazionista e produttore di vini, Schullian è stato rieletto alle elezioni politiche del 2022 nel collegio uninominale Bolzano, dove il SVP ha ottenuto oltre il 30 per cento dei voti, superando sia la coalizione di centrodestra sia quella di centrosinistra. 

Questo approccio è condiviso dal deputato Franco Manes. «Direi che in Parlamento per me il detto Ni droite-Ni gauche (in italiano “né destra-né sinistra) è all’ordine del giorno se si vogliono portare a casa dei risultati per le autonomie», ha detto Manes, alla sua prima legislatura come deputato. Dal 2010 al 2022 Manes è stato sindaco di Doues, un comune della Valle d’Aosta di circa 500 abitanti. «Seppur eletto in Valle d’Aosta all’interno di una coalizione autonomista, progressista e di centro, ho compreso in questi mesi che se sei un’autonomista tutte le forze politiche nazionali presenti alla Camera non ti considerano né di maggioranza e né di minoranza», ha spiegato il deputato valdostano. «Per cui spesso mi trovo a votare trasversalmente gli atti che vengono presentati secondo coscienza, nell’esclusivo interesse della mia regione e non solamente per un posizionamento ideologico, anche perché ritengo che l’attuale livello di scontro ideologico fine a sé stesso rappresenti il vero limite del nostro Paese e del lavoro parlamentare». 

A maggio 2023 Manes, così come Schullian, ha votato a favore del decreto-legge del governo Meloni per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. A luglio dello stesso anno i due deputati hanno invece votato contro il disegno di legge della maggioranza per rendere la maternità surrogata un reato universale. A gennaio 2024 Manes ha anche votato contro la ratifica dell’accordo tra Italia e Albania per la costruzione di centri per l’accoglienza dei migranti nel Paese balcanico, mentre Schullian si è astenuto.

C’è chi dice no

Il rapporto con il governo Meloni, e in particolare con il principale partito che lo sostiene, Fratelli d’Italia, non è comunque semplice per tutti i parlamentari autonomisti. «Io sono decisamente contrario a questo governo, perché a differenza dei colleghi del SVP, che hanno adottato la linea dell’astensione, io sono decisamente all’opposizione. E non potrei non esserlo, visto che sono stato eletto in una coalizione di centrosinistra», ha raccontato a Pagella Politica Pietro Patton, senatore eletto come indipendente nel collegio uninominale di Trento e sostenuto da un’ampia coalizione, che comprendeva il Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Più Europa, Azione-Italia viva e il partito autonomista della provincia di Trento “Campobase”, il cui fondatore è Lorenzo Dellai, ex deputato e presidente della Regione Trentino Alto-Adige. 

Le eccezioni ci sono anche all’interno del SVP. «Seppure il mio partito ha deciso di astenersi sul voto di fiducia a questo governo, tranne nella prima occasione, ho sempre votato contro la fiducia, perché non condivido la linea politica del governo Meloni, e soprattutto la gestione dell’immigrazione, la politica sui diritti civili e un certo negazionismo climatico», ha spiegato a Pagella Politica la senatrice del SVP Julia Unterberger, presidente del gruppo “Per le autonomie” al Senato. Unterberger è senatrice dal 2018 e si definisce di sinistra.  

Il SVP è un partito articolato e trasversale, con varie anime al suo interno, dai moderati ai progressisti. Sin dalla sua nascita, avvenuta nel 1945, queste anime hanno convissuto grazie a un unico collante: la tutela degli interessi della comunità di lingua tedesca dell’Alto Adige. Nonostante la sua trasversalità, il SVP fa parte del Partito Popolare Europeo (PPE), che raggruppa a livello europeo i partiti moderati e di ispirazione cristiana. In vista delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, il SVP ha stretto un accordo con Forza Italia per consentire la rielezione del parlamentare europeo altoatesino Herbert Dorfmann.

