Il 4 gennaio, in un’intervista con Il Fatto Quotidiano, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina (M5s) ha confermato che, nelle intenzioni del governo, dopo le vacanze natalizie le scuole superiori riapriranno con attività didattica in presenza al 50 per cento.

Alla domanda se questa scelta non fosse un rischio, Azzolina ha risposto che gli «studi» escludono che i contagi nelle scuole «siano determinanti» per il peggioramento dell’epidemia. Secondo la ministra, il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) – un’agenzia indipendente dell’Ue – avrebbe infatti detto «chiaramente» che le riaperture delle scuole «non hanno innescato la seconda ondata».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato che cosa dice il documento dell’Ecdc in questione – che, tra le altre cose, non contiene i dati dell’Italia sulle riaperture scolastiche – e Azzolina sminuisce il contributo delle scuole nell’aumento dei contagi. Vediamo nel dettaglio perché.

Che cosa dice il rapporto dell’Ecdc

Il 23 dicembre l’Ecdc ha pubblicato il primo aggiornamento di un rapporto uscito a inizio agosto scorso, in cui sono riportate le evidenze scientifiche al momento disponibili sul contributo degli adolescenti e delle scuole nell’epidemia del coronavirus Sars-CoV-2. L’Ecdc ha raccolto le evidenze della letteratura scientifica e i dati parziali (ci torneremo tra poco) provenienti dai Paesi europei.

Una delle sezioni del rapporto è dedicata al tentativo di comprendere quali sono le conseguenze sui contagi di un’eventuale riapertura delle scuole. In generale, la maggior parte degli studi condotti fino ad oggi – in linea con quanto abbiamo scritto già in passato – e i dati raccolti dall’Ecdc sembrano suggerire che le infezioni che avvengono all’interno delle scuole siano un numero relativamente basso. Il problema però, nel quantificare il reale contributo delle attività scolastiche, è nel valutare quello che la riapertura delle scuole comporta a livello complessivo, come gli spostamenti e l’aumento delle occasioni di socialità.

In ogni caso, nel suo rapporto l’Ecdc ha affermato che in Europa la riapertura delle scuole tra metà agosto e metà settembre non sembra essere stata associata a un aumento del numero dei contagi tra gli adolescenti, rispetto alla popolazione adulta. Insomma, tanto sono aumentati i contagi tra gli adulti, tanto è avvenuto tra i giovani. Nel riassunto delle sue conclusioni, l’Ecdc ha scritto inoltre che il ritorno in classe «non sembra essere stata una forza motrice nella crescita dei casi osservati in molti Stati membri dell’Ue a partire da ottobre 2020».

Dunque, Azzolina sembra avere ragione quando dice che «il Centro europeo per il controllo delle malattie ha detto chiaramente che le riaperture non hanno innescato la seconda ondata». Ma le cose non stanno proprio così.

I limiti del rapporto Ecdc

L’Ecdc è infatti stato più cauto di quanto la ministra abbia lasciato intendere. «Rimane difficile isolare l’impatto che le riaperture delle scuole possono avere sui contagi di Covid-19, dal momento che avvengono contemporaneamente all’allentamento di altre misure di contenimento», ha scritto l’Ecdc nel rapporto. In più, «il clima stagionale più freddo spinge le persone nei luoghi chiusi, causando un aumento negli scambi sociali tra adolescenti e adulti all’interno della comunità».

Inoltre, va aggiunta un’osservazione non da poco: solo 17 Paesi hanno risposto alla raccolta dati dell’Ecdc, che voleva sapere quanti avessero registrato contagi o focolai nelle scuole. E tra questi, non hanno partecipato tre grandi Paesi Ue come Italia, Germania e Francia. Questo rende ancora meno solide – o comunque, meno generalizzabili al contesto italiano – le conclusioni riportate nel rapporto dell’Ecdc.

In passato abbiamo più volte criticato la gestione italiana dei dati sui contagi nelle scuole: per un certo periodo, sono stati comunicati i casi di positività tra studenti e insegnanti, anche se in maniera molto parziale; con l’arrivo della seconda ondata, questi dati non sono stati più comunicati, con una conseguente confusione su quali autorità fossero in possesso di quali statistiche.

Ricapitolando: Azzolina esagera quando dice che secondo l’Ecdc le scuole non hanno «chiaramente» contribuito all’aumento dei contagi della seconda ondata. E, in ogni caso, omette di riportare i limiti del rapporto, riconosciuti dalla stessa agenzia europea.

