Come non farsi ingannare dal rallentamento dell’inflazione

A ottobre i prezzi in Italia sono aumentati meno del 2 per cento rispetto a un anno fa: una percentuale così bassa non si vedeva da oltre due anni. Il merito non è del governo e il calo va letto con la dovuta cautela
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Il 31 ottobre Istat ed Eurostat hanno pubblicato i dati più aggiornati sull’andamento dell’inflazione in Italia e negli Stati dell’area euro. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, a ottobre 2023 i prezzi nel nostro Paese sono aumentati dell’1,8 per cento rispetto allo stesso mese di un anno fa: per la prima volta da oltre due anni l’inflazione è quindi scesa sotto la soglia del 2 per cento, percentuale considerata l’obiettivo di medio periodo per un’economia in buona salute. Il rallentamento dell’inflazione non sta riguardando solo l’Italia: secondo l’Istituto di statistica dell’Unione europea, infatti, a ottobre l’aumento dei prezzi nei Paesi che adottano l’euro è stato pari al 2,9 per cento rispetto a ottobre 2022. Questo dato è ancora sopra alla soglia del 2 per cento, ma è in miglioramento rispetto agli ultimi mesi: a settembre l’aumento su base annua era stato infatti pari al 4,3 per cento, mentre a ottobre 2022 al 10,6 per cento.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha commentato i dati sull’inflazione parlando di un «pieno e straordinario successo» del cosiddetto “carrello tricolore”, la misura con cui il governo ha bloccato i prezzi di alcuni prodotti per il trimestre dal 1° ottobre al 31 dicembre. Come già successo in passato, però, Urso dà al governo Meloni meriti che non ha. 

Le ragioni del calo

Per prima cosa ricordiamo che l’aumento dell’inflazione non è sempre un segnale negativo, anzi. Una crescita moderata dei prezzi, entro la già citata soglia del 2 per cento, indica un leggero sbilanciamento della domanda rispetto all’offerta: se il Prodotto interno lordo (Pil) sale, e quindi l’economia cresce, le persone tendono ad avere più risorse a disposizione, quindi a comprare di più. Visto che nel breve periodo l’offerta, ossia il numero di beni e servizi messi a disposizione dalle aziende, rimane più o meno fissa, i prezzi aumentano. Se i prezzi rimanessero sempre costanti, invece, sarebbe un segnale che l’economia è ferma.

Ma l’andamento dell’inflazione dipende spesso da fattori esterni all’azione del governo, sia quando cresce sia quando cala. La ragione principale per il forte rallentamento dell’inflazione a ottobre sembra essere dovuta proprio al mese di riferimento. Ottobre 2022 è stato il mese con l’aumento più alto dei prezzi nel corso della crisi inflattiva che stanno vivendo i Paesi europei, con livelli che non si registravano dagli anni Ottanta. Dato che l’inflazione è la variazione del livello generale dei prezzi da un periodo all’altro, anche un dato “normale” potrebbe risultare estremamente basso (o alto) se si prende come riferimento un outlier, ossia un dato straordinariamente alto (o basso). Per esempio questo è il caso della crescita del Pil registrata nel 2021: due anni fa l’economia è cresciuta dell’8,3 per cento rispetto al 2020, una percentuale molto alta che però era calcolata in riferimento al 2020, quando il Pil era crollato di circa il 9 per cento rispetto al 2019 a causa della pandemia di Covid-19.

A ottobre 2022 l’inflazione è stata particolarmente alta soprattutto a causa dell’aumento del prezzo dell’energia, che era aumentato di oltre il 70 per cento rispetto all’anno precedente. Proprio perché si era raggiunto un livello così alto, oggi il prezzo dell’energia risulta molto più basso rispetto a un anno fa: secondo Istat a ottobre il prezzo dei beni energetici regolamentati è calato del 17,7 per cento in un anno (-32,7 per cento per i non regolamentati, tra cui rientrano i carburanti per le auto e l’energia elettrica nel mercato libero). 

