Il 15 gennaio, ospite a Otto e mezzo su La7, l’ex capo politico del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio ha commentato (min. 12:28) l’attuale crisi di governo, parlando anche di uno dei cavalli di battaglia del suo partito, il cosiddetto “vincolo di mandato”.
Secondo Di Maio, l’obbligo per un parlamentare di rimanere fedele al partito con cui è stato eletto non è ancora stato introdotto perché, nei contratti di governo firmati dal M5s, «né la Lega né il Pd hanno mai condiviso la nostra ipotesi di vincolo di mandato».
Le cose però non stanno così: l’attuale ministro degli Esteri, infatti, si è dimenticato che nell’accordo firmato a maggio 2018 da lui stesso, con il leader della Lega Matteo Salvini, era presente l’impegno a introdurre il vincolo di mandato.
Di che cosa stiamo parlando
Negli ultimi giorni si è tornati molto a parlare del cosiddetto “trasformismo parlamentare”, ossia quel fenomeno per cui un politico (o un gruppo di politici) decide di cambiare schieramento in Parlamento, passando in alcuni casi a una fazione avversaria. Con la crisi di governo, questo tema è tornato di moda, perché l’esecutivo Conte II deve trovare in Parlamento i numeri per sostituire la defezione di Italia viva di Matteo Renzi, se il contrasto con quel partito non rientra.
Secondo i calcoli di Openpolis, in tutto il 2020 57 politici hanno cambiato gruppo parlamentare: 18 senatori e 39 deputati. Dall’inizio dell’attuale esecutivo (nato a settembre 2019) i cambi sono stati più di 100. Nella XVIII legislatura – avviata a marzo 2018 – i parlamentari che hanno cambiato schieramento sono stati circa 4,5 al mese, in linea con quanto avvenuto nella XVI legislatura. Nella scorsa, invece, i numeri erano stati più alti: quasi 9,5 al mese.
Da anni, in Italia si parla di introdurre il cosiddetto “vincolo di mandato” per arginare il fenomeno del trasformismo. Come abbiamo spiegato in passato, il “vincolo di mandato” – o mandato imperativo – stabilisce che i parlamentari siano in qualche modo legati a svolgere il proprio mandato seguendo le indicazioni degli elettori e del partito. Il suo opposto è la “libertà di mandato”, cioè l’idea che i parlamentari rappresentano tutto il popolo e hanno il diritto di esercitare le loro funzioni liberamente. All’articolo 67, la Costituzione italiana segue questa seconda possibilità, stabilendo che i parlamentari svolgono il loro mandato «senza vincolo».
Una delle battaglie storiche del Movimento 5 stelle di Di Maio è quella di introdurre in vincolo di mandato in Italia, fatto che costituirebbe un’eccezione nel panorama politico mondiale. Ma è vero che da quando è al governo del Paese, il M5s non ha stretto accordi su questa misura con gli alleati di esecutivo?
I patti con la Lega e il Pd
Iniziamo con il governo Conte I. A maggio 2018, Di Maio e Salvini firmarono il Contratto di governo, che nel Capitolo 20 – dedicato alle “Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta” – conteneva un esplicito riferimento all’introduzione del vincolo di mandato.
«Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo», si legge nel Contratto di governo. «Del resto, altri ordinamenti, anche europei, contengono previsioni volte a impedire le defezioni e a far sì che i gruppi parlamentari siano sempre espressione di forze politiche presentatesi dinanzi agli elettori, come si può ricavare dall’articolo 160 della Costituzione portoghese o dalla disciplina dei gruppi parlamentari in Spagna». Come avevamo verificato in passato, però, i riferimenti ai due Paesi iberici erano abbastanza imprecisi (Figura 1).
Secondo Di Maio, l’obbligo per un parlamentare di rimanere fedele al partito con cui è stato eletto non è ancora stato introdotto perché, nei contratti di governo firmati dal M5s, «né la Lega né il Pd hanno mai condiviso la nostra ipotesi di vincolo di mandato».
Le cose però non stanno così: l’attuale ministro degli Esteri, infatti, si è dimenticato che nell’accordo firmato a maggio 2018 da lui stesso, con il leader della Lega Matteo Salvini, era presente l’impegno a introdurre il vincolo di mandato.
Di che cosa stiamo parlando
Negli ultimi giorni si è tornati molto a parlare del cosiddetto “trasformismo parlamentare”, ossia quel fenomeno per cui un politico (o un gruppo di politici) decide di cambiare schieramento in Parlamento, passando in alcuni casi a una fazione avversaria. Con la crisi di governo, questo tema è tornato di moda, perché l’esecutivo Conte II deve trovare in Parlamento i numeri per sostituire la defezione di Italia viva di Matteo Renzi, se il contrasto con quel partito non rientra.
Secondo i calcoli di Openpolis, in tutto il 2020 57 politici hanno cambiato gruppo parlamentare: 18 senatori e 39 deputati. Dall’inizio dell’attuale esecutivo (nato a settembre 2019) i cambi sono stati più di 100. Nella XVIII legislatura – avviata a marzo 2018 – i parlamentari che hanno cambiato schieramento sono stati circa 4,5 al mese, in linea con quanto avvenuto nella XVI legislatura. Nella scorsa, invece, i numeri erano stati più alti: quasi 9,5 al mese.
Da anni, in Italia si parla di introdurre il cosiddetto “vincolo di mandato” per arginare il fenomeno del trasformismo. Come abbiamo spiegato in passato, il “vincolo di mandato” – o mandato imperativo – stabilisce che i parlamentari siano in qualche modo legati a svolgere il proprio mandato seguendo le indicazioni degli elettori e del partito. Il suo opposto è la “libertà di mandato”, cioè l’idea che i parlamentari rappresentano tutto il popolo e hanno il diritto di esercitare le loro funzioni liberamente. All’articolo 67, la Costituzione italiana segue questa seconda possibilità, stabilendo che i parlamentari svolgono il loro mandato «senza vincolo».
Una delle battaglie storiche del Movimento 5 stelle di Di Maio è quella di introdurre in vincolo di mandato in Italia, fatto che costituirebbe un’eccezione nel panorama politico mondiale. Ma è vero che da quando è al governo del Paese, il M5s non ha stretto accordi su questa misura con gli alleati di esecutivo?
I patti con la Lega e il Pd
Iniziamo con il governo Conte I. A maggio 2018, Di Maio e Salvini firmarono il Contratto di governo, che nel Capitolo 20 – dedicato alle “Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta” – conteneva un esplicito riferimento all’introduzione del vincolo di mandato.
«Occorre introdurre forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo», si legge nel Contratto di governo. «Del resto, altri ordinamenti, anche europei, contengono previsioni volte a impedire le defezioni e a far sì che i gruppi parlamentari siano sempre espressione di forze politiche presentatesi dinanzi agli elettori, come si può ricavare dall’articolo 160 della Costituzione portoghese o dalla disciplina dei gruppi parlamentari in Spagna». Come avevamo verificato in passato, però, i riferimenti ai due Paesi iberici erano abbastanza imprecisi (Figura 1).