Non è chiaro se Azione ora deve raccogliere le firme per partecipare alle elezioni

Dopo la rottura con il Pd, il partito di Calenda è in una situazione complicata. Dall’alleanza con Italia viva alla corsa solo in alcuni circoscrizioni, ecco tre possibili scenari
ANSA/FABIO FRUSTACI
ANSA/FABIO FRUSTACI
L’8 agosto, dopo la rottura del patto elettorale con il Partito democratico, in un’intervista al Corriere della Sera il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha annunciato l’avvio delle operazioni di raccolta firme per presentare una lista autonoma alle elezioni politiche del 25 settembre, come previsto dalla legge per i partiti che alla fine del 2021 non avevano un gruppo parlamentare in nessuna delle due camere. 

Per riuscire a candidarsi autonomamente in tutti i collegi, Azione dovrebbe raccogliere almeno 56.250 firme in meno di due settimane, entro il 22 agosto: un’operazione già di per sé non scontata, e resa ancora più problematica dai tempi stretti e dal fatto che nelle settimane centrali di agosto molte persone sono in vacanza, e si trovano quindi lontano dal luogo di residenza da cui dovrebbero firmare. 

Finora Azione è stato esentato dall’obbligo grazie alla federazione con Più Europa, i cui vertici però sembrano intenzionati a rispettare l’alleanza con il Pd. Il partito di Calenda potrebbe comunque trovare un modo per aggirare l’obbligo di raccolta firme, sfruttando per esempio la partecipazione alle elezioni europee del 2019 oppure decidendo di federarsi con altre forze politiche. 

Al momento la situazione resta piuttosto incerta: abbiamo fatto il punto sui principali scenari possibili.

Che cosa prevede la legge sulla raccolta firme

In base alla legge attualmente in vigore, tra il 21 e il 22 agosto – quindi tra meno di due settimane – i partiti dovranno presentare alla Cancelleria della Corte di appello, o del tribunale del capoluogo regionale, le liste dei candidati scelti per i collegi uninominali e plurinominali. 

Per poter partecipare alle elezioni in tutte le circoscrizioni, i partiti devono presentare un minimo di 750 firme in ognuno dei 49 collegi plurinominali della Camera e in ognuno dei 26 collegi plurinominali del Senato, per un totale di 56.250 firme (36.750 per la Camera e 19.500 per il Senato). Inoltre, gli elettori possono firmare soltanto per la circoscrizione in cui risiedono, e la validità delle firme deve essere poi certificata da notai, giudici di pace, sindaci o altre autorità.

Non tutti i partiti sono però obbligati a raccogliere le firme. In particolare, la legge esclude dalla raccolta i partiti che avevano un gruppo parlamentare all’inizio della legislatura in entrambe le camere e i partiti delle minoranze linguistiche che hanno ottenuto almeno un seggio alla Camera o al Senato alle elezioni politiche del 2018. Di fatto, questo esclude dall’obbligo molti dei principali partiti politici, come il Pd, il Movimento 5 stelle, la Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, che all’inizio della legislatura avevano già costituito un proprio gruppo parlamentare sia alla Camera sia al Senato. In più, sono esentati anche gli autonomisti della Südtiroler Volkspartei (Svp) e del Partito autonomista trentino tirolese (Patt), che insieme avevano ottenuto due seggi alla Camera nel 2018 e quelli dell’Union valdôtaine (Uv), il partito autonomista della Valle d’Aosta, che avevano ottenuto un seggio al Senato.  

Le norme relative alla raccolta firme sono state modificate a maggio 2022, quando un emendamento al cosiddetto decreto “Elezioni” proposto dai deputati Riccardo Magi (Più Europa) ed Enrico Costa (Azione) ha esentato dall’obbligo di raccolta firme anche altre forze politiche, tra cui quelle che avevano creato un gruppo parlamentare entro il 31 dicembre 2021 anche in una sola delle due camere (come Italia viva, che è nato come gruppo parlamentare alla Camera il 19 settembre 2019), e quelle che avevano partecipato con il proprio simbolo alle elezioni politiche del 2018 o alle ultime elezioni europee del 2019 in almeno due terzi delle circoscrizioni, a patto che abbiano ottenuto almeno un seggio oppure abbiano ottenuto almeno l’1 per cento dei voti. Quest’ultimo è il caso per esempio di Più Europa: il partito fondato da Emma Bonino si è presentato alle elezioni politiche del 2018 all’interno della coalizione di centrosinistra e, pur senza riuscire a eleggere nessun parlamentare, ha comunque ottenuto il 2,56 per cento dei voti alla Camera e il 2,37 per cento al Senato

Dunque, se Azione continuasse a formare un’unica lista con il simbolo di Più Europa, non sarebbe tenuto a raccogliere le firme per le prossime elezioni. Se invece Più Europa  confermasse di voler rimanere al fianco del Pd nella coalizione di centrosinistra, rompendo definitivamente la federazione con Azione, per il partito di Calenda si aprirebbero tre scenari differenti.

