Il 25 ottobre, ospite a Che tempo che fa su Rai 3, la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina (Movimento 5 stelle) ha difeso l’operato del governo dalle critiche sulla gestione della riapertura delle scuole durante l’emergenza coronavirus.

Secondo Azzolina, i numeri dimostrano (min. 9:04) che se in Italia «il 3,5 per cento dei focolai» è nelle scuole, in Francia lo è «il 32 per cento»: circa dieci volte di più.

Ma è davvero così? Abbiamo verificato e la ministra mischia dati non confrontabili tra di loro. Vediamo nel dettaglio il perché.

Scuole e focolai in Italia

Iniziamo con i numeri italiani. Secondo i dati contenuti nel monitoraggio settimanale più aggiornato del Ministero della Salute, il «3,5 per cento» dei nuovi 1.286 focolai di coronavirus registrati in Italia tra il 12 e il 18 ottobre è legato all’ambiente scolastico. Circa l’82 per cento dei focolai – la stragrande maggioranza – era invece riconducibile all’ambito familiare.

La percentuale citata da Azzolina sembra dunque essere confermata dalle statistiche ufficiali, contenute in un report che però non è di dominio pubblico (e che non va confuso con l’aggiornamento nazionale settimanale dell’Istituto superiore di sanità). Sul suo sito il Ministero della Salute pubblica infatti solo i dati principali del rapporto. Come abbiamo spiegato in passato, un tempo questo documento veniva reso pubblico dal sito di settore Quotidiano sanità, che però ora non riesce più a entrarne in possesso.

Sebbene la percentuale di focolai legati alla scuola sembri bassa, i dati vanno presi con estrema cautela, visto il continuo peggioramento registrato negli ultimi giorni, non solo a livello generale nel Paese ma anche negli istituti scolastici.

Tra il 12 e il 18 ottobre – ha infatti sottolineato il direttore generale della Prevenzione del Ministero della Salute Giovanni Rezza – è aumentato «gradualmente il numero di focolai che si rilevano a livello scolastico».

Vanno inoltre sottolineati due aspetti centrali per leggere correttamente il «3,5 per cento» citato prima. Da un lato, stiamo parlando della percentuale di “nuovi” focolai in cui la trasmissione del virus è avvenuta a scuola tra il 12 e il 18 ottobre, non della percentuale su tutti i focolai “attivi” (7.625 in quella settimana). Dall’altro, è necessario sottolineare che con «focolaio» si intende l’individuazione di due o più casi positivi tra loro collegati. Un elemento non da poco, come vedremo, se si vuole confrontare questo indicatore con quello di altri Paesi.

La situazione in Francia

Secondo Azzolina, il «32 per cento» dei focolai francesi è nelle scuole. Vediamo se è davvero così, utilizzando i dati della Santé publique, l’agenzia governativa che, tra le altre cose, si occupa del monitoraggio dell’epidemia di coronavirus in Francia.

In base alle rilevazioni francesi più aggiornate, da inizio maggio al 12 ottobre, 814 focolai sui 4.365 erano legati (pag. 15) alle scuole e alle università: una percentuale pari al 18,7 per cento. Se si contano anche i 376 focolai in corso d’indagine, la percentuale sale al 20,3 per cento (1.190 su 5.861 complessivi). Una percentuale più bassa di quella indicata da Azzolina, ma comunque notevolmente più alta di quella italiana.

Il problema, però, è che stiamo confrontando dei dati e della percentuali diverse tra loro.

Innanzitutto, la definizione di «focolaio» francese è diversa da quella italiana. Per la Santé publique, un focolaio fa riferimento (pag. 15) all’individuazione di almeno tre nuovi contagi, nell’arco di sette giorni, appartenenti alla stessa comunità o che hanno partecipato allo stesso evento. In Italia, come abbiamo visto prima, i casi collegati basta che siano due.

In secondo luogo, stiamo parlando di tutti i focolai, registrati dall’inizio di maggio, e non dei soli «nuovi focolai» settimanali, come abbiamo visto per l’Italia.

In terzo luogo – il fattore più importante di tutti – i dati francesi sui focolai, al contrario di quelli italiani, escludono (pag. 15) i contagi all’interno dell’ambiente familiare. Dunque non sono direttamente confrontabili con quelli del nostro Ministero della Salute.

Per fare un confronto più attendibile, ma comunque spannometrico, possiamo ricalcolare quanti sono i focolai italiani in percentuale su quelli nuovi, escludendo quelli in ambito familiare, che prima abbiamo visto pesare per circa l’80 per cento sul totale.

Se isoliamo il restante 20 per cento e ricalcoliamo su questa porzione il peso del «3,5 per cento» visto sopra, otteniamo un contibuto delle scuole di circa il 18 per cento, un numero simile a quello francese.

Ma la ministra Azzolina da dove ha preso il «32 per cento» citato a Che tempo che fa? Come abbiamo scritto in un’analisi di fine settembre scorso, quella percentuale faceva riferimento alla percentuale dei focolai in corso di indagine epidemiologica riconducibili a scuole e università francesi. In quel computo – ormai peraltro datato – oltre che i dati sui contesti familiari, erano inoltre esclusi quelli sulle strutture di ricovero per anziani, tra i luoghi più a rischio contagio.

Il verdetto

Secondo Lucia Azzolina (M5s), ad oggi in Italia solo il «3,5 per cento» dei focolai è riconducibile alle scuole, mentre in Francia questa percentuale è del «32 per cento». Abbiamo verificato e la ministra dell’Istruzione paragona dati non confrontabili tra loro, per una serie di motivi.

Innanzitutto, Italia e Francia utilizzano due definizioni di focolaio leggermente diverse tra loro; poi i dati italiani sono sui nuovi focolai settimanali, mentre quelli francesi sul totale da maggio ad oggi; infine – elemento più importante di tutti – le statistiche francesi escludono dal conteggio dei focolai quelli in ambito familiare, mentre il Ministero della Salute italiano li conteggia.

È vero che tra il 12 e il 18 ottobre il «3,5 per cento» dei nuovi focolai in Italia era nelle scuole, ma questa percentuale sale a circa il 18 per cento se si tolgono i focolai nelle case, che pesano per circa l’82 per cento sul totale dei focolai. Anche in Francia – con i dovuti distinguo di cui abbiamo parlato – secondo i dati più aggiornati poco più del 18 per cento dei focolai era riconducibile alle scuole e alle università (che non sono presenti invece nei conti italiani).

In conclusione, Azzolina si merita un “Pinocchio andante”.