Il 9 febbraio, dopo le consultazioni con il presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi, il segretario della Lega Matteo Salvini ha annunciato (min. 20:30) il suo sostegno al nuovo governo, dicendo che «basta ci sia l’impegno a tagliare le tasse».

In particolare Salvini ha difeso dalle critiche la proposta di flat tax «depositata in Parlamento» dalla Lega. Secondo l’ex ministro dell’Interno, un’imposta di questo tipo sarebbe «progressiva», non violando così quanto previsto dalla nostra Costituzione.

Ma come può una tassa con un’aliquota unica rispettare i criteri di progressività? E che cosa prevede nello specifico il progetto della Lega? In breve: Salvini ha ragione nel dire che una flat tax potrebbe anche essere progressiva (a patto che siano previsti alcuni correttivi, come vedremo tra poco) e che, quindi, molto probabilmente non violerebbe di per sé la Costituzione italiana (lasciamo un margine di incertezza, visto il ruolo ricoperto dalla Corte costituzionale).

Il problema però è che la «proposta» leghista in Parlamento – insieme alle ultime proposte del partito di Salvini – è senz’altro una proposta per abbassare le tasse ma non è una vera e propria flat tax.

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La flat tax può essere progressiva, a patto che…

Se si parla di individui e non di imprese, in Italia la principale imposta sul reddito è l’Irpef, che prevede cinque aliquote per cinque fasce di reddito diverse. Semplificando: all’aumentare del reddito di un contribuente, aumenta anche la percentuale di questo reddito che va versata allo Stato. Per esempio, chi ha un reddito tra i 15 mila e i 28 mila euro paga un’aliquota del 27 per cento, superati i quali pagherà il 38 per cento sulla parte eccedente.

Il principio alla base della flat tax è quello di sostituire queste percentuali con un’unica aliquota: da qui il nome di “tassa piatta”. È subito evidente una sostanziale differenza tra un sistema di questo tipo e quello dell’Irpef appena visto. Con più aliquote, all’aumentare del reddito aumenta progressivamente la percentuale di tasse da pagare all’erario. Con una sola aliquota, questa progressività viene meno: come registra la Treccani, la flat tax è un sistema fiscale «non progressivo basato su un’aliquota fissa».

Detta altrimenti: l’Irpef attuale è in teoria progressiva, perché l’imposta cresce più che proporzionalmente rispetto alla base imponibile, ossia la quantità di reddito su cui viene calcolata l’aliquota da versare (lasciamo da parte le molte altre detrazioni e deduzioni che di fatto distorcono la progressività).

Al contrario, in linea teorica la flat tax è solo proporzionale, perché tutti i redditi – senza distinzioni – pagano la stessa percentuale.

Abbiamo scritto “in linea teorica” perché in realtà ci sono possono essere interventi che permettono di rendere progressiva anche la flat tax. Stiamo parlando di eventuali deduzioni o detrazioni fiscali: le prime riducono il reddito prima che venga applicata l’aliquota, le seconde riducono l’imposta che si ha applicando l’aliquota.

Uno dei modi per rendere più progressiva la flat tax è quello di introdurre la cosiddetta “no tax area”, ossia una soglia di reddito entro la quale non si pagano imposte (per esempio, per aiutare le fasce della popolazione più povere). Facciamo un esempio concreto. Immaginiamo di introdurre per l’Irpef una flat tax con un’unica aliquota del 20 per cento, da applicare ai redditi superiori ai 10 mila euro.

Un contribuente con un reddito di 20 mila euro pagherà così il 20 per cento solo sui 10 mila euro sopra la “no tax area”, mentre un contribuente con un reddito di 30 mila euro, pagherà il 20 per cento sui 20 mila euro sopra i 10 mila euro, e così via. In questo modo si riesce ad avere una forma di progressività, nonostante l’aliquota unica.

Un meccanismo simile si può introdurre utilizzando le detrazioni, che alleggeriscono l’imposta sulla base delle caratteristiche di un contribuente (per esempio, se si hanno figli oppure anziani a carico).

Prima di vedere che cosa c’entra la nostra Costituzione con la flat tax, vediamo in che cosa consiste la «proposta» leghista citata da Salvini dopo le consultazioni con Draghi.