Le elezioni europee e il simbolo di “Siamo europei”

Secondo alcune fonti stampa, come l’agenzia di stampa parlamentare Public Policy, Azione potrebbe essere esentato dalla raccolta firme perché alle elezioni europee del 2019 Calenda è stato eletto al Parlamento europeo con la lista “Pd – Siamo europei”. 

Quest’ultima era nata il 26 aprile 2019 dall’alleanza tra il Partito democratico e alcuni movimenti civici di centrosinistra. La lista era stata ispirata da “Siamo europei”, un manifesto politico lanciato a gennaio del 2018 dallo stesso Calenda – all’epoca iscritto al Pd – per la costruzione di una lista europeista e riformista unitaria e alternativa sia ai partiti sovranisti, come la Lega e Fdi, sia a quelli populisti, come il M5s. Il logo di “Siamo europei” è poi entrato a far parte del simbolo della lista, insieme a quello del Pd e a quello del Partito socialista europeo. 

Dopo le elezioni europee, mentre era ancora iscritto al Pd, Calenda aveva espresso l’intenzione di trasformare il movimento “Siamo europei” in un vero e proprio partito. L’idea si è concretizzata il 21 novembre 2019 quando Calenda, una volta uscito dal Pd, ha trasformato “Siamo europei” in Azione. Quest’ultima sarebbe dunque la continuazione naturale del movimento che aveva presentato il suo simbolo nella stessa lista del Pd alle elezioni europee di tre anni fa, eleggendo tra gli altri lo stesso Calenda come eurodeputato.  

Ci sono però alcuni dubbi sulla possibilità che Azione venga esonerata dalla raccolta firme grazie a questo collegamento con “Siamo europei”: l’8 agosto, lo stesso leader di Azione, intervistato dal Corriere della Sera, ha detto che uno dei suoi obiettivi sarà «cercare di avere chiarezza sulla questione del logo». Come detto in precedenza, la normativa in vigore prevede l’esonero dalla raccolta firme per alcuni partiti e gruppi politici che si sono presentati alle elezioni europee del 2019, ma non chiarisce se questi soggetti debbano essersi presentati con una lista autonoma o anche in una lista formata insieme ad altri partiti, come nel caso di “Siamo europei”.  

Su questa questione, Pagella Politica ha contattato l’ufficio stampa del Ministero dell’Interno, che per il momento ha preferito non esprimere un parere sulla vicenda. 

L’ipotesi di un accordo con Italia viva 

In alternativa, Azione potrebbe formare un’unica lista con Italia viva che, avendo formato un gruppo parlamentare alla Camera prima del 31 dicembre 2019, è esonerata dall’obbligo di raccolta firme. 

L’ipotesi non è irrealistica, anzi: il 7 agosto, durante la sua intervista a Mezz’ora in più, Calenda ha dichiarato (min. -4:10) di essere pronto a parlare con il leader di Iv, Matteo Renzi, per un eventuale accordo elettorale. L’idea è stata confermata dal segretario di Azione il giorno successivo, nella sua intervista al Corriere della Sera

Dal canto suo, da tempo Renzi si dice disponibile per un confronto con Calenda, con l’obiettivo di costruire un “terzo polo” alternativo al centrodestra e al centrosinistra. Il 7 agosto, dopo la rottura del patto tra Calenda e il Pd, Renzi ha rilanciato la proposta con un tweet: «Tra tante difficoltà, internazionali e domestiche, ora è il momento della Politica con la P maiuscola. Abbiamo una opportunità straordinaria #TerzoPolo».

Candidature mirate

Se non dovesse ottenere l’esenzione dalla raccolta firme grazie a “Siamo europei” e non trovasse nemmeno un accordo con Italia viva, per candidarsi Calenda sarebbe quindi costretto a raccogliere e presentare le firme. 

È bene comunque precisare che un partito non è obbligato a presentarsi in tutte le circoscrizioni, ossia le macroaree (corrispondenti a una regione o a una parte di essa) che a loro volta raccolgono i collegi uninominali e plurinominali in cui sarà suddivisa l’Italia alle prossime elezioni. In base alla legge, un partito si può presentare nelle sole circoscrizioni in cui è riuscito a presentare (articolo 18bis) delle candidature in almeno due terzi dei collegi plurinominali. Nel 2018, per esempio, il Partito comunista di Marco Rizzo aveva presentato le sue liste in 16 circoscrizioni su 28 alla Camera e 13 circoscrizioni su 20 al Senato

Complici i tempi stretti per la raccolta firme, che scade il 22 agosto, Azione potrebbe quindi puntare a raccogliere le sottoscrizioni solo in alcune zone del Paese, candidandosi quindi solo in determinate circoscrizioni. L’8 agosto, per esempio, con una serie di tweet Calenda ha risposto al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti (Pd) affermando: «Ci incontreremo sul campo uninominale di Roma».

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