Il 22 settembre, in un punto stampa con alcuni giornalisti a Roma, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha celebrato (min. 11:19) come un successo i dati sull’affluenza del voto alle regionali e del referendum del 20 e 21 settembre, nonostante l’emergenza coronavirus.

Secondo Conte, sia che si guardi alle regionali che alle «consultazioni referendarie», il numero di cittadini andato al voto ha superato «quelli di riferimento delle precedenti competizioni elettorali».

Ma è davvero così? Abbiamo verificato e il presidente del Consiglio è impreciso.

L’affluenza al referendum

Partiamo con la vittoria dei “Sì” al taglio dei parlamentari. Secondo i dati del Ministero dell’Interno, i votanti tra l’Italia e l’estero sono stati oltre 26 milioni e 50 mila, il 51,1 per cento degli aventi diritto.

Ricordiamo che essendo un referendum costituzionale confermativo, non era richiesto il raggiungimento di alcun quorum, ossia di una soglia di percentuale minima per rendere il voto valido. Per di più, in diverse regioni il voto referendario si è svolto in concomitanza con le elezioni regionali e comunali. Questo può avere avuto un effetto sull’affluenza, mentre nei referendum del passato si era andati alle urne solo per il quesito referendario. Qual è stata l’affluenza dei referendum costituzionali scorsi?

Nel referendum del 4 dicembre 2016 (dove vinsero i no), i votanti furono oltre 33 milioni e 244 mila, il 65,5 per cento degli aventi diritto, mentre a quello del 25 giugno 2006 (anche qui vinsero i no) furono quasi 26 milioni e 111 mila, il 52,5 per cento degli aventi diritto. In entrambi i casi, dunque, si è avuta un’affluenza più alta rispetto a quella per il taglio dei parlamentari.

Nel referendum costituzionale del 7 ottobre 2001 vinsero i sì, con un’affluenza del 34 per cento (oltre 16 milioni e 843 mila voti totali).

Dunque, sui quattro referendum costituzionali confermativi finora fatti in Italia, l’affluenza del 20 e 21 settembre è stata la seconda più bassa.

Le cose cambiano se si considerano anche gli ultimi cinque referendum abrogativi (dove serve però il raggiungimento del quorum del 50 per cento): solo il referendum del 12-13 giugno 2011 – quello su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento – ha raggiunto un’affluenza di circa il 54,8 per cento, superiore a quella per il taglio dei parlamentari.

Nel referendum del 17 aprile 2016 (sulle trivelle), l’affluenza è stata invece del 31,2 per cento; in quello del 21-22 giugno 2009 (sulla legge elettorale) del 23,5 per cento; in quello del 12-13 giugno 2005 (sulla procreazione assistita) del 25,7 per cento; e in quello del 15 giugno 2003 (sull’articolo 18) del 25,7 per cento. In tutti e quattro i casi non si era dunque raggiunto il quorum.

L’affluenza alle regionali

Vediamo adesso i dati delle regionali, per singolo caso.

In Campania l’affluenza è stata del 55,5 per cento, più alta del 51,9 per cento delle scorse regionali del 2015, mentre alle europee del 2019 – ultima tornata elettorale – l’affluenza era stata del 47,6 per cento.

In Toscana sono andati alle urne il 62,6 per cento dei votanti, mentre alle regionali di cinque anni fa il 48,3 per cento. Alle europee la percentuale era invece stata del 65,5 per cento.

In Puglia, il 20 e 21 settembre scorsi l’affluenza è stata del 56,4 per cento, un dato più alto sia delle regionali del 2015 (51,2 per cento) sia delle europee del 2019 (49,8 per cento).

In Liguria hanno invece votato il 53,4 per cento degli aventi diritto, di più del 50,7 per cento delle regionali del 2015, ma meno del 58,5 per cento delle ultime europee.

Nelle Marche l’affluenza alle urne è stata del 59,7 per cento, un dato più basso delle europee 2019 (62,1 per cento) ma più alto delle scorse regionali (49,8 per cento).

Infine abbiamo il Veneto: qui il 20 e 21 settembre l’affluenza è stata del 61,1 per cento. Al voto regionale del 2015 era stata del 57,2 per cento; alle europee del 2019 del 63,7 per cento.

Ricapitolando: confrontando l’affluenza di queste elezioni regionali con quelle del 2015 e con l’ultima tornata elettorale a livello nazionale (le europee del 2019), si scopre che in alcune regioni le percentuali del 20 e 21 settembre sono più alte di quelle del passato, mentre in altre no.

Il verdetto

Secondo Giuseppe Conte, l’affluenza delle regionali e del referendum del 20 e 21 settembre ha superato «quelli di riferimento delle precedenti competizioni elettorali».

Abbiamo verificato e Conte esagera. È vero che da un lato c’è l’emergenza coronavirus, che può aver scoraggiato una parte degli elettori dall’andare alle urne, ma dall’altro il referendum si è tenuto in diverse regioni in concomitanza con le regionali e le comunali, cosa che può aver alzato l’affluenza per il quesito referendario.

Al di là di queste osservazioni, l’affluenza al referendum sul taglio dei parlamentari è stata più bassa rispetto agli ultimi due referendum costituzionali confermativi, quello del 2016 e quello del 2006, ma più alta del referendum del 2001.

Rispetto agli ultimi referendum abrogativi (che però richiedono il raggiungimento di un quorum), solo quello del 2011 ha fatto meglio del taglio dei parlamentari.

Per quanto riguarda le regionali, il quadro è molto variegato a seconda di quale delle sei regioni si prende in considerazione. In Campania e Puglia, l’affluenza a queste regionali è stata più alta sia di quelle del 2015 che delle ultime elezioni a livello nazionale, ossia le europee del 2019. Nelle altre quattro regioni, l’affluenza del 20 e 21 settembre è stata più alta delle precedenti regionali ma non delle europee.

In conclusione, Conte si merita un “Nì”.