Il 28 agosto l’ex ministra della Salute Giulia Grillo (M5s) ha commentato su Facebook la differenza tra due strumenti fondamentali che vengono usati per contrastare l’epidemia di Covid-19 nel nostro Paese.

Grillo ha infatti scritto che il test sierologico «serve per capire se avete avuto il Covid» ma non se l’infezione è attualmente in atto. Il tampone, invece «serve per capire se lo avete in atto».

Il commento dell’ex ministra si inserisce nella polemica riguardante la recente chiusura delle discoteche, in seguito alla quale secondo Grillo «un cosiddetto Vip se ne andava in giro nonostante avesse la febbre perché aveva fatto il test sierologico ed era risultato negativo», una condizione non sufficiente per accertare di non essere infetti e quindi contagiosi.

La spiegazione fatta da Grillo è sostanzialmente corretta, ma rischia di semplificare il significato dei risultati dei test. Facciamo un po’ di chiarezza.

Che cosa dicono i tamponi

Come conferma anche il ministero della Salute, oggi, il tampone oro-faringeo o rino-faringeo è l’unico metodo disponibile per diagnosticare la presenza di un’infezione da nuovo coronavirus.

Secondo le spiegazioni dell’Istituto superiore di sanità (Iss), il test consiste (pag. 7) nel prelievo di una piccola quantità di muco che riveste la mucosa dell’orofaringe (per il tampone che si inserisce nella gola) o della rinofaringe (per quello dal naso), con «un piccolo bastoncino ovattato, simile ad un cotton fioc».

Una volta prelevato il materiale questo viene analizzato per rintracciare la presenza del virus e quindi diagnosticare la presenza di un’infezione da Covid-19.

La lettura del risultato del tampone è piuttosto semplice: può essere positivo se la persona è infetta, o negativo se non c’è alcuna infezione in corso.

Ci sono ovviamente delle eccezioni: alcune persone ad esempio continuano ad avere sintomi anche settimane dopo essere risultate negative al tampone o dimesse dall’ospedale, mentre in altri casi a un primo tampone negativo può seguirne un secondo, di controllo, positivo.

Come riportato da diversi esperti rimane quindi un margine di errore, e la possibilità di incorrere in casi di falsi positivi o falsi negativi – cioè persone che risultano positive al test ma in realtà non hanno contratto il virus, e viceversa – non è nulla.

In ogni caso, come ha detto correttamente Grillo, il tampone serve principalmente per sapere se, nel momento in cui questo viene effettuato, siamo o meno infetti dal nuovo coronavirus.

Chiarito il funzionamento e i risultati del tampone, vediamo cosa fa il test sierologico.

Che cosa dicono i test sierologici

Il Ministero della Salute chiarisce che, a differenza del tampone, il test sierologico non è in grado di diagnosticare un’infezione in atto: tramite un prelievo di sangue, infatti, questo rileva solamente la presenza o meno di anticorpi prodotti dal nostro sistema immunitario in risposta a un agente estraneo.

Il fatto che il test sierologico non sia in grado di diagnosticare la presenza o meno di un’infezione non significa che questo metodo sia inutile: semplicemente, il suo scopo è un altro. Il Ministero della Salute infatti chiarisce che questo tipo di test è utilizzato principalmente per «per stimare la diffusione dell’infezione in una comunità». Servono insomma per capire quanto realmente il virus si sia diffuso, e per aiutare la ricerca nello svolgimento di una serie di studi epidemiologici.

L’Istat, ad esempio, nei mesi scorsi ha condotto un’indagine di sieroprevalenza al Sars-CoV-2 in Italia durante la quale 64.660 persone sono state sottoposte al test sierologico. I risultati hanno permesso di scoprire che le persone entrate in contatto con il virus, almeno nel periodo 25 maggio-15 luglio, erano «6 volte di più rispetto al totale dei casi intercettati ufficialmente durante la pandemia».

La differenza tra Igm e IgG

Ma come funziona questo test? Semplificando, l’analisi del sangue permette di rilevare la presenza di immunoglobine IgM o IgG. Le prime sono prodotte nella fase iniziale dell’infezione, circa quattro o cinque giorni dopo la comparsa dei sintomi, e scompaiono in qualche settimana. Gli anticorpi IgG invece compaiono dopo e rimangono più a lungo.

Se i risultati del tampone sono di interpretazione piuttosto immediata, quelli del test sierologico vengono spesso fraintesi: essere positivi (a una o entrambe le immunoglobuline) non significa essere necessariamente positivi al virus, così come essere negativi non significa non avere in corso l’infezione: procediamo con ordine, guardando alle informazioni fornite dal Centro Auxiologico Italiano, un istituto da anni impegnato in attività di ricerca e cura e attivo in Lombardia e Piemonte.

I risultati del sierologico

I test possono essere di due tipi: qualitativi o quantititavi. Se il primo indica soltanto la presenza o meno degli anticorpi, il secondo è più preciso e ne calcola anche le quantità.

