Il 25 ottobre la senatrice della Lega Lucia Borgonzoni ha scritto su Facebook che «teatri, cinema, concerti e convegni» – chiusi per effetto del decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) del 24 ottobre 2020 – generano «il 17 per cento del Pil».

Abbiamo verificato e la cifra citata dall’ex sottosegretaria ai Beni culturali del governo Lega-M5s è esagerata, perché in realtà fa riferimento a un insieme di attività molto più ampio rispetto a quelle da lei menzionate su Facebook.

Che cosa prevede il Dpcm del 24 ottobre

Il 24 ottobre il governo ha emanato un nuovo Dpcm, introducendo misure più restrittive su tutto il territorio italiano per contenere la diffusione dei contagi da nuovo coronavirus.

Il Dpcm, come dice Borgonzoni, prevede la sospensione «degli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e altri spazi anche all’aperto» (art.1, co. 9, lett. m) e il divieto di tenere convegni e congressi, se non a distanza (art.1, co. 9, lett. o).

Si tratta però di attività molto diverse tra loro – si consideri che nel Dpcm, tra la lettera m) sui teatri e la o) sui convegni, c’è la n) su discoteche e feste – che Borgonzoni accomuna nella sua dichiarazione.

Non abbiamo trovato stime sull’indotto generato dai convegni, per cui ci concentreremo sull’impatto conseguente alla chiusura di teatri, cinema e concerti.

Quanta ricchezza crea la “cultura”

Per calcolare il valore economico delle attività culturali, abbiamo contattato l’ufficio stampa del ministero dei Beni culturali e del turismo (Mibact), che non ci ha fornito dati interni specifici ma ci ha suggerito di fare riferimento all’elaborazione annuale della fondazione Symbola.

Symbola è una fondazione che riunisce più di 100 realtà imprenditoriali con lo scopo di «promuovere e aggregare le qualità italiane». Si occupa prevalentemente di «green economy, cultura e coesione sociale».

Ogni anno, per quantificare il peso della cultura e della creatività nell’economia nazionale, la fondazione pubblica il rapporto “Io sono cultura” in collaborazione con Unioncamere, l’ente pubblico «che unisce e rappresenta istituzionalmente» il sistema delle camere di commercio in Italia.

Secondo il rapporto 2019, al «Sistema Produttivo Culturale e Creativo», come viene definito nell’analisi, «nel 2018 si deve il 6,1 per cento del valore aggiunto italiano: oltre 95,8 miliardi di euro» (pag.42). Il valore aggiunto, semplificando, è il quantitativo di ricchezza prodotta dal settore.

La cultura produrrebbe dunque, secondo questi dati, ricchezza equivalente al 6,1 per cento del Pil nazionale. Secondo le stime contenute nel rapporto, il comparto, nel suo totale, dà lavoro a 1,55 milioni di persone.

Che cos’è il Sistema Produttivo Culturale e Creativo

Bisogna però precisare che cosa si intenda, in questo calcolo, per cultura. Nel “Sistema Produttivo Culturale e Creativo” – la definizione utilizzata nell’analisi di Symbola – rientrano, come spiega la sintesi, due categorie. Da un parte le attività etichettate come “core cultura”, ossia cinema, radio, tv, editoria, stampa, musica, patrimonio storico-artistico, arti performative, ma anche architettura e design. Dall’altra, le attività definite “creative driven”, in cui confluiscono tutte quelle professioni creative che non fanno parte della filiera, ad esempio grafici o illustratori, designer, architetti, comunicatori, fotografi, sviluppatori videogame. In altri termini lavori basati sulla creatività, per l’appunto, ma impiegati in altri ambiti professionali. Per essere più chiari: cinema, teatri e concerti fanno parte solo del primo insieme e, come vedremo, il loro peso è relativo.

Nel 2018, la prima categoria, la “core cultura” valeva il 3,8 per cento del Pil nazionale, la seconda categoria, le professioni “creative driven” corrispondevano invece al 2,3 per cento.

