L’8 giugno il segretario di Sinistra italiana (Si) Nicola Fratoianni ha criticato su Facebook le misure previste dal “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (Pnrr) – noto anche con il nome di Recovery plan – per la transizione ecologica. Secondo Fratoianni, solo il «16 per cento» delle risorse messe in gioco dall’Italia sarà utilizzato per «ridurre realmente la nostra impronta ecologica», a fronte del 23 per cento della Francia, il 31 per cento della Spagna e il 38 per cento della Germania. L’Unione europea inoltre chiederebbe che la percentuale sia pari «almeno al 37 per cento».

Il Pnrr è al centro del dibattito politico ormai da mesi. In questo documento, presentato dal governo Draghi alla Commissione europea il 30 aprile scorso, il governo ha spiegato come intende spendere gli oltre 200 miliardi di euro messi a disposizione dell’Italia dall’Unione europea con il Next generation Eu, un fondo pensato per supportare la ripresa economica degli Stati membri.

Come vedremo, l’Ue ha chiesto agli Stati beneficiari di prestare particolare attenzione ai temi dell’ambiente e della transizione ecologica, che infatti compaiono nei programmi di spesa presentati da tutti i governi.

Ma davvero il piano italiano destina solo un sesto delle risorse a politiche ambientali ed è il «meno verde» rispetto a quello degli altri grandi Paesi europei? Abbiamo verificato: i numeri citati da Fratoianni hanno un fondamento, arrivano da un’analisi di un’organizzazione privata ma non corrispondono alle stime ufficiali. Vediamo i dettagli.

Che cos’è il Green recovery tracker

Partiamo dalla fonte delle percentuali indicate da Fratoianni. I dati citati dal segretario di Si su Facebook provengono dal Green recovery tracker, un progetto gestito dal Wuppertal Institute, un centro di ricerca tedesco specializzato in tematiche ambientali, e daE3G – Third Generation Environmentalism, un think tank europeo indipendente che si occupa di cambiamenti climatici. Il progetto non è affiliato all’Unione europea o ad altri enti governativi e, per quanto potenzialmente accurato, non ha valenza istituzionale. Inoltre, le valutazioni effettuate si riferiscono a iniziative e progetti solo preventivati ma non ancora messi in pratica: le loro conseguenze non sono al momento misurabili, e i risultati ottenuti inevitabilmente dipendono anche da fattori soggettivi e qualitativi (ci torneremo più avanti).

Gli esperti che collaborano con il sito hanno analizzato i piani nazionali presentati alla Commissione europea dai diversi governi per accedere alle risorse del Recovery and resilience facility (Rrf), il fondo più consistente del Next generation Eu, concentrandosi sul loro potenziale impatto ambientale. Il report italiano è stato curato da Matteo Leonardi e Francesca Bellisai, ricercatori del think-tank indipendente Ecco dedicato al clima e all’energia, e da Felix Heilmann di E3G.

Alle misure proposte dai governi il Green recovery tracker assegna un punteggio su una scala che va da “molto positivo” e “positivo”, per le iniziative a vantaggio dell’ambiente, a “negativo” o “molto negativo”, per le iniziative che supportano invece l’utilizzo dei combustibili fossili o politiche considerate dannose per l’ambiente.

Oltre a questi quattro punteggi il Green recovery tracker aggiunge anche una quinta valutazione per le misure che non hanno conseguenze immediate sull’ambiente, e una sesta per quelle che potrebbero avere un impatto ecologico, sia positivo che negativo, al momento impossibile da valutare con i dati disponibili.

La metodologia adottata dal Green recovery tracker per stimare la spesa complessiva destinata alla transizione ecologica somma il 100 per cento dei fondi previsti per misure che ricevono come valutazione “molto positivo” al 40 per cento di quelli destinati a misure considerate soltanto “positive”. Le altre misure non vengono conteggiate.

L’utilizzo di coefficienti pari al 100, 40 o zero per cento per decidere il valore effettivo degli investimenti rivolti a tematiche green segue la metodologia stabilita dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea nell’Allegato 6 del regolamento del Recovery and resilience facility. Questa stessa metodologia è quindi stata utilizzata anche dai governi nazionali che però, come vedremo, sono spesso giunti a conclusioni diverse rispetto a quelle del Green recovery tracker.

Nel documento istitutivo del Recovery and resilience facility si legge inoltre che le misure previste dai piani nazionali «dovrebbero contribuire alla transizione verde, compresa la biodiversità, o alle sfide che ne derivano», e le iniziative di questo tipo devono costituire «almeno il 37 per cento» dei fondi totali ricevuti, come affermato da Fratoianni.

In base a questi criteri il Green recovery tracker ha revisionato (al 10 giugno) i piani presentati da 17 Paesi per valutarne l’impatto ambientale e la percentuale di fondi destinati a progetti green, ottenendo le percentuali citate da Fratoianni. Come anticipato, almeno per quanto riguarda i principali Paesi europei queste stime risultano inferiori rispetto a quanto affermato dai governi nazionali (ci torneremo tra poco). Andiamo con ordine.

