I fatti dietro la promessa: Berlusconi e l’inappellabilità delle assoluzioni

In che cosa consiste la proposta del leader di Forza Italia e perché rischia di essere incostituzionale
Pagella Politica
Il 17 agosto, il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi ha annunciato, in un video sui social, che «quando governeremo noi, le sentenze di assoluzione di primo e secondo grado non saranno assolutamente appellabili». Questa promessa non compare nel programma della coalizione di centrodestra presentato l’11 agosto, ma secondo fonti stampa ha ricevuto l’appoggio della Lega e di Fratelli d’Italia, alleati di Forza Italia.

In concreto, che cosa succederebbe se le sentenze di assoluzione non fossero più appellabili? Quali conseguenze costituzionali avrebbe la proposta di Berlusconi? Abbiamo fatto un po’ di chiarezza.

Di che cosa stiamo parlando

In assenza di una proposta dettagliata da parte di Forza Italia, è difficile stabilire con precisione i contorni della riforma promessa da Berlusconi. 

Un’interpretazione testuale di quanto detto dall’ex presidente del Consiglio suggerirebbe che se l’imputato viene assolto in primo grado, il pubblico ministero non potrà in alcun modo contestare la sentenza di assoluzione e il processo si concluderà con l’assoluzione. Un’altra possibilità è che il pubblico ministero non possa proporre un giudizio di appello contro una sentenza di assoluzione, ma possa proporre un ricorso in Cassazione. Ricordiamo infatti che mentre il secondo grado di giudizio è un nuovo esame della questione di merito, al centro del processo, il terzo grado in Cassazione è un giudizio di legittimità.

Questa seconda interpretazione sembra però in contraddizione con la seconda parte della frase pronunciata da Berlusconi il 17 agosto, quella secondo cui anche le sentenze di secondo grado di assoluzione saranno inappellabili. In questo caso ci sono pochi dubbi che si voglia impedire al pubblico ministero di promuovere un eventuale ricorso in Cassazione contro una sentenza di assoluzione pronunciata dal giudice di secondo grado. 

In ogni caso, una proposta di legge che impedisse all’accusa di fare appello contro una sentenza di assoluzione, sarebbe molto probabilmente destinata a essere bocciata per incostituzionalità. Questo è infatti quello che è accaduto 16 anni fa.

La sentenza della Corte costituzionale del 2007

Nel 2006, poco prima delle elezioni politiche che videro la vittoria del centrosinistra guidato da Romano Prodi, il governo uscente guidato dallo stesso Berlusconi approvò la legge n. 46 del 20 febbraio, nota anche come “legge Pecorella”, dal nome del suo promotore, l’allora deputato di Forza Italia Gaetano Pecorella. 

Questa legge stabiliva (art. 1) proprio l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione in primo grado, anche se veniva lasciata la possibilità di proporre entro 45 giorni ricorso in Cassazione. L’unica eccezione possibile all’inappellabilità era se, dopo l’assoluzione, fossero emerse prove nuove e decisive. Tale eccezione fu introdotta solo dopo che l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva rinviato la legge al Parlamento per sospetta incostituzionalità. 

In ogni caso, il principio dell’inappellabilità delle sentenze di assoluzione, insieme all’applicabilità della legge Pecorella agli appelli già presentati (art. 10, co.2), sono stati dichiarati incostituzionali dalla Corte costituzionale con la sentenza n.26 del 2007.

Secondo i giudici costituzionali, la legge Pecorella violava il principio di parità delle parti – accusa e difesa – nel processo, stabilito dall’articolo 111, comma 2, della Costituzione. Questo principio, spiegava allora la Corte costituzionale, non è totalmente rigido, per cui alcune ragionevoli e limitate dissimmetrie tra i poteri dell’accusa e quelli della difesa sono legittimi. Ma la legge Pecorella «racchiude una dissimmetria radicale», per cui se in primo grado la difesa soccombe, può chiedere un secondo giudizio di merito in appello, mentre se a soccombere è l’accusa, non le è consentita la medesima facoltà. Questa dissimmetria era sproporzionata e irragionevole, secondo i giudici, e quindi «eccede il limite di tollerabilità costituzionale».

In conclusione, o la proposta di Berlusconi, quando sarà maggiormente dettagliata, sarà sufficientemente diversa, e meno drastica, da quanto già stabilito in passato dalla legge Pecorella (ma il tenore letterale di quanto dichiarato dall’ex presidente del Consiglio sembra in realtà indicare il contrario), oppure sarà molto probabilmente destinata a essere nuovamente bocciata per incostituzionalità. 

Commentando la promessa fatta da Berlusconi, la senatrice della Lega Giulia Bongiorno ha dichiarato che «ovviamente, quando faremo la nostra legge, saremo attenti a tener conto di tutte le indicazioni della Corte costituzionale e segnaleremo tutte le criticità».

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