Il 24 agosto il deputato di Italia Viva Luigi Marattin ha commentato su Facebook la proposta della Commissione europea di dare all’Italia 27,4 miliardi di euro di sostegno finanziario tramite lo strumento del Sure, creato per finanziare misure a tutela dei posti di lavoro, come ad esempio l’estensione della cassa integrazione.

Secondo il presidente della Commissione Finanze alla Camera, i soldi del Sure «sono assolutamente identici» ai circa 35 miliardi di euro che l’Italia potrebbe chiedere al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) con lo strumento del Pandemic crisis support. L’unica differenza, secondo Marattin, sarebbe che le risorse del Sure possono essere spese solo per misure a sostegno del lavoro, mentre quelle del Mes solo per la sanità.

Ma davvero stiamo parlando di soldi «identici», per esempio per quanto riguarda le condizioni per poterli ricevere? O ci sono differenze sostanziali tra i due strumenti? Abbiamo verificato e Marattin ha sostanzialmente ragione, al netto di una differenza che esiste tra Sure e Mes.

Le condizioni del Pandemic crisis support del Mes

Riassumiamo prima brevemente che cos’è il Pandemic crisis support del Mes, di cui abbiamo già scritto ampiamente negli ultimi mesi e che il deputato di Italia Viva ha usato come pietra di paragone per il Sure.

Il 15 maggio i 19 ministri delle Finanze dell’area euro che siedono all’interno del Boards of governors del Mes hanno reso operativo il Pandemic crisis support, una nuova linea di credito pensata per aiutare i Paesi durante la crisi economica causata dal coronavirus.

Fino alla fine del 2022, gli Stati membri del Mes – che sono quelli membri dell’area euro – potranno chiedere un prestito fino al 2 per cento del loro Pil del 2019 da utilizzare in spese sanitarie dirette e indirette legate all’emergenza coronavirus, che saranno monitorate dalla Commissione Ue. Per l’Italia stiamo parlando di una cifra massima tra i 35 e i 36 miliardi di euro, come correttamente indicato da Marattin.

Ad oggi il vincolo della spesa a misure legate alla sanità è di fatto l’unica condizione per accedere al Pandemic crisis support, anche se, come abbiamo spiegato in passato, non sono ancora stati adottati atti giuridicamente vincolanti per eliminare del tutto la possibilità che al prestito del Mes poi seguano delle condizioni, come ad esempio la richiesta di fare riforme specifiche.

In passato, le condizioni legate ad altri strumenti del Mes sono state oggetto di forte critiche e scontri all’interno del dibattito politico italiano ed europeo. Si pensi, per esempio, al caso della Grecia, che negli scorsi anni ha dovuto attuare riforme per poter ricevere l’aiuto del Mes.

La questione delle condizioni è dunque l’argomento più utilizzato dagli oppositori del possibile ricorso al Mes: in sostanza, chi è contrario al Pandemic crisis support dice che senza la certezza giuridica dell’assenza di condizioni, è meglio non chiederlo.

Ad oggi nessun Paese Ue ha ancora fatto richiesta di accesso a questa linea di credito, potenzialmente vantaggiosa in termini di costi sul debito per Stati come l’Italia. Secondo alcuni esperti, questa attuale rinuncia a livello europeo potrebbe essere motivata dal fatto che chiedere aiuto al Mes può causare una sorta di “effetto stigma” verso l’Italia e altri Paesi richiedenti, che darebbero un cattivo segnale ai mercati, facendo alzare i costi con cui si finanziano attraverso l’emissione di titoli di Stato. Viceversa, secondo altri, i mercati potrebbero invece reagire bene al ricorso da parte dell’Italia di uno strumento vantaggioso, che fa risparmiare soldi per quanto riguarda i tassi di interesse ai Paesi che chiedono aiuto.

Inoltre, va sottolineato che il Mes è un creditore privilegiato: i suoi prestiti devono essere ripagati prima rispetto ai prestiti dati eventualmente da altri soggetti, tranne che dal Fondo monetario internazionale, che è a sua volta un creditore privilegiato e con precedenza sul Mes.

Se l’Italia chiedesse aiuto al Pandemic crisis support, gli investitori privati che volessero acquistare titoli del debito pubblico italiano, per esempio, saprebbero che il proprio credito sarebbe subordinato a quello del Mes e quindi potrebbero chiedere interessi più alti, considerato il rischio maggiore di cui si stanno facendo carico accettando di essere pagati “dopo”. Ma vista la bassa entità del prestito del Mes rispetto al totale del debito pubblico italiano, questa ipotesi sembra poco fondata.