Per anni il SVP ha avuto la maggioranza nel consiglio provinciale della provincia autonoma di Bolzano, e fino al 2018 è stato alleato con i partiti di centrosinistra a livello locale. Lo statuto della provincia autonoma di Bolzano prevede infatti che nella giunta provinciale ci sia una rappresentanza anche di partiti del gruppo linguistico italiano. Alle elezioni provinciali del 2018 in Alto Adige c’è stata una netta crescita della Lega, che ha raggiunto il l’11 per cento dei voti. Fino a quel momento il partito di Matteo Salvini non era mai riuscito a superare il 10 per cento nella provincia autonoma di Trento. Così il SVP si è alleato con la Lega per riconfermare come presidente della provincia uno dei suoi esponenti di punta, Arno Kompatscher, che nella precedente legislatura in Alto Adige era stato sostenuto invece da una coalizione formata da SVP e Partito Democratico. Alle elezioni provinciali del 2023 c’è stata poi la netta crescita di Fratelli d’Italia, che è passata dall’1 per cento dei voti del 2018 a quasi il 6 per cento. Allo stesso tempo, pur rimanendo saldamente il primo partito in Alto Adige, l’Svp ha subito un calo rispetto alla tornata precedente, e per poter governare ha stretto un accordo a livello locale con il partito di Meloni.
Immagine 2. Il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher – Fonte: Ansa
Immagine 2. Il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher – Fonte: Ansa
L’accordo tra SVP e Fratelli d’Italia è stato criticato da molti in Alto-Adige perché, come ha spiegato a Pagella Politica la senatrice Unterberger, Fratelli d’Italia è «il nemico storico» del partito altoatesino. Il partito di Meloni non ha infatti mai rinnegato i suoi legami con il Movimento Sociale Italiano (MSI), il partito nato nel 1946 dai reduci del fascismo e della repubblica sociale italiana. Negli anni in cui è stato al potere in Italia, il fascismo portò avanti una forte repressione contro la minoranza di lingua tedesca in Alto Adige. Secondo un accordo tra Adolf Hitler e Benito Mussolini siglato nel 1939, gli abitanti di lingua tedesca e ladina dell’Alto Adige avrebbero dovuto scegliere se restare in Italia e “italianizzarsi”, rinunciando quindi alla propria cultura e alla propria lingua, o trasferirsi nei territori della Germania nazista, dove in cambio avrebbero ricevuto in teoria beni e immobili equivalenti alle loro proprietà. Da questo deriva la storica avversione del SVP per i partiti della destra italiana post-fascista, dal Movimento Sociale Italiano ad Alleanza Nazionale, fino per l’appunto a Fratelli d’Italia. In passato il partito di Meloni, così come la Lega in alcuni casi, hanno anche condotto varie battaglie in Alto-Adige, soprattutto contro l’uso del tedesco per definire le città e i comuni nella provincia autonoma, rivendicando l’uso dell’italiano o comunque della doppia denominazione.

Gli emendamenti

Al momento, secondo i parlamentari autonomisti, il governo Meloni si è dimostrato aperto al dialogo sui temi a loro più cari. «Sono contraria alla linea politica di questo governo, ma devo ammettere che Meloni, e soprattutto il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, sono molto attenti alle nostre richieste e questo gli va dato atto», ha raccontato Unterberger. Anche il deputato valdostano Manes ha detto a Pagella Politica che il rapporto con i partiti della maggioranza «è cordiale e proficuo», così come con quelli di opposizione. 

In Parlamento, complici i numeri ridotti, i deputati e i senatori autonomisti difendono l’interesse dei loro territori soprattutto con gli emendamenti. In base alle verifiche di Pagella Politica, dall’inizio della legislatura, ossia dal 13 ottobre 2022, a oggi i parlamentari autonomisti hanno presentato 72 progetti di legge, di cui solo quattro hanno iniziato l’esame nelle commissioni parlamentari di Camera e Senato. «Noi riusciamo a far valere le istanze del territorio inserendole nelle discussioni di altri provvedimenti più ampi, come i decreti-legge, attraverso emendamenti che chiedono per esempio di precisare meglio l’attuazione a livello locale di determinate norme», ha spiegato il senatore Patton. «Il classico emendamento che presentiamo è quello che prevede l’inserimento in una norma della cosiddetta “clausola di salvaguardia”, ossia una clausola con cui si afferma in sostanza che le nuove norme si applicano nel rispetto delle misure già previste dalle regioni a statuto speciale», ha aggiunto il senatore. «Questo lo presentiamo per esempio quando il Parlamento esamina magari provvedimenti sul turismo, sull’ambiente o sull’agricoltura, settori cui regioni a statuto speciale come il Trentino-Alto Adige hanno già una loro normativa speciale». 