Le flat tax della Lega non sono flat tax

Come abbiamo spiegato in passato, è dagli anni Novanta che il centrodestra ha introdotto nel dibattito politico la flat tax. Nel 1994, per esempio, Forza Italia aveva promesso che avrebbe approvato, una volta al governo, un’unica aliquota Irpef al 30 per cento per tutti, impegno poi non mantenuto.

Durante la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento nel 2018, la Lega ha più volte espresso la volontà di voler introdurre la flat tax, sostituendo le varie aliquote Irpef con un’unica aliquota del 15 per cento, con deduzioni e detrazioni per i più poveri per mantenere la natura progressiva dell’imposta.

Con la nascita del governo con il Movimento 5 stelle, le proposte di flat tax della Lega hanno iniziato a prendere forme via via meno “piatte”. Il Contratto di governo, firmato a maggio 2018 da Matteo Salvini e Luigi Di Maio, prevedeva infatti «una riforma fiscale caratterizzata dall’introduzione di aliquote fisse», più nel dettaglio di «due aliquote fisse al 15 per cento e al 20 per cento per persone fisiche, partite Iva, imprese e famiglie». Stiamo parlando dunque di una semplificazione, e di un taglio delle aliquote, e non di una flat tax.

In ogni caso, questa promessa non è stata mantenuta, ma nonostante questo Salvini ha più volte rivendicato di aver introdotto con la legge di Bilancio per il 2019 una sorta di flat tax, ossia l’aliquota unica al 15 per cento per le partite Iva che hanno un reddito inferiore ai 65 mila euro all’anno. Ma anche qui, non si trattava di una flat tax, ma dell’estensione del regime forfettario già in vigore.

Peraltro lo stesso Salvini, soltanto due anni fa, sembrava avere un’idea piuttosto decisa sulla possibile progressività della flat tax. «L’idea di flat tax, unica, piatta, uguale è che è unica, piatta, è uguale. Non esiste la flat tax progressiva», aveva scritto l’8 aprile 2019 su Twitter l’allora ministro dell’Interno.

Oggi, quando il segretario della Lega parla di «nostra proposta di flat tax depositata in Parlamento», fa molto probabilmente riferimento a un disegno di legge assegnato a novembre 2020 alla Commissione Finanze del Senato, il cui esame non è però ancora iniziato. Il titolo del disegno di legge – consultabile anche sul sito www.tassaunica.it – è ”Disposizioni in materia di flat tax per le famiglie fiscali e di riduzione dell’Irpef e dell’Ires per il rilancio dell’economia e della semplificazione. Implementazione della Fase II e della Fase III dell’introduzione della flat tax”. Anche in questo caso non siamo di fronte a una vera e propria “tassa piatta”, ma a una proposta per tagliare, di fatto, le tasse esistenti.

Senza entrare troppo nei dettagli, il disegno di legge – che contiene 46 articoli – vuole modificare il sistema di tassazione non solo dell’Irpef, ma anche dell’Ires (Imposta sul reddito delle società).

Mentre la Fase I è quella che ha coinvolto gli autonomi, nella cosiddetta Fase II della flat tax l’intenzione è quella di introdurre per l’Irpef il regime forfettario del 15 per cento – dunque un’unica aliquota – per le famiglie con un reddito entro determinate soglie.

Anche in questo caso, però, non si otterrebbe una sola aliquota per l’Irpef – obiettivo della Fase III – ma una riduzione parziale delle aliquote e, grazie alle deduzioni per le persone a carico per ogni nucleo familiare, verrebbe mantenuto il carattere progressivo dell’imposta.

Per quanto riguarda l’Ires, l’obiettivo è quella di portare l’unica aliquota oggi in vigore dal 24 per cento al 20 per cento nel 2021 e al 15 per cento nel 2024.

Molto probabilmente la flat tax sarebbe costituzionale

Come mai Salvini ha tirato in ballo la nostra Costituzione? La risposta sta nell’articolo 53 della Costituzione italiana, dove si legge al comma 2 che «il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Come abbiamo visto, in linea teorica una flat tax con deduzioni o detrazioni rispetterebbe il criterio di progressività: si può discutere se sia più o meno progressiva di un’imposta come l’attuale Irpef, ma comunque sarebbe scorretto dire che non sia progressiva.