In ogni caso, possiamo dire che al momento è molto improbabile che saranno introdotte ulteriori condizioni, rispetto a quella legata alla sanità, visti gli annunci e gli impegni politici presi dall’Eurogruppo – un organo informale che riunisce i ministri dell’Economia degli Stati dell’area euro – dalla Commissione europea e dal Mes stesso. Ma alcuni dubbi di carattere giuridico restano.

Che cos’è il Sure e come funziona

Vediamo adesso quali sono le condizioni legate ai prestiti del Sure.

Lo scorso 2 aprile la Commissione europea ha proposto la creazione del Sure, una sigla che sta per Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency. Si tratta di un nuovo strumento temporaneo dell’Ue, pensato per limitare i rischi di disoccupazione e per aiutare gli Stati membri a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori durante la crisi economica causata dalla Covid-19.

Il 19 maggio il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento del Sure (qui consultabile), che fissa le caratteristiche delle risorse messe a disposizione da questo strumento. Di che tipo e di quanti soldi stiamo parlando?

La Commissione europea emetterà titoli di Stato per raccogliere risorse sui mercati per finanziare Sure, per un valore massimo di 100 miliardi di euro. Questi soldi saranno poi distruibiti ai vari Stati membri che ne faranno richiesta sotto forma di prestiti, per finanziare, tra le altre cose, regimi di riduzione dell’orario lavorativo per i lavoratori dipendenti (si pensi, per esempio, alla cassa integrazione) o misure analoghe per i lavoratori autonomi.

In generale, i prestiti del Sure sono pensati per permettere agli Stati membri di affrontare aumenti repentini della spesa pubblica per il mantenimento dell’occupazione.

Vediamo meglio un esempio concreto, quello che riguarda il nostro Paese, per entrare nei dettagli del Sure.

La proposta per l’Italia

Il 24 agosto la Commissione europea ha annunciato di aver presentato al Consiglio dell’Ue – che ha l’ultima parola per consentire l’accesso ai prestiti – una proposta per concedere 81,4 miliardi di euro del Sure a 15 Stati membri che ne hanno fatto richiesta.

Tra questi, c’è l’Italia, che con 27,4 miliardi di euro è la prima beneficiaria in classifica, seguita da Spagna (21,3 miliardi) e Polonia (11,2 miliardi). Tra chi, per il momento, non ha avanzato domanda di accesso al Sure, ci sono grandi Paesi Ue come Francia e Germania, e Paesi come Austria e Paesi Bassi.

Nella sua proposta, la Commissione Ue ha innanzitutto sottolineato che in base alle sue previsioni nel 2020 l’economia italia soffrirà parecchio: registrerà un rapporto debito pubblico-Pil del 158,9 per cento e un rapporto deficit-Pil dell’11,1 per cento.

Per contenere gli effetti di questa crisi economica sul mercato del lavoro, l’Italia ha messo in campo una serie di misure, come l’estensione della cassa integrazione o i bonus per i lavoratori autonomi, che, se il Consiglio dell’Ue accetterà la proposta della Commissione, potranno essere finanziati con i soldi del Sure. La proposta della Commissione elenca con precisione – con rimandi a decreti e singoli articoli – per quali misure potranno essere usati i prestiti. Come riportato correttamente da Marattin, si tratta di provvedimenti sostanzialmente legati al mondo del lavoro.

Le condizioni dei prestiti Sure

I prestiti in questione avranno una scadenza a 15 anni e saranno disponibili, in diversi versamenti, nei 18 mesi successivi alla data in cui il Consiglio accetterà la proposta della Commissione. Ricordiamo che – come ha anche sottolineato un approfondimento di luglio 2020 dell’Ue dedicato agli investitori – l’Ue ha una valutazione molto solida sui mercati e questo le consente di raccogliere risorse a tassi di interesse molto bassi.

Gli Stati che hanno tassi di interesse sui titoli di Stato più alti della media Ue, come l’Italia, avrebbero quindi un beneficio, dal punto di strettamente vista economico, nel ricorrere a questi prestiti dell’Ue (secondo alcuni osservatori questi benefici sarebbero limitati).

Ma che condizioni ulteriori ci sono per accedere ai prestiti del Sure, oltre a quella appena vista di utilizzare i soldi per un obiettivo specifico?

In base al regolamento che ha istituito il Sure (art. 8), i prestiti di questo strumento devono rispettare le disposizioni contenute in un paragrafo specifico di un articolo del regolamento europeo del 2018 (Ue, Euratom, 2018/1046), che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Ue.