I numeri del Green recovery tracker

Secondo il Green recovery tracker – che, lo ricordiamo, non ha valenza istituzionale – sui 191,5 miliardi in arrivo con la Rrf il Pnrr presentato dal governo di Mario Draghi lo scorso 30 aprile destina 19 miliardi di euro a misure “molto positive”, nettamente a favore dell’ambiente, e altri 27,6 miliardi a misure “positive”. Rientrano nel primo gruppo, per esempio, il rafforzamento della “smart grid” (le infrastrutture di distribuzione di energia elettrica) e lo sviluppo di infrastrutture di ricarica elettrica. Sono invece valutate come “positive” la riqualificazione degli istituti scolastici e il miglioramento dell’efficienza energetica in cinema, teatri e musei.

Mentre delle prime viene conteggiato il 100 per cento dei fondi investiti, come spiegato, le misure “positive” vengono incluse nella somma finale solo per il 40 per cento, che corrisponde a 11 miliardi. Sommando questi ai 19 miliardi di iniziative completamente green otteniamo un totale di 30 miliardi: il 15,7 per cento del totale di 191,5 miliardi di euro ricevuti dall’Italia tramite la Rrf, un dato in linea con il 16 per cento citato da Fratoianni.

Il Green recovery tracker ha poi analizzato le misure contenute nel complesso dei 235 miliardi di euro mobilitati dal Pnrr italiano, aggiungendo quindi a quelle finanziate tramite i 191,5 miliardi di euro del Rrf gli 11 miliardi in arrivo con il programma europeo React-Eu e i 30 miliardi del “fondo complementare”, non finanziato dall’Ue ma direttamente dall’Italia. In questo caso, considerando la spesa complessiva preventivata dal nostro Paese, la percentuale destinata alla transizione ecologica scende al 13 per cento.

Ci sono poi rispettivamente 66,7 miliardi (considerando tutti i fondi) e 49,5 miliardi (per le sole risorse del Rrf) destinati a iniziative che, secondo il Green recovery tracker, potrebbero generare un impatto ambientale, sia positivo che negativo, impossibile da stimare al momento. In questa categoria rientrano per esempio i fondi investiti per lo sviluppo del biometano o le misure che favoriscono la transizione digitale.

I due dati relativi al peso degli investimenti green sui fondi del Rrf e su quello delle risorse totali non sono disponibili per tutti i Paesi analizzati dal Green recovery tracker.

Se guardiamo al totale dei fondi mobilitati dagli Stati, considerando quindi sia quelli europei che quelli nazionali, il sitoha calcolato che la Francia ha in programma di investire in misure relative alla transizione ecologica il 23 per cento del totale dei suoi fondi, pari a circa 93 miliardi di euro, e la Germania il 21 per cento (su 140 miliardi). Come detto, la percentuale italiana è del 13 per cento.

Tra i Paesi citati i dati relativi ai soli fondi del Rrf sono disponibili – oltre che per l’Italia – solo per Germania, che effettivamente ne investe il 38 per cento in misure ecologiche, il dato citato da Fratoianni.

Infine per quanto riguarda la Spagna, il Green recovery tracker ha analizzato il programma presentato dal governo di Pedro Sanchez ad aprile 2021, che per il periodo 2021-2023 ha in programma di utilizzare 69,5 miliardi di euro in arrivo come sussidi europei. Le due possibilità analizzate dal sito – risorse europee e nazionali nel complesso, o risorse del solo Rrf – quindi coincidono, e la Spagna investe il 31 per cento in iniziative ambientali.

Ricapitolando: Fratoianni fa confusione. Secondo il Green recovery tracker l’Italia e la Germania investono rispettivamente il 16 per cento e il 38 per cento dei fondi europei in iniziative ambientali, mentre il 23 per cento della Francia è calcolato in base all’insieme dei fondi europei e delle risorse nazionali mobilitate dal Paese. Il dato della Spagna (31 per cento), infine, coincide con entrambe le possibilità perché ad aprile 2021 il Paese aveva intenzione di investire solo fondi in arrivo dal Rrf.

Se guardiamo a tutti i 17 Paesi fino ad ora analizzati dal Green recovery tracker, l’Italia risulta effettivamente essere quello con le percentuali più basse. Poco sopra di noi troviamo il Portogallo, che secondo il Green recovery tracker destina alla transizione ecologica il 17 per cento delle risorse del Rrf, e la Polonia con il 18 per cento.

Che cosa dicono i governi

Come abbiamo anticipato, queste percentuali non corrispondono a quelle citate dai governi nazionali. Per quanto riguarda l’Italia, per esempio, il governo Draghi ha dichiarato in una nota del 25 aprile 2021 che, nel complesso, «il 40 per cento» del Pnrr è dedicato «agli investimenti per il contrasto al cambiamento climatico».