Inoltre, l’articolo 53 in questione non parla di un tributo specifico – per esempio, quello sul reddito delle persone fisiche – ma del «sistema tributario» in generale. Dunque, sembrerebbe essere scorretto bollare la flat tax come incostituzionale sulla base di questo articolo, come ha sottolineato, tra gli altri, chi da anni chiede l’introduzione di una tassa piatta. Negli scorsi mesi, c’è però chi ha sollevato dubbi di costituzionalità sull’estensione del regime forfettario agli autonomi, approvato dal primo governo Conte e chiamato erroneamente flat tax da Salvini.

Dunque è difficile dare per certa la costituzionalità della flat tax, visto che al momento una misura di questo tipo non è mai stata adottata. La Corte costituzionale non si è espressa sulle ultime modifiche per gli autonomi, ma come ha ricordato durante la campagna elettorale del 2018 il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, «della Corte costituzionale nessuno può essere sicuro», commentando la proposta di flat tax avanzata dal suo partito.

Ricapitolando: a livello teorico, una flat tax con alcuni correttivi– per esempio, un’Irpef con una sola aliquota e un sistema di deduzioni e detrazioni – molto probabilmente sarebbe costituzionale, così come lo sarebbero singoli interventi per semplificare il regime tributario non solo degli autonomi, ma anche dei contribuenti dipendenti.

Al di là del fatto che è scorretto chiamare flat tax queste ultime proposte, restano però due problemi non da poco. «In Italia, il passaggio dall’Irpef ad una flat tax che assomigli alle proposte esistenti produrrebbe una riduzione significativa della progressività e del gettito dell’imposta sul reddito», hanno sottolineato gli economisti Massimo Baldini e Leonzio Rizzo nel loro libro Flat tax, edito nel 2019 da Il Mulino. Il motivo del successo recente della flat tax in Italia, spiegano Baldini e Rizzo, è dato dal fatto che una sola aliquota «può essere considerata una via d’uscita verso un sistema fiscale meno opprimente e più equo e riflette anche la grande voglia di un sistema amministrativo più semplice». Le evidenze raccolte finora dicono però che la flat tax è stata introdotta solo in alcuni Paesi dell’Est – con risultati ambigui sulla lotta all’evasione fiscale, per esempio – ma non in Paesi comparabili con l’Italia, come Francia, Spagna o Germania.

Ad oggi, tra le priorità del nuovo governo Draghi sembra esserci quella di riformare il fisco, mantenendo i principi della progressività. «Quando il professor Draghi ci dice: “Nessuna nuova tassa, nessun aumento di tasse, nessuna patrimoniale, nessuna incursione o nelle case o nei conti correnti, anzi un tavolo per diminuire il carico fiscale a partire dall’Irpef”, la puoi chiamare flat tax o la puoi chiamare “Filippo”, a me basta che ci sia l’impegno di tagliare le tasse», ha detto (min. 20:15) Salvini al termine delle consultazioni con Draghi, confermando che la parola “flat tax” sia un generico riferimento alla richiesta di abbassare le imposte, piuttosto che l’introduzione di un’unica aliquota per le imposte sul reddito.

Intanto in Parlamento sta proseguendo l’indagine conoscitiva per la riforma dell’Irpef, con le audizioni al Senato.

Il verdetto

Secondo Matteo Salvini, la Lega ha depositato una proposta in Parlamento per introdurre una flat tax progressiva, così da non violare la Costituzione. Abbiamo verificato e se da un lato è vero che molto probabilmente una flat tax non sarebbe incostituzionale, dall’altro le proposte leghiste hanno poco a che fare con una vera e propria flat tax.

La progressività con una flat tax potrebbe essere mantenuta utilizzando un sistema di detrazioni e deduzioni, facendo sì che probabilmente venga rispettato l’articolo 53 della Costituzione italiana, in base al quale il sistema tributario – e non un singolo tributo – «è informato a criteri di progressività». Lasciamo un margine di incertezza perché l’ultima parola a riguardo spetterebbe comunque alla Corte costituzionale.

Al momento, in Parlamento è stato assegnato l’esame di una proposta della Lega per riformare l’Irpef e l’Ires, ma come per le promesse del Contratto di governo con il M5s o per l’estensione del regime forfettario agli autonomi, non stiamo parlando di una vera e propria tassa piatta, ma dell’abbassamento delle aliquote in vigore.

In conclusione, Salvini si merita un “Nì”.