Il 2 giugno il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli (Lega) ha commentato su Facebook la tragedia della funivia di Stresa, dove lo scorso 23 maggio una cabina è precipitata causando la morte di 14 persone. La procura di Verbania sta indagando sulla possibilità che i responsabili dell’impianto abbiano volutamente lasciato in azione un particolare dispositivo che disattiva i freni di emergenza, chiamato “forchettone”, in modo da evitare potenziali blocchi imprevisti ma, si pensava, non pericolosi. Le indagini sono ancora in corso, e le responsabilità individuali non sono chiare.

In ogni caso, secondo Calderoli la normativa europea attualmente in vigore non prevede l’obbligo per le funivie di installare freni di emergenza, e quindi i cosiddetti “forchettoni” «potrebbero anche non esserci».

Davvero l’Unione europea non impone agli impianti che gestiscono le funivie di installare un sistema di frenatura che si attivi in caso di emergenza? Abbiamo controllato: l’Unione prevede la presenza di almeno due sistemi frenanti nelle funivie, ma a questi l’Italia ne aggiunge un terzo. Vediamo i dettagli.

L’incidente sulla funivia del Mottarone

Ricostruiamo rapidamente gli eventi del 23 maggio, che occupano le prime pagine dei giornali da ormai più di una settimana. Poco dopo mezzogiorno una cabina con a bordo 15 persone si trovava a 1.385 metri d’altezza sulla funivia che collega la cittadina di Stresa, sul Lago Maggiore, con la cima del monte Mottarone, in Piemonte. La cabina era quasi arrivata alla fine del suo percorso quando la fune trainante si è rotta, per motivi ancora da identificare.

Semplificando, stiamo parlando della fune che ha il compito di trainare (pag. 7) la cabina verso le due stazioni di arrivo e partenza. L’altro elemento fondamentale è invece la fune portante, che sorregge la cabina durante tutto il percorso.

La cabina è quindi scivolata all’indietro sulla fune portante ed è precipitata, percorrendo parte del versante della montagna per poi fermarsi al suolo. Quattordici dei passeggeri sono morti e soltanto un bambino di cinque anni è sopravvissuto ed è attualmente ricoverato all’Ospedale Regina Margherita di Torino.

La procura di Verbania ha immediatamente aperto un’indagine per determinare la dinamica e le responsabilità degli eventi. Nel corso dei giorni successivi alla tragedia l’attenzione, sia della procura che della stampa, si è concentrata sulla mancata attivazione dei freni di emergenza, che avrebbero dovuto fermare la discesa anche dopo la rottura della fune e limitare così le conseguenze del guasto.

Secondo la versione presentata il 29 maggio da Gabriele Tadini, caposervizio della stazione, a partire dal 26 aprile – quando gli impianti hanno potuto riaprire dopo lo stop causato dalla pandemia di nuovo coronavirus – la funivia ha presentato diversi malfunzionamenti che facevano bloccare le cabine durante la corsa. Per evitare blocchi imprevisti, i gestori avrebbero quindi deciso di lasciare attivati i “forchettoni”, strumenti che bloccano i freni di emergenza. Questi dovrebbero essere utilizzati soltanto quando la funivia è vuota, per esempio in occasione di giri di controllo o di interventi di manutenzione.

Tadini ha accusato il direttore dell’impianto Enrico Perocchio e l’amministratore della società delle Ferrovie del Mottarone Luigi Nerini di essere a conoscenza del fatto che la funivia viaggiasse con i freni di emergenza disinseriti, ma i due hanno negato il coinvolgimento.

Ricordiamo che le indagini sono ancora in corso e, anche se le informazioni relative alla mancata attivazione dei freni di emergenza sembrano plausibili, le responsabilità non sono ancora state chiarite.

Che cosa dice l’Europa

Secondo Calderoli, «a livello europeo non è previsto l’obbligo dei freni di emergenza» per le funivie. Questa affermazione è sbagliata, ma bisogna comunque aggiungere che l’Italia impone un livello di sicurezza in più rispetto agli altri Paesi. Partiamo dalle leggi dell’Ue.

Il 9 marzo 2016 il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno approvato il Regolamento 2016/424, relativo proprio agli impianti a fune. Il regolamento è poi stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale italiana il 23 maggio 2016, ed è entrato in vigore il 21 aprile 2018. È valido per tutti gli impianti costruiti dopo questa data e per le modifiche che richiedono una nuova autorizzazione.

Al punto 4.2.3.3 dell’Allegato II, che indica i «requisiti essenziali» per il corretto funzionamento degli impianti a fune, si legge: «Su tutti gli impianti a fune, la frenatura deve essere ottenuta mediante due o più sistemi, ciascuno in grado di provocare l’arresto, e coordinati in modo da sostituire automaticamente il sistema in azione qualora la sua efficacia risultasse insufficiente». Inoltre, «l’ultimo sistema di frenatura dell’impianto a fune deve esercitare la sua azione il più vicino possibile alla fune di trazione». Sono esenti da queste disposizioni soltanto le sciovie, gli impianti generalmente utilizzati nelle piste da sci.