A testimonianza che il dato di ottobre 2023 sia misurato sulla base di un outlier c’è il fatto che tra settembre e ottobre di quest’anno il livello dei prezzi sia calato solo dello 0,1 per cento. Questo è un dato positivo, ma non giustifica da solo il crollo dell’inflazione dal +5,3 per cento registrato a settembre, rispetto a un anno prima, al +1,8 per cento registrato a ottobre.

L’inflazione bassa sarà la fine dei tassi alti?

Le politiche restrittive della Banca centrale europea (Bce), che da luglio 2022 a oggi ha aumentato dieci volte i tassi di interesse con cui presta soldi alle banche, hanno avuto un ruolo significativo nel ridurre l’inflazione. Lo stesso governo Meloni lo ha riconosciuto, scrivendo nell’ultimo Documento programmatico di bilancio (Dpb) che l’inflazione è continuata a rallentare negli scorsi mesi grazie al «calo dei prezzi dell’energia» e alla «postura restrittiva della politica monetaria».

Ora che il dato dell’inflazione è in calo verrebbe da pensare che un’inversione di tendenza sia prossima, con la fine del costante aumento dei prezzi. In realtà, per vari aspetti, l’inflazione continua a essere al di sopra dei livelli considerati ideali da un punto di vista economico. Innanzitutto va ricordato che l’inflazione di riferimento per la Bce è quella dei Paesi dell’area euro in generale, non quella dei singoli Paesi. Per esempio in Belgio a ottobre i prezzi sono addirittura calati, con un -1,7 per cento registrato rispetto a ottobre 2022. Questo non significa che ci sarà un intervento immediato per riportare l’inflazione al 2 per cento, anche se è verosimile che a breve l’inflazione al 2,9 per cento nei Paesi dell’area euro scenda effettivamente al di sotto della soglia fissa come obiettivo del 2 per cento. Ci dovremmo quindi aspettare un’azione immediata della Bce? No, perché resta ancora alta l’inflazione di fondo.

L’inflazione di fondo tiene conto dell’aumento dei prezzi di tutti i beni e servizi, tranne quelli dell’energia e degli alimenti. Il motivo è che queste due categorie di beni tendono ad avere un andamento molto più volatile, ossia variabile, rispetto alle altre. L’inflazione di fondo tiene conto dell’aumento dei prezzi che è davvero dovuto a movimenti strutturali nell’economia, non solo a fenomeni passeggeri come l’abbondanza o la scarsità di un raccolto o l’aumento dei prezzi dell’energia dovuto temporaneamente a qualche crisi internazionale.

L’inflazione di fondo indica in maniera più precisa il fenomeno di cui si parlava all’inizio dell’articolo: se c’è un eccesso di domanda, tenderanno a crescere i prezzi. Se però questo eccesso di domanda è troppo forte, l’economia si “surriscalda” e si rischia che l’aumento troppo rapido dei prezzi porti a distorsioni e alla perdita di punti di riferimento all’interno dell’economia stessa. Immaginate di possedere 100 euro e di sapere che oggi potete comprarci 100 biglietti dell’autobus, mentre domani potrebbero bastarvi per comprarne 50 oppure per comprarne 20. Un’alta inflazione di fondo è un problema sia per il potere d’acquisto sia perché è imprevedibile. Per “raffreddare” l’economia lo strumento più usato è l’aumento dei tassi di interesse, perché abbassa la domanda a causa del maggiore costo dell’indebitamento.

Oggi l’inflazione di fondo potrebbe essere ancora troppo alta per giustificare una riduzione dei tassi: in Italia a ottobre l’inflazione di fondo valeva il 4,2 per cento (era al 5,3 per cento un anno fa), mentre nei Paesi dell’area euro era al 4,3 per cento (5 per cento a ottobre 2022). Queste percentuali sono comunque in calo, motivo per cui il 26 ottobre la Bce ha fermato il rialzo dei tassi di interesse. Al momento sembra improbabile che nel breve periodo decida di iniziare ad abbassarli.

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