Il 15 febbraio, ospite a Non stop news su Rtl 102.5, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è tornata (min. 18:00) sulla questione delle concessioni balneari, che da anni i governi italiani continuano a prorogare nonostante vadano messe a gara in base alla cosiddetta “direttiva Bolkestein” dell’Unione europea. Negli ultimi giorni il tema è tornato di attualità perché l’esecutivo guidato da Mario Draghi sta cercando una soluzione all’annoso problema, dopo che lo scorso autunno il Consiglio di Stato (l’organo di ultima istanza della giustizia amministrativa) ha stabilito che le concessioni balneari non potranno più essere prorogate senza gara dopo il 2023.

Meloni si è schierata contro questa ipotesi, sostenendo che in base alla direttiva Bolkestein la messa a gara delle concessioni «vada fatta quando c’è scarsità del bene». Secondo la presidente di Fratelli d’Italia, questo non varrebbe per le concessioni balneari, visto che il nostro Paese ha a disposizione «decine di migliaia di chilometri di costa che non sono sottoposte a concessione», da poter «tranquillamente mettere» a gara.

Il dato citato da Meloni è fortemente esagerato e per una serie di motivi, presi tra l’altro in considerazione dagli stessi giudici del Consiglio di Stato, non è vero che i tratti di costa liberi e cedibili in concessione sono molti.

– Leggi anche: Meloni sbaglia: la Bolkestein si applica alle concessioni balneari

Che cosa dice la direttiva Bolkestein

La cosiddetta “direttiva Bolkestein” è la direttiva 2006/123/Ce dell’Unione europea, approvata nel 2006 con l’obiettivo di promuovere la parità di professionisti e imprese nell’accesso ai mercati dell’Ue. Da anni l’Italia non applica questa direttiva alle concessioni balneari (e non solo), e per questo è stata condannata in due occasioni dalle istituzioni europee.

Tra la altre cose, l’articolo 12 della direttiva stabilisce che «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili», gli Stati dell’Ue devono avviare una procedura di selezione tra i candidati a cui affidare le autorizzazioni, seguendo principi di imparzialità e trasparenza.

Dunque è vero che nella direttiva Bolkestein è presente un riferimento alla «scarsità» dei beni o servizi da mettere a gara. Ma è vero, come sostiene Meloni, che sul fronte delle concessioni balneari non c’è scarsità, visto che «in Italia ci sono decine di migliaia di chilometri di costa che non sono sottoposte a concessione»?

I dati sulle coste italiane

Un dato mostra subito come la dichiarazione di Meloni non sia supportata dai fatti. Secondo i dati Istat più aggiornati, nel complesso le coste italiane sono lunghe 8.970 chilometri, una cifra già da sola parecchio inferiore alle «decine di migliaia di chilometri di costa» di cui parla la presidente di Fratelli d’Italia.

In secondo luogo, non tutti i quasi 9 mila chilometri di costa sono in prossimità di acque balneabili, ossia aree nelle quali le autorità prevedono che un congruo numero di persone possa praticare la balneazione e non vi siano divieti permanenti. Secondo le elaborazioni più recenti di Istat, su dati del Ministero della Salute, nel 2019 è risultato balneabile il 65,5 per cento della lunghezza complessiva della costa italiana. Stiamo parlando dunque di quasi 5.900 chilometri di coste balneabili.

Inoltre, ovviamente queste non sono tutte, per così dire, “spiagge libere”, anche se su questo punto non è semplice trovare statistiche aggiornate, complete e pubbliche. Esistono comunque alcune stime. Per esempio, secondo le elaborazioni di Legambiente, condotte su dati del Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, in Italia le coste sabbiose sono lunghe circa 3.400 chilometri e quasi il 43 per cento di queste è occupato da stabilimenti balneari, con ampie differenze tra regioni.

Questo non significa che le coste rimanenti possano essere tutte a concessione, come auspica Meloni. Per esempio, secondo le elaborazioni di Legambiente sui dati del Ministero della Salute, quasi l’8 per cento del totale delle coste sabbiose non è utilizzabile, perché composto da aree in cui si trova la foce di un fiume o dove la balneazione è interdetta per motivi di inquinamento. Inoltre, alcune regioni hanno fissato una percentuale di quota minima delle proprie coste che deve essere per forza destinata alle spiagge libere.

Che cosa dice la sentenza del Consiglio di Stato

Una parte di queste prove – dai vincoli posti da alcune regioni alla percentuale di spiagge sabbiose occupate da stabilimenti – è stata utilizzata anche da Consiglio di Stato nella sua sentenza del 9 novembre 2021, in cui ha stabilito che dal 2024 le concessioni balneari andranno messe a gara. O, detta altrimenti, ha chiarito perché sulle concessioni di questo tipo si applica il già citato articolo 12 della direttiva Bolkestein.

Secondo la sentenza, ad oggi le aree demaniali marittime che possono essere messe a disposizione di nuovi operatori economici sono «caratterizzate da una notevole scarsità, ancor più pronunciata se si considera l’ambito territoriale del comune concedente o comunque se si prendono a riferimento porzioni di costa ridotte rispetto alla complessiva estensione delle coste italiane». Questo vale a maggior ragione, hanno scritto i giudici, «alla luce della già evidenziata capacità attrattiva delle coste nazionali e dell’elevatissimo livello della domanda in tutto il periodo estivo».

I giudici hanno anche aggiunto che «in alcuni casi» le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono «addirittura inesistenti, perché è stato già raggiunto il – o si è molto vicini al – tetto massimo di aree suscettibile di essere date in concessione».

Il verdetto

Secondo Giorgia Meloni, la direttiva Bolkestein non si applica alle concessioni balneari perché queste ultime non riguardano un bene scarso, essendoci in Italia «decine di migliaia di chilometri di costa che non sono sottoposte a concessione».

Non è così: nel complesso le coste italiane sono lunque meno di 9 mila chilometri. Di queste, sono balneabili circa il 65 per cento. Inoltre quasi la metà delle spiagge sabbiose è già data in concessione e alcune regioni hanno fissato limiti minimi di spiagge che devono essere libere. Sulla base di questi numeri, a novembre scorso il Consiglio di Stato ha stabilito che le risorse naturali a disposizione per le concessioni balneari sono «scarse», se non «addirittura inesistenti».

In conclusione, Meloni si merita un “Pinocchio andante”.