L’Unione europea quindi prevede che tutti gli impianti di funivie adibite al trasporto di persone abbiano almeno due sistemi di frenatura indipendenti e tali che, nel momento in cui uno dovesse smettere di funzionare, l’altro possa entrare immediatamente in azione. Non viene invece specificato quali sistemi di freni debbano essere impiegati.

L’eccezione italiana

Per conoscere nel dettaglio la situazione italiana relativa ai sistemi di frenatura nelle funivie abbiamo contattato l’Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef). La presidente Valeria Ghezzi ha confermato a Pagella politica che la normativa europea richiede la presenza di almeno due freni indipendenti in tutti gli impianti, ma a questi l’Italia aggiunge un terzo sistema di blocco che non è previsto «negli altri principali Paesi».

In Italia infatti le funivie devono infatti avere tre sistemi di frenatura: oltre ai due canonici, cioè il freno «ordinario» e quello di «emergenza», esiste anche un sistema di blocco che interviene proprio nel caso in cui si rompa la fune portante. Questo consiste in una «ganascia che si blocca sulla fune portante, rimasta intatta, e mantiene la cabina bloccata».

La norma è stata introdotta dal decreto-legge n.400 del 4 agosto 1988, che definisce il «regolamento generale recante norme per le funicolari aeree e terrestri in servizio pubblico destinate al trasporto di persone». Qui si legge (art. 18, comma 12) che la stazione motrice delle funivie deve necessariamente essere dotata di due sistemi frenanti, il freno di servizio e quello di emergenza, completamente distinti e indipendenti l’uno dall’altro.

All’articolo 24 viene poi specificato che, nel caso in cui l’impianto sia costituito da più tratti di fune, allora ogni carrello deve essere «munito di un freno a ganasce che interviene automaticamente» in caso di rottura delle funi o degli altri organi costituenti l’anello trattivo (così viene definita la fune traente, che è di fatto un “anello” tra le stazioni di partenza e di arrivo), per attivazione da parte dell’agente della funivia, o nel caso in cui dovesse rompersi uno degli elementi che costituiscono «la trasmissione del comando del freno».

Quest’ultima sistema, detto “freno sulla portante”, si ritrova anche in documenti più recenti, come il Regolamento di esercizio rilasciato dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit) nel 2019, e viene citato anche nel comunicato rilasciato dal Mit in seguito alla tragedia della funivia Stresa-Mottarone, dove si legge: «A seguito della rottura della fune traente la cabina, a causa del mancato intervento del freno sulla fune portante, dopo essere retrocessa velocemente lungo la via di corsa, ha urtato il pilone di sostegno ed è precipitata nel vuoto».

Ghezzi ci ha confermato che la presenza obbligatoria del freno sulla portante è prevista soltanto dalle normative italiane, ma «negli altri Paesi» l’azione di questo sistema è compensato con «altri tipi di controlli, più frequenti e ravvicinati sulle funi».

Ricapitolando: Calderoli è impreciso sui termini. Quello che nel suo post su Facebook definisce «freno di emergenza» è in realtà il freno sulla fune portante, obbligatorio solo in Italia. Il vero e proprio “freno di emergenza” invece è richiesto dalla normativa europea e quindi obbligatorio in tutti gli impianti.

Il verdetto

Il 2 giugno il senatore leghista Roberto Calderoli ha sostenuto, commentando la tragedia della funivia Stresa-Mottarone, che «a livello europeo non è previsto l’obbligo dei freni di emergenza» negli impianti di questo tipo. Questa affermazione è sbagliata ma, se allarghiamo lo sguardo, nasconde comunque un fondo di verità.

Un regolamento europeo entrato in vigore nel 2018 prevede infatti che gli impianti a fune adibiti al trasporto di persone abbiano almeno due sistemi di frenatura, ognuno dei quali deve essere in grado autonomamente di bloccare l’impianto in caso di necessità: un freno ordinario e uno, appunto, di emergenza.

Valeria Ghezzi, presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari, ha però spiegato a Pagella Politica che la normativa italiana prevede l’implementazione di un terzo sistema frenante, chiamato “freno sulla portante”, che si attiva proprio nel caso in cui la fune trainante dovesse rompersi. Ghezzi ha confermato che questo ulteriore sistema di sicurezza non è previsto nelle funivie degli altri principali Paesi europei, dove però l’eventuale mancanza viene compensata da maggiori controlli.

Per Calderoli quindi un “Nì”.