Ospite di Porta a Porta su Rai 1 il 9 settembre, Giorgia Meloni ha dichiarato (min. -59:15) che Fratelli d’Italia è stato «l’unico partito» che non ha avuto nemmeno un senatore che ha firmato la richiesta di referendum confermativo sulla legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari italiani da 945 a 600.

Questo referendum, secondo Meloni, «non era necessario» in quanto la legge costituzionale era stata approvata con più dei due terzi dei parlamentari.

La leader di Fratelli d’Italia è leggermente imprecisa, ma diciamo pure che ha sostanzialmente ragione, per quanto riguarda la prima affermazione, mentre sbaglia per quanto riguarda la seconda. Partiamo da questa.

La richiesta di referendum confermativo

La procedura di modifica della Costituzione è stabilita dall’articolo 138 della carta costituzionale. Qui si prevede che le leggi di revisione costituzionale debbano essere approvate due volte da ciascuna camera, a distanza di almeno tre mesi, con la maggioranza assoluta dei componenti (e non, ad esempio, dei presenti) nella seconda votazione.

Il secondo comma dell’art. 138 stabilisce poi che, «le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali».

Ma, stabilisce il terzo comma, «non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti». E qui sta l’errore di Meloni.

Se la legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari fosse stata approvata dalla maggioranza dei due terzi sia alla Camera sia al Senato, in base all’articolo 138 della Costituzione non si sarebbe potuto chiedere il referendum confermativo.

Infatti, al contrario di quanto afferma la presidente di Fratelli d’Italia, la legge costituzionale che riduce i parlamentari a 600 non è stata approvata dalla maggioranza dei due terzi dei componenti in entrambe le camere.

Alla Camera dei deputati questo è accaduto, l’8 ottobre 2019, con 553 voti favorevoli su 630 (cioè una maggioranza dei quasi nove decimi, molto superiore ai due terzi richiesti). Non è però accaduto al Senato, dove nella seconda votazione, l’11 luglio 2019, i voti favorevoli sono stati 180 su 321 (contando i 6 senatori a vita nel totale), ben al di sotto dei 214 voti favorevoli necessari per avere la maggioranza dei due terzi dei componenti richiesta dall’art. 138 della Costituzione.

Andiamo adesso a verificare chi, in Senato, ha firmato la richiesta di referendum.

Chi ha firmato e chi no?

Il 10 gennaio 2020 è stata depositata la richiesta, sottoscritta da 71 senatori (cioè più dei 64 necessari per raggiungere la soglia di un quinto), di sottoporre la riforma costituzionale a referendum confermativo in base all’articolo 138 della Costituzione. Il 23 gennaio l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione ha ammesso tale richiesta.

Secondo quanto riportano diverse fonti di stampa (ad esempio AdnKronos e il Messaggero), i 71 senatori sarebbero in gran parte di Forza Italia (42), seguita a distanza da gruppo misto (10), Lega (9), Pd (5), Italia viva (2) e M5s (2).

Tra le firme del Gruppo misto si contano quelle di Emma Bonino (+Europa), di numerosi ex del M5s (Buccarella, De Bonis, De Falco, Fattori, Martelli e Nugnes), di alcuni eletti nella circoscrizione estero (Cario e Merlo) e di Francesco Laforgia (di LeU).

Dunque delle forze politiche che si erano presentate con il proprio simbolo alle elezioni politiche del 2018 e che avevano eletto senatori (anche se in numero insufficiente a costituire un gruppo autonomo, come nel caso di LeU o di +Europa), solo Fratelli d’Italia e lo Svp-Patt – lista che unisce due partiti altoatesini – non hanno avuto senatori che abbiano contribuito alla richiesta di referendum confermativo.

Il verdetto

Giorgia Meloni ha sostenuto che Fratelli d’Italia sia stato l’unico partito a non avere nemmeno un senatore che ha sottoscritto la richiesta di referendum confermativo sulla legge costituzionale che riduce il numero dei parlamentari. L’affermazione è leggermente imprecisa, in quanto anche lo Svp-Patt non ha avuto senatori tra le sua fila che abbiano firmato la richiesta di referendum, ma diciamo che è corretta se riferita ai partiti nazionali (lo Svp-Patt, come detto, è una lista di due partiti altoatesini).

Meloni ha poi anche affermato che il referendumnon era necessario, in quanto la legge costituzionale era stata approvata con più dei due terzi dei parlamentari. Qui la leader di FdI commette un duplice errore. In primo luogo, non è vero che la legge costituzionale sia stata approvata, in seconda lettura, con una maggioranza dei due terzi in entrambe le camere: è accaduto alla Camera ma non al Senato. In secondo luogo, se questo fosse accaduto, in base alla Costituzione non si sarebbe proprio potuto chiedere il referendum confermativo.

Nel complesso dunque per Meloni un “Nì”.