Come abbiamo visto, anche il solo gruppo delle attività culturali in senso proprio contiene una significativa varietà di settori, dalla radio al design, passando per i musei e l’editoria.

Quanto valgono quindi, in termini di Pil, gli spettacoli teatrali, cinematografici e i concerti, sospesi per effetto del Dpcm del 24 ottobre?

Cinema, teatri e concerti

Il rapporto “Io sono cultura” diversifica anche il valore aggiunto prodotto dai diversi settori nell’ambito culturale. Secondo questi dati, nel 2018, le arti performative – in cui rientrano spettacoli teatrali e concerti, ma anche le arti visive – corrispondevano allo 0,5 per cento del Pil. Non è possibile estrapolare il dato specifico per il cinema: questo viene infatti considerato con radio e tv, corrispondenti, nel loro complesso a un altro 0,5 per cento di Pil.



Con un’approssimazione per eccesso possiamo quindi dire che, stando ai dati aggiornati al 2018, cinema, teatri e concerti – le attività sospese dal Dpcm del 24 ottobre e menzionate da Borgonzoni – equivalgono al massimo all’1 per cento del Pil nazionale.

Da dove viene, dunque, il 17 per cento citato dalla senatrice leghista? Sempre dall’analisi della Fondazione Symbola, ma è un numero riferito alla totalità delle professioni culturali e creative. Vediamo meglio i dettagli.

La percentuale del 17 per cento di Pil

Nello studio è stato anche considerato l’effetto positivo che il settore esercita sulle altre attività economiche, per esempio sul turismo, i trasporti o il settore della ristrutturazione. Il moltiplicatore è stato stimato pari a un valore di 1,8: «In altri termini – si legge nel rapporto – per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. I 95,8 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 169,6 per arrivare a 265,4 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,9 per cento del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano».

La percentuale del 17 per cento del Pil si riferisce quindi alla ricchezza generata non solo da «teatri, cinema, concerti» bensì dal totale delle attività che hanno a che fare con la cultura. In senso stretto, come abbiamo visto: musei, radio, tv, editoria, musica, design, architettura, biblioteche, arti visive e via dicendo. A cui vengono aggiunte, nel rapporto, le professioni creative ma impiegate in altri ambiti del mondo del lavoro.

Anche applicando il moltiplicatore dell’1,8 appena visto all’1 per cento di Pil creato da cinema, teatri e concerti (stima per eccesso), per calcolarne l’effetto positivo su altre attività, si arriverebbe massimo a un 2,8 per cento complessivo.

Borgonzoni, in definitiva, esagera a dire che «teatri, cinema, concerti e convegni» generino il 17 per cento del Pil.

Il verdetto

La senatrice della Lega Lucia Borgonzoni, contestando le misure restrittive anti-Covid contenute nel Dpcm del 24 ottobre, ha scritto su Facebook che «cinema, teatri, concerti e convegni» generano il 17 per cento del Pil.

Non è così. Secondo i dati del rapporto 2019 “Io sono cultura” della Fondazione Symbola, cinema, teatri e concerti valevano nel 2018 circa l’1 per cento del Pil. Vale invece il 6 per cento del Pil il totale delle attività culturali: cinema, radio, tv, editoria, stampa, musica, patrimonio storico-artistico, arti performative, architettura e design e il lavoro dei creativi impiegati in settori non strettamente legati alla filiera.

Lo stesso rapporto calcola anche l’effetto moltiplicatore dell’industria creativa e culturale su altri settori, quali per esempio il turismo, l’edilizia, i trasporti. Secondo questa stima, ogni euro prodotto dal mondo della cultura ne stimola 1,8 generando in totale un quantitativo di ricchezza equivalente a circa il 17 per cento del Pil.

Anche applicando il moltiplicatore all’1 per cento di Pil sopra visto, si arriverebbe nel complesso al massimo a un 2,8 per cento di Pil legato a cinema, teatri e concerti.

La senatrice leghista quindi esagera e di non poco quando dice che i «teatri, cinema, concerti e convegni» generano il 17 per cento del Pil.

In conclusione, Borgonzoni merita un “Pinocchio andante”.