Matteo Leonardi – co-founder del think tank Ecco e co-autore del report sull’Italia del Green recovery tracker – ha spiegato a Pagella Politica che, nel presentare i propri progetti alla Commissione europea, i governi utilizzano le regole stabilite dall’Ue e applicano quindi i coefficienti del 100, 40 o 0 per cento stabiliti dal già citato Allegato 6, proprio come fatto dal sito.

I risultati divergono però per ragioni qualitative: il Green recovery tracker ha fatto le proprie valutazioni in modo indipendente e alcune misure sono state giudicate in modo diverso rispetto a quanto deciso dai governi. Un esempio, ha spiegato Leonardi, è il cosiddetto “Superbonus”, l’incentivo introdotto dal decreto “Rilancio” che permette di detrarre il 110 per cento della spesa effettuata su lavori e ristrutturazioni edili volte all’efficientamento energetico. Per il periodo 2021-2023 la misura è finanziata con 13,95 miliardi del Pnrr (di cui circa 5 miliardi provenienti dal Fondo complementare, quindi da risorse proprie dell’Italia).

Il governo italiano ha valutato il Superbonus come misura estremamente favorevole all’ambiente, includendolo quindi «al 100 per cento» nei calcoli volti a misurare la spesa destinata a misure ecologiche. Il Green recovery tracker invece sostiene che questo non presenti standard energetici abbastanza alti per ricevere la valutazione di “molto positivo” ed è stato inserito nell’insieme di misure dall’impatto ambientale incerto, rimanendo quindi escluso dai calcoli finali. In generale, «alcune misure che il governo italiano ha considerato nel suo “budget clima”» non sono considerate «significative per la transizione energetica e per la decarbonizzazione» dalla metodologia usata dal Green recovery tracker, ha detto Leonardi.

La situazione è simile negli altri principali Paesi europei: la Spagna del primo ministro socialista Pedro Sánchez ha dichiarato di destinare a iniziative ambientali il 39 per cento dei fondi totali (secondo il Green recovery tracker la percentuale è del 31 per cento), la Francia il 30 per cento dei fondi (contro il 23 per cento del Green recovery tracker) e la Germania il 40 per cento, un dato quest’ultimo non troppo dissimile dal 38 per cento stimato dal Green recovery tracker.

In ogni caso, l’ultima parola spetta alla Commissione europea che dovrà revisionare entro il 30 giugno i piani nazionali per assicurarsi che questi rispettino tutti i criteri necessari per permettere l’erogazione degli importi, tra cui anche la soglia minima del 37 per cento dei fondi da investire in iniziative dedicate alla transizione ecologica.

Ricordiamo comunque che nel corso degli ultimi mesi, e prima della presentazione ufficiale, il governo italiano ha collaborato con la Commissione europea per assicurarsi di redigere un programma in linea con le aspettative. Secondo Leonardi, infatti, la valutazione della Commissione sarà «fondamentalmente allineata a quella governo italiano».

Il verdetto

Il 9 giugno il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni ha detto che il Pnrr italiano è «il meno verde d’Europa», poiché «solo il 16 per cento delle risorse servirà davvero a ridurre la nostra impronta ecologica», a fronte del 23 per cento destinato dalla Francia, il 31 per cento dalla Spagna e il 38 per cento dalla Germania. L’Ue, invece, chiedeva che «almeno il 37 per cento» dei fondi fosse destinato a iniziative con impatto ambientale positivo.

Abbiamo verificato e le percentuali citate da Fratoianni hanno un fondamento: la fonte è il Green recovery tracker, un progetto di ricerca indipendente e non affiliato né all’Ue né ad altri enti governativi o istituzionali. Questo ha calcolato quante delle iniziative proposte dai vari governi europei nei rispettivi piani di ripresa avrebbero realmente conseguenze positive per l’ambiente.

Il Green recovery tracker applica la metodologia stabilita dall’Ue e utilizzata anche dai governi nazionali, ma valuta le misure in modo indipendente e quindi a volte diverso rispetto a questi ultimi. Per questo motivo, il sito raggiunge conclusioni diverse rispetto agli Stati membri. A questo contribuisce anche un certo grado di soggettività nelle valutazioni, inevitabile per misure che non sono ancora state messe in pratica e di cui quindi non si possono misurare le conseguenze.

Secondo il Green recovery tracker, infatti, l’Italia spenderebbe solo il 13 per cento dei fondi totali in misure green – mentre il 16 per cento citato da Fratoianni fa riferimento alla percentuale sui soli fondi del Rrf – la Francia il 23 per cento e la Spagna il 31 per cento. La Germania invece spenderebbe in materia ambientale il 21 per cento del totale dei fondi mobilitati, ma la percentuale sale al 38 per cento considerando solo quelli europei.

Ricordiamo che le stime del Green Recovery Tracker non hanno valenza istituzionale: l’ultima parola spetterà alla Commissione europea.

In conclusione, Fratoianni si merita un “Ní”.