Manes ha raccontato che di recente il gruppo delle minoranze linguistiche alla Camera ha fatto approvare [1] un emendamento al decreto “Pnrr quater” con cui è stata inserita una clausola di salvaguardia che tutela i progetti finanziati con fondi europei nelle regioni a statuto speciale. Nella revisione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), approvato a novembre 2023, il governo Meloni ha previsto il definanziamento di nove misure contenute nel Pnrr, da quelle per l’efficienza energetica a quelle sulla tutela del verde urbano, spostando le risorse su altre misure. Con la clausola inserita nel decreto “Pnrr quater” gli autonomisti hanno fatto in modo che i finanziamenti già assegnati alle regioni a statuto speciale per progetti definanziati siano comunque garantiti attraverso fondi statali. 

In passato alcuni emendamenti approvati dalle minoranze linguistiche hanno fatto parecchio discutere. Per esempio questo è avvenuto a settembre 2020, durante il secondo governo Conte, sostenuto da Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Liberi e Uguali. All’epoca Unterberger e gli altri tre senatori autonomisti erano riusciti a far approvare un emendamento al decreto “Semplificazioni”, grazie al quale nella provincia autonoma di Bolzano sarebbe bastata la conoscenza della lingua tedesca come unico requisito linguistico per essere medici o infermieri. Allo stesso tempo, negli ospedali pubblici si sarebbe comunque dovuta garantire la presenza di medici e infermieri di lingua italiana e tedesca.

L’emendamento degli autonomisti era stato criticato dall’ordine nazionale dei medici, che all’epoca aveva chiesto alla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati di eliminarlo una volta che il testo sarebbe arrivato in aula, cosa poi avvenuta. 

Con la legge di Bilancio per il 2021, il secondo governo Conte ha poi assecondato le richieste degli autonomisti, inserendo una norma in base alla quale per esercitare la professione di medico nella provincia autonoma di Bolzano basta la conoscenza dell’italiano o del tedesco, a patto però che in tutti gli ospedali sia garantito l’uso di entrambe lingue e che sia istituito un albo speciale dei medici di lingua tedesca, vincolandoli a esercitare la professione solo in Alto Adige.

L’accordo sulla riforma degli statuti speciali

Al di là dei risultati ottenuti con gli emendamenti, i parlamentari dei partiti autonomisti sperano che il governo Meloni mantenga le promesse fatte all’inizio del suo mandato. «Al momento del suo insediamento Meloni ci hanno fatto molte promesse, che speriamo siano mantenute. È anche sulla base di queste promesse che i miei colleghi non votano contro la fiducia a questo governo», ha spiegato la senatrice del SVP Unterberger.

La principale promessa che il governo Meloni ha fatto ai partiti autonomisti è quella di riformare gli statuti delle regioni a statuto speciale, un tema su cui da anni tutti gli autonomisti chiedono risposte dai vari governi. Nel 2001 è stata infatti approvata la riforma che ha modificato il Titolo V della Costituzione, quello sulle autonomie locali, e in particolare l’articolo 117. Prima della riforma, questo articolo attribuiva alle regioni solo competenze in materia molto specifiche e limitate, come la polizia locale, il turismo e la viabilità, la caccia, l’assistenza sanitaria ed ospedaliera. Tutte le altre erano in capo allo Stato. Al contrario, con la riforma del 2001, il nuovo articolo 117 stabilisce 17 competenze esclusive e trasversali dello Stato – dalla politica estera all’immigrazione, dalla difesa alla giustizia – e poi una serie di competenze concorrenti, su cui sia lo Stato sia le regioni possono intervenire. Tra queste ci sono per esempio i «rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni», il «commercio con l’estero», la «ricerca scientifica» e la «tutela della salute». L’articolo 117 lascia esplicitamente alle regioni il compito di legiferare su ogni altra materia che non rientra tra quelle statali e concorrenti. 