Il test sierologico quantitativo può dare quattro possibili risultati: negativo sia a IgM che IgG; positivo a IgM ma negativo a IgG; positivo a entrambi; negativo a IgM ma positivo a IgG.

Il primo caso, dove in pratica non viene rilevata la presenza di anticorpi, può avere due spiegazioni. La prima è che il soggetto non è mai entrato in contatto con il nuovo coronavirus, non si è mai infettato e quindi non ha sviluppato le reazioni immunitarie necessarie a contrastarlo.

Allo stesso tempo però questo risultato potrebbe significare che il contagio è avvenuto di recente, e quindi non sono ancora stati sviluppati anticorpi per contrastarlo: in questo caso il soggetto ha la Covid-19, ma il test sierologico non è in grado di rilevarla.

Il secondo scenario (presenza di IgM ma non di IgG) indica invece che potrebbe esserci un’infezione in atto e che il contagio è avvenuto da poco tempo. Come abbiamo detto infatti gli anticorpi IgM sono i primi a essere prodotti, pochi giorni dopo il contagio. In questo caso è infatti necessario sottoporsi al tampone per chiarire se si è o meno affetti dalla Covid-19.

Nella terza situazione, dove il soggetto è positivo sia a IgM che a IgG, potrebbe essere in corso un’infezione: anche qui bisogna fare il tampone.

Nell’ultimo caso infine, quando sono rilevati IgG ma non IgM, potrebbe significare che l’individuo è entrato in contatto con il virus ma l’infezione non è recente. Il tampone va quindi fatto per assicurarsi di non essere più contagiosi.

Come abbiamo visto quindi il test sierologico può suggerire (ma non diagnosticare) che sia in atto un’infezione, mentre non può mai assicurarci di essere negativi al virus. Come abbiamo già spiegato, anche se il risultato fosse negativo potremmo aver appena contratto il virus e non aver sviluppato ancora nessuna reazione immunitaria.

Quanto sono affidabili i sierologici

Per quanto riguarda l’affidabilità dei test sierologici, oggi il Ministero della Salute raccomanda di effettuare i test con metodi che abbiano una sensibilità (cioè la capacità di rilevare i soggetti infetti) non inferiore al 90 per cento, e una specificità (cioè la capacità di identificare correttamente i soggetti sani) non inferiore al 95 per cento.

È anche importante precisare che, come si legge sul sito del Ministero della Salute, gli anticorpi rilevati tramite questo esame potrebbero in realtà essere stati prodotti per rispondere a infezioni diverse dalla Covid-19, per esempio causate da altri tipi di coronavirus: «Per ragioni di possibile cross-reattività con altri patogeni simili (come altri coronavirus della stessa famiglia), il rilevamento degli anticorpi potrebbe non essere specifico per SARS-CoV-2, quindi persone che in realtà hanno avuto altri tipi di infezioni e non Covid-19 potrebbero risultare positive alla ricerca degli anticorpi per Sars-CoV-2».

Tiriamo le somme

Per riassumere, abbiamo visto che il tampone – seppure con un minimo margine di errore, superato di solito facendo più di un prelievo – può dare due esiti: positivo se l’infezione da Covid-19 è in atto, e negativo se invece non lo è.

Il test sierologico, invece, non serve a diagnosticare la presenza del virus ma a rilevare gli anticorpi prodotti per contrastarlo. Questi sono di due tipi: IgM, che vengono prodotti pochi giorni dopo l’inizio dei sintomi e scompaiono presto, e IgG, che invece arrivano dopo e restano più a lungo.

Il sierologico può quindi dare quattro diversi risultati in base alla presenza combinata dei due anticorpi. Le cose sulle quali viene spesso fatta confusione sono due.

La prima è che essere positivi al test sierologico non significa essere positivi al virus, ma indica solo che in un certo momento (che può essere al momento del test, ma anche in passato) siamo entrati in contatto con la Covid-19 e abbiamo prodotti gli anticorpi per difenderci.

La seconda è che, allo stesso tempo, essere negativi al test sierologico non significa essere negativi al nuovo coronavirus: potremmo infatti avere appena contratto l’infezione e non aver ancora sviluppato le immunoglobuline rilevate dal test.

Il verdetto

Il 28 agosto l’ex ministra della Salute Giulia Grillo (M5s) ha scritto su Facebook che il test sierologico «serve per capire se avete avuto il Covid» ma non se l’infezione da nuovo coronavirus è attualmente in atto, mentre il tampone «serve per capire se lo avete in atto».

Anche se semplifica un po’ la funzione dei test sierologici l’affermazione è sostanzialmente corretta, ma è comunque importante fare alcune precisazioni riguardo ai possibili risultati del test. Sebbene infatti il test sierologico non sia in grado di diagnosticare un’infezione in corso – anche perchè non è questo il suo scopo – rileva gli anticorpi che abbiamo prodotto e può comunque dare dei segnali che indicano una probabile positività al virus.

Allo stesso tempo, come correttamente evidenziato da Grillo nel suo messaggio, la negatività al test sierologico non esclude la possibilità che l’infezione sia in corso.

In conclusione, un “Vero” per Grillo.