L’articolo 220 di questo regolamento ha introdotto (paragrafo 5) una serie di disposizioni che la Commissione sottoscrive con il Paese membro che vuole accedere ai prestiti dell’Ue (che si applicano, dunque, anche a quelli del Sure).

Queste disposizioni assicurano la regolarità della transazione, in particolare – ad esempio – «che il Paese beneficiario verifichi a cadenza regolare che i finanziamenti erogati siano stati utilizzati correttamente in conformità delle condizioni predefinite»; che vengano adottate misure per prevenire irregolarità e frodi; e che l’Ue abbia diritto al rimborso anticipato del prestito qualora si riscontrino attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

Dunque non sembra esistere con il Sure alcuna possibilità – nemmeno remota e teorica, come invece abbiamo visto potrebbe esserci per il Pandemic crisis support del Mes – di ricevere i soldi solo a fronte di nuove condizioni più stringenti, come l’introduzione di riforme di qualche tipo.

Infine, per quanto riguarda lo status di creditore privilegiato, mentre per il Mes questo è stabilito direttamente dal trattato che lo ha costituito, il regolamento del Sure non affronta la questione.

L’approfondimento di luglio 2020 dell’Ue per gli investitori riporta però che il Sure – come gli altri strumenti di prestito dell’Unione – ha il carattere di creditore privilegiato de facto: questo, in sostanza, vuol dire che lo è per prassi, e non per natura giuridica. Questo status di creditore privilegiato del Sure è stato confermato (min. 4:16:30) anche il 28 luglio scorso dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, durante un’audizione alle Commissioni riunite Bilancio di Camera e Senato.

Tiriamo le somme

Ricapitoliamo velocemente somiglianze ed eventuali differenze sostanziali tra i nuovi prestiti del Mes e quelli del Sure.

Da un lato, è vero che i prestiti del Pandemic crisis support e Sure si assomigliano molto, al netto del fatto che il primo è uno strumento gestito dal Mes, un’istituzione composta dagli Stati membri dell’area euro, e il secondo della Commissione europea.

In entrambi casi stiamo parlando di prestiti, fatti da un creditore privilegiato, che per alcuni Paesi Ue hanno costi più vantaggiosi rispetto alla normale emissione di titoli di Stato; che hanno un vincolo di spesa ad ambiti specifici: il lavoro per Sure e la sanità per il Pandemic crisis support; e sul cui utilizzo deve vigilare la Commissione Ue.

Dall’altro lato, a differenza del Sure, nella nuova linea di credito del Mes resta la non assoluta certezza dell’assenza di ulteriori condizioni per accedere ai prestiti. Ma come abbiamo sottolineato, questa opzione ad oggi sembra molto remota.

Restano poi aperte altre valutazioni, come quella legata allo stigma di chiedere un eventuale prestito del Mes (che secondo alcuni osservatori varrebbe anche per il Sure). In ogni caso, ad oggi 15 Stati membri hanno chiesto l’aiuto del Sure, mentre nessuno ha chiesto quello del Pandemic crisis support.

Il verdetto

Secondo Luigi Marattin, i 25 miliardi di euro di prestiti che l’Italia potrà ottenere dal Sure «sono assolutamente identici» ai 35 miliardi di euro che il nostro Paese potrebbe chiedere al Mes, attraverso il Pandemic crisis support. L’unica distinzione sarebbe nell’ambito in cui sono vincolate le spese: il lavoro per Sure, la sanità per il Mes.

Abbiamo verificato e, al netto di una differenza, il deputato di Italia Viva ha sostanzialmente ragione, citando inoltre cifre corrette.

È vero che, per entrambi gli strumenti, stiamo parlando di prestiti fatti da un creditore privilegiato, sulla cui spesa vigila la Commissione europea, che deve controllare se i soldi del Sure sono impiegati per le misure di sostegno all’occupazione e se quelli del Pandemic crisis support sono utilizzati per spese sanitarie dirette e indirette legate alla crisi Covid-19.

Per quanto riguarda il Mes, però, gli atti ufficiali che hanno escluso la presenza di ulteriori condizioni hanno valore più politico che giuridico: per avere una maggiore stabilità, anche nel futuro, sarebbe preferibile venissero tradotti in atti normativi vincolanti. Insomma, rimane un margine di incertezza, per quanto piccolo, che non permette di eliminare del tutto il rischio di condizionalità per il Pandemic crisis support più rigide rispetto al Sure.

In conclusione, Marattin si merita un “C’eri quasi”.