Questa riforma ha generato diversi problemi interpretativi in occasione dei giudizi della Corte Costituzionale sui ricorsi presentati dallo Stato contro le leggi regionali, in particolare quelle a statuto speciale. In diverse materie, dalla tutela della concorrenza a quella dell’ambiente, la Corte Costituzionale ha stabilito infatti la prevalenza della legge statale su quella delle regioni perché nell’articolo 117 le materie di competenza statale sono definite in modo generico. «Da anni chiediamo che gli statuti delle regioni a statuto speciale, e in particolare quello dell’Alto Adige, siano aggiornati e modificati per tenere conto della riforma del 2001 e definire con più precisione le materie di nostra competenza, per evitare che sia lesa la nostra autonomia», ha spiegato Unterberger. «Ora il governo Meloni si è detto disponibile a intraprendere questo percorso, ed è anche per questo che in Alto Adige il SVP ha accettato l’accordo di governo con Fratelli d’Italia».

Una strada non facile

Il 25 ottobre 2022, durante il suo primo discorso alla Camera sulla questione di fiducia, Meloni ha promesso che il tema delle autonomie locali sarebbe stato al centro dell’attività del governo. In particolare, Meloni ha promesso per l’appunto la riforma dello statuto per la provincia autonoma di Bolzano, per tutelare la particolare autonomia di questa zona secondo quanto stabilito negli accordi del 1946 tra l’allora ministro degli Esteri italiano Alcide De Gasperi e quello austriaco Karl Gruber, e la successiva decisione dell’Onu del 1992, con cui si chiusero i ricorsi dell’Austria contro l’Italia per la tutela della minoranza linguistica tedesca in Alto Adige. 

La riforma degli statuti speciali non sarà comunque semplice. Per modificare gli statuti delle regioni a statuto speciale non basta una legge del consiglio regionale, come previsto per le regioni a statuto ordinario, ma serve una legge costituzionale approvata dal Parlamento. In pratica, una regione a statuto speciale presenta una proposta di riforma dello statuto che deve essere approvata dalla Camera e dal Senato due volte nello stesso testo, a distanza di almeno tre mesi l’una dall’altra. Se nella seconda votazione entrambe le camere approvano il testo a maggioranza dei due terzi dei componenti, la proposta di riforma si considera definitivamente approvata, altrimenti può essere sottoposta a referendum popolare per confermarla. 

A ottobre 2023 i presidenti della regioni a statuto speciale hanno presentato a Meloni un disegno di legge di riforma dei loro statuti, e in seguito sono iniziate le riunioni tra i vari presidenti di regione e il ministro per gli Affari regionali Calderoli per arrivare a un testo condiviso. Al momento però in Parlamento non è stato presentato nessun testo di riforma complessiva degli statuti speciali. Finora, la Commissione Affari costituzionali della Camera ha concluso solo l’esame di una proposta di riforma dello statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia. Attualmente il Parlamento è impegnato nell’esame del disegno di legge sull’autonomia differenziata proposto dal governo Meloni, che stabilisce le condizioni in base alle quali le regioni a statuto ordinario possono chiedere un maggiore grado di autonomia allo Stato. Questo disegno di legge è stato approvato a gennaio dal Senato e ora è all’esame dell’aula della Camera per il via libera definitivo. 

In questi mesi, con il Friuli-Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano, il governo ha siglato anche una serie di accordi per lo sviluppo e la coesione, per la ripartizione dei fondi di coesioni destinati a colmare le disuguaglianze tra i territori. Accordi simili sono stati firmati anche con diverse regioni a statuto ordinario, ma non sono ancora stati siglati con Sicilia e Sardegna. 

[1] L’emendamento è il 44.01

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