Il 26 giugno, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha criticato su Twitter i risultati occupazionali ottenuti dal reddito di cittadinanza, dicendo che secondo la Corte dei Conti «solo il 2% dei beneficiari avrebbe trovato lavoro».

Il post è accompagnato da un video in cui Meloni cita più precisamente la fonte della sua affermazione, cioè (min.0.18) «la relazione della Corte dei Conti al rendiconto generale dello Stato 2019».

Abbiamo verificato i documenti citati e Meloni ha ragione.

Il reddito di cittadinanza e le politiche attive per il lavoro

Il reddito di cittadinanza (Rdc) è una misura introdotta a partire da aprile 2019 (decreto-legge n.4 del 28 gennaio 2019) dall’allora governo Conte I, su proposta del Movimento 5 stelle. Semplificando, il rdc permette alle persone in difficoltà che siano residenti in Italia da almeno 10 anni di ricevere una «integrazione al reddito famigliare» che può arrivare fino a 13.200 euro all’anno. All’8 giugno 2020 più di 1,1 milioni di nuclei familiari percepiscono il reddito di cittadinanza, per un importo medio di 570,40 euro mensili.

Fin dalla sua introduzione, il Rdc è stato strettamente legato a due tematiche principali: il contrasto alla povertà (di cui abbiamo già parlato in questa nostra analisi) e il diritto al lavoro. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, il requisito fondamentale per poter accedere al reddito di cittadinanza è proprio dichiarare «immediata disponibilità al lavoro» e aderire «ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale», che può spaziare tra diverse attività volte ad aiutare la comunità o a favorire la ricerca di un nuovo impiego.

Sempre a livello teorico, i riceventi del Rdc sono tenuti ad accettare «almeno una di tre offerte di lavoro congrue» ricevute dai centri per l’impiego o dalle piattaforme digitali collegati all’Agenzia nazionale delle politiche attive per il lavoro (Anpal) o al Ministero del Lavoro.

In realtà, uno dei problemi principali di questo meccanismo è stato proprio il ritardo nell’attivazione delle politiche per il lavoro: mentre i primi assegni sono stati erogati già a maggio – un mese dopo l’attivazione della misura – i centri per l’impiego hanno iniziato a convocare i candidati solo a settembre.

Un altro elemento di criticità sono poi stati i “navigator”, figure professionali istituite ad hoc che avrebbero dovuto aiutare i percettori del reddito di cittadinanza a trovare un lavoro. Non è andata proprio così: l’Anpal ha assunto 2.980 Navigator, che hanno preso servizio a partire da agosto 2019, con uno stipendio lordo di circa 27 mila euro, ma il loro contributo pare sia stato molto modesto.

In ogni caso, lasciando da parte i problemi verificatisi in corso d’opera, il reddito di cittadinanza è nato come un contributo economico versato alle famiglie in condizione di povertà e come strumento per aiutare i beneficiari a cercare attivamente un impiego. Per quanti, però, questa dinamica ha funzionato? Per capirlo abbiamo guardato i dati diffusi dalla Corte dei conti, a cui fa riferimento anche la leader di FdI Giorgia Meloni.

Cosa dice il rapporto della Corte dei conti

Il 24 giugno 2020 la Corte dei conti ha presentato la “Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2019”. Nella “Requisitoria orale” del procuratore generale Fausta Di Grazia, in particolare, si legge che «dai dati degli uffici di controllo risultano essere state accolte circa 1 milione di domande [per il reddito di cittadinanza, ndr], a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste, delle quali, secondo elaborazioni di questo Istituto, soltanto il 2 per cento ha poi dato luogo ad un rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego».

Il dato è ripetuto anche nella “Sintesi” della relazione, dove si legge che «la quota di coloro i quali trovano lavoro tramite i CPI [Centri per l’impiego] resta modestissima: intorno al 2 per cento».

In realtà, però, è importante precisare che non tutti i percettori del reddito di cittadinanza sono in qualche modo destinati a trovare un lavoro: la platea di beneficiari include infatti anche persone con più di 65 anni, studenti e disabili, che per riscuotere il rdc non sono tenuti a impegnarsi per trovare un impiego. Una simulazione pubblicata dall’Istat il 5 marzo 2019, per esempio, stimava per il reddito di cittadinanza una platea di 2,7 milioni di singoli percettori (parametro diverso rispetto ai nuclei familiari, a cui invece fa riferimento il «milione di domande accolte» citato dalla Corte dei conti), di cui solo 897 mila con obbligo di impegno attivo per la ricerca di un lavoro: circa un terzo del totale.

Anche considerando questa fattore, però, la percentuale di impiegati rimane estremamente bassa. Secondo i dati pubblicati dall’Anpal, al 31 gennaio 2020 i beneficiari del Rdc pronti a trovare lavoro erano 908.198. Di questi, 39.760 hanno ottenuto un contratto: il 4,4 per cento del totale.

Precisiamo inoltre che, come abbiamo già spiegato in un’altra nostra analisi, i dati di Anpal si limitano a mostrare una correlazione: non è detto che i circa 40 mila beneficiari del rdc che hanno trovato lavoro lo abbiano fatto proprio grazie ai centri per l’impiego, ai navigator o in generale alle politiche attive messe in atto con il reddito di cittadinanza. Magari lo avrebbero trovato comunque grazie alle normali dinamiche del mercato, oppure hanno utilizzato vie diverse per uscire dalla disoccupazione.

Il verdetto

Il 26 giugno la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha scritto sul proprio account Twitter: «La Corte dei Conti svela il bluff del reddito di cittadinanza: solo il 2% dei beneficiari avrebbe trovato lavoro».

Abbiamo controllato, e il dato riportato da Meloni è sostanzialmente corretto. Lo si ritrova infatti nella “Requisitoria orale” collegata alla “Relazione sul rendiconto generale dello Stato per l’esercizio finanziario 2019” rilasciata dalla Corte dei Conti, secondo cui di circa «1 milione di domande» accolte per il reddito di cittadinanza, solo «il 2% ha poi dato luogo ad un rapporto di lavoro».

Precisiamo però che, in generale, gli individui beneficiari del rdc (che, lo ribadiamo, come misura va ai nuclei familiari, che dunque possono essere composti da più individui) che ci si aspetta trovino un lavoro sono solo una parte del totale: secondo una stima dell’Istat, circa un terzo. Ma anche considerando questo fattore, però, il numero di persone uscite dalla disoccupazione – oltretutto non necessariamente grazie al rdc – resta comunque inferiore al 5 per cento.

In conclusione, Meloni merita un “Vero”.