Che cosa dice la letteratura scientifica

La ministra dell’Istruzione ha inoltre aggiunto che «gli studi sui contagi nelle scuole ci sono, ma escludono che siano determinanti». Anche qui torna utile il rapporto dell’Ecdc: sia perché contiene una letteratura ricca e aggiornata sul tema Covid-19 e scuole; sia perché mette in guardia dai limiti delle evidenze scientifiche raccolte finora.

Per esempio, lo studio dei contagi tra studenti e tra docenti nelle scuole è limitato a quelli tra casi sintomatici, con il rischio di non prendere in considerazione gli effetti della trasmissione asintomatica e di sottostimare, quindi, le infezioni negli istituti scolastici.

Spesso si sottolinea poi che i contagi avvengano per lo più all’interno delle case, ma come ha specificato l’Ecdc, le ricerche che portano a queste conclusioni sono per lo più osservazionali; sono stati condotti in periodi vicini al lockdown; e consentono una limitata comparabilità tra Paesi e contesti sociali.

Inoltre, come abbiamo già anticipato, il fatto che la chiusura o la riapertura delle scuole sia avvenuta in tutti i Paesi parallelamente all’introduzione o alla riduzione di molte altre misure di contentimento, rende molto difficile una quantificazione del contributo scolastico all’epidemia.

Infine, si sa ancora pochissimo sull’impatto che varianti del Sars-CoV-2 che sembrano essere più trasmissibili, come quella “inglese”, possano avere sulla popolazione studentesca. Su questo aspetto, ha sottolineato l’Ecdc nel suo rapporto, l’agenzia non ha voluto prendere una posizione netta, visto lo scarso numero di evidenze scientifiche a disposizione, ma ha invitato alla cautela.

Prima di concludere, va detto che, in base ai suggerimenti dell’Ecdc, la chiusura delle scuole deve essere una sorta di ultima spiaggia: i costi legati ai danni di apprendimento, sociali, psicologici ed economici sarebbero infatti superiori ai benefici. Ma qui si entra nella sfera delle decisioni politiche, piuttosto che di quelle scientifiche.

Un generale invito alla cautela sulla letteratura scientifica oggi disponibile è poi contenuto anche in un nuovo rapporto dell’Istituto superiore di sanità (Iss) dello scorso 30 dicembre. Tra le altre cose, l’Iss dice che in Italia il numero dei focolai all’interno delle scuole è «sottostimato»; e che la riapertura delle scuole non è associabile «a un significativo aumento della trasmissione nella comunità, sebbene esistano evidenze contrastanti circa l’impatto della chiusura/riapertura della scuola sulla diffusione dell’infezione». Una posizione meno netta di quella riportata da Azzolina.

Il verdetto

Secondo la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, ad oggi gli studi «escludono» che i contagi nelle scuole «siano determinanti» per l’aumento dei casi. Questo sarebbe dimostrato dall’Ecdc, che – ha affermato Azzolina al Fatto Quotidiano – «ha detto chiaramente che le riaperture non hanno innescato la seconda ondata».

Abbiamo verificato che cos’ha detto davvero l’Ecdc e la ministra sminuisce quello che realmente si pensa possa essere il contributo all’epidemia dei contagi scolastici.

In base alle evidenze raccolte dall’Ecdc, è vero che le scuole sembrano essere luoghi per lo più sicuri, con pochi contagi, ma i problemi sono altri: da un lato, tutto quello che ruota attorno alla scuola; dall’altro, l’enorme difficoltà a livello sperimentale di isolare la variabile “riapertura della scuole” da altre misure per capire quanto davvero il ritorno sui banchi possa contribuire a un aumento dei contagi.

I numeri dell’Ecdc suggeriscono che tra metà agosto e metà settembre non ci sia stato un anomalo aumento dei casi tra gli studenti, ma questi dati sono parziali – sono esclusi Paesi come Italia, Francia e Germania – e si concentrano per lo più sui casi sintomatici.

In generale, la letteratura scientifica è cauta nel dare una risposta netta alla domanda se le scuole siano o meno significativi veicoli di contagio. Tutto questo senza tenere conto delle novità allo studio degli scienziati, come il potenziale contributo di nuove varianti, come quella “inglese”.

Azzolina, in conclusione, si merita